Tutto cominciò,come
spesso accade nelle biografie dei grandi novatori, nel tempo di una
lunga convalescenza. Ferito ai polmoni nella prima guerra mondiale, il
maestro elementare Célestin Freinet, ebbe modo di pensare a come usare
della sua esistenza una volta guarito. Nato nelle Alpi Marittime in una
famiglia di contadini con otto figli, reinventò – tra mille difficoltà
e ostilità – la scuola elementare e le tecniche di un insegnamento che
permetteva infine al bambinodi essere attivo, nonsupino alle lezioni
del maestro ma partecipe della creazione di percorsi comuni – di classe
– e singolari, sbaraccando la rigidità delle aule, uscendo dalla
classe, imparando a leggere e scrivere con la fabbricazione di una
piccola tipografia scolastica e la fattura di un giornalino da comporre
lettera per lettera con caratteri di legno, stabilendo una
corrispondenza tra bambini di più classi e paesi e perfino nazioni,
accostando alla natura con erbari di classe e ambienti in cui poter
osservare la vita di piccoli animali, e infine in lunghe scorribande di
gruppo per campi e per boschi.
(Per questo chiamarono la sua scuola école buissonnière – tra i
cespugli; e si intitolò così un bel film su Freinet del 1949 dove
Freinet era interpretato da un giovane Bernard Blier.) Freinet fondò
con la moglie Elise un movimento laico per la scuola libera che si
chiamò più tardi Movimento di cooperazione educativa e che ha avuto
nell’Italia del secondo dopoguerra una grande importanza nel
rinnovamento della nostra scuola elementare, svecchiando i metodi di
insegnamento con la cosiddetta “scuola attiva”. Il Movimento (intendo
la parte italiana, sorta nell’Italia centrale e poi altrove), ha avuto
una storia bellissima, dandoci insegnanti formidabili come Tamagnini,
Ciari, Lodi, Idana Pescioli e mille altri che sperimentarono le nuove
tecniche didattiche freinetiane arricchendole, e portando nella scuola
pubblica le acquisizioni dei seminari e corsi in cui il movimento
cresceva e sperimentava. Anche grazie a loro, la scuola elementare
italiana è stata fino a tempi recenti, eun po’ fino a oggi, la parte
più viva della nostra scuola, almeno in chi ha resistito alla gragnola
dei decreti ministeriali e alle aride e odiose tendenze (che qualcuno
ha chiamato “neo-fordiste”) della pedagogia ufficiale, ovviamente “di
sinistra” ed “emiliana” degli ultimi decenni, di tutto preoccupata
fuorché di contribuire alla crescita di individualità pensanti e
responsabili, di cittadini pensanti e responsabili. Lo stato della
nostra scuola è quello che è, il disastro è compiuto da tempo e ha
tanti responsabili sono, e a me sembra un miracolo che nelle elementari
– quasi solo lì, perché non si diventa maestri elementari se quel
lavoro non ti piace, mentre negli altri ordini di scuola vige la norma
del “rifugio” per chi non ce la fa altrove, e di vocazione è abusivo
parlare. Il fatto che l’Mce esista ancora, e che esistano ancora i
Cemea (Centri di esercitazione ai metodi dell’educazione attiva) a esso
collegati – cercate su Internet i loro siti e le notizie sulle attività
– è qualcosa di cui rallegrarsi. Ma c’è un punto su cui oggi mi pare
giusto insistere. Tanti anni fa, ci furono dibattiti intensissimi tra i
maestri e maestre elementari delle minoranze più solide,
anticonfessionali, rinnovatrici, e cioè tra i freinetiani e i
comunisti, e ricordo bene le dispute tra “quelli del metodo” e “quelli
del contenuto”. Nel Mce attuale l’insistenza sul metodo si è fatta
forse eccessiva e trascura l’allargamento della riflessione e
dell’intervento a discorsi più vasti, dei quali c’è invece sommo
bisogno. Questi non sono tempi normali, e se è fondamentale precisare
il metodo, in rapporto alle esigenze e al rispetto dei bambini, è però
indispensabile occuparsi anche d’altro e di più. L’infanzia ha nemici
mastodontici nel “sistema” di vita corrente, dominato dalle logiche di
un mercato che ha conquistato le famiglie, supine ai ricatti della
pubblicità, incapaci di occuparsi non istericamente dei loro figli.
Oggi è indispensabile allargare il discorso, e parlare di scuola e di
metodo in rapporto alla svolta di civiltà in cui ci hanno e siamo
piombati, e dovremmo, credo, considerarci, come il Freinet degli anni
di guerra, convalescenti da batoste che ci hanno leso il cervello, e
pensare al tipo di scuola utile a una società migliore di questa, che
ha possibilità più distruttive e più subdole di quella in cui ha
operato il meraviglioso maestro Freinet, e sul suo esempio i nostri
“maestri dai piedi scalzi” degli anni cinquanta, tra le persone più
belle delle molte che ho avuto la fortuna di frequentare.
(da L'Unità di Goffredo Fofi)
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