Ormai sono
cosciente di operare in un’azienda. Quando decisi di fare l’insegnante,
non immaginavo di finire in un’azienda. Anzi, ero convinto che il mondo
della scuola fosse estraneo ad ogni logica capitalista. Anche per
questo scelsi l’insegnamento, che reputavo una professione creativa che
offrisse molto tempo libero, un bene più prezioso del denaro. A
distanza di anni dal mio ingresso nel mondo della scuola, eccomi
catapultato in un ingranaggio di fabbricazione industriale, con la
differenza che a scuola non si producono merci. Del resto, non mi pare
d’aver ricevuto una preparazione adeguata ad un’attività
manifatturiera, ma siamo nell’era della
“flessibilità”.
Ormai sento spesso adoperare un lessico imprenditoriale: termini
come “economizzare”, “profitto”, “utenza”, “competitività”,
“produttività” ecc., sono ormai di uso comune tra i “dirigenti
scolastici” che non sono più esperti di pedagogia e didattica e
pretendono di essere considerati “presidi-manager”, ma sono pochi a
saper decidere come e perché spendere i soldi, laddove ci sono.
Inoltre, anche nella scuola sono stati introdotti organigrammi e metodi
di gestione mutuati dalla struttura manageriale dell’impresa
capitalista. In tale gerarchia sono presenti vari livelli di comando e
subordinazione. Si pensi ai “collaboratori-vicari” che, in base alla
vigente normativa, sono designati direttamente dal dirigente, mentre
prima erano i Collegi dei docenti che eleggevano dal basso i propri
referenti a supporto del ruolo direttivo. Si pensi alle RSU, i
rappresentanti sindacali eletti dal personale docente e non docente. Si
pensi alle “funzioni strumentali”. In altri termini, si cerca di
emulare in modo maldestro la mentalità economicistica, i sistemi e i
rapporti produttivi, la terminologia e gli apparati di marca
industriale all’interno di un ambiente come la scuola, un’istituzione
che dovrebbe perseguire come fine ultimo “la formazione dell’uomo e del
cittadino”. Altro che fabbricazione di merci! E’ evidente a tutte le
persone di buon senso che si tratta di uno scopo opposto a quello che è
l’interesse primario di un’azienda: il profitto privato.
La Gelmini e i vari “manager” dell’istruzione, in buona o mala fede
confondono tali obiettivi, alterando il senso autentico ed originario
dell’azione educativa, una funzione sempre più affine a quella di
un’agenzia di collocamento o un’area di parcheggio per disoccupati
permanenti. Ma perché nessuno mi ha avvertito in tempo quando feci il
mio esordio nella scuola? Probabilmente qualcuno potrebbe obiettare
“Ora che lo sai, perché non te ne vai?”, prendendo esempio dalla
“scuola” di Marchionne, che sempre più presidi emulano.
Lucio Garofalo (di Lucio Garofalo da
http://www.ilmessaggero.it/)
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