Sono la mamma di una bimba
con Sindrome di Down, Irene.
Irene ha quasi due anni e mezzo, è una bimba gioiosa e furbetta,
divertente e riflessiva. Ora cammina in modo deciso alla scoperta del
mondo ed inizia a pronunciare le prime parole, spinta da un forte
desiderio di farsi capire. A noi piace moltissimo guardarla nelle sue
esplorazioni, nei suoi sorrisi, nel suo modo di comunicare, anche nella
sua goffaggine nel camminare!
Da settembre 2010 frequenta il nido comunale, in un gruppo di pari età,
dove si è inserita con facilità e partecipa felice alla vita “sociale”,
anche grazie all’intelligenza ed alla disponibilità della sua maestra
Patrizia e del resto del personale, capaci di accogliere Irene con
attenzione e leggerezza al tempo stesso.
In questo contesto aperto ed accogliente, Irene riesce a regalare
giorno dopo giorno, sia a noi cha alla maestra, la gioia e la sorpresa
di continui apprendimenti.
Tutto sta quindi procedendo al meglio, ma... Una nuova “sfida” si
affaccia alla nostra porta: l’imminente iscrizione alla Scuola
d’Infanzia. La questione è così semplice e così complessa al tempo
stesso: continuo a sorprendermi di quanto una cosa così semplice possa
diventare così incredibilmente complicata!
Mi spiego. Da quando ho inziato ad attivarmi per l’iscrizione, mi sono
scontrata con l’idea che il diritto all’inclusione scolastica coincide
con il diritto all’insegnante di sostegno. Sento fastidioso questo
abbinamento automatico: perché le due cose si sono così sovrapposte!?
Non è questo che dice la legge sull’integrazione. Non è questo che
dicono alcune circolari ministeriali. Non è questo che dicono molti
esperti. E non è questo ciò che penso serva alla mia Irene!
La richiesta dell’insegnante di sostegno sembra ormai essere l’esito di
un processo acritico ed automatico, una prassi ormai consolidata ma
poco “pensata”: diritto all’inclusione uguale diagnosi funzionale
uguale insegnante di sostegno. La scuola lo dà per scontato. I servizi
lo danno per scontato. Le famiglie pure. L’ipotesi di non richiederlo
sembra assurda: com’è pensabile rinunciare ad un diritto così
importante?
Io invece sento il bisogno di fermare la corsa burocratica e pensarci
un attimo: davvero l’insegnante di sostegno sarebbe un’opportunità per
mia figlia in questo momento? Penso di no. I motivi sono tanti. Ne cito
solo alcuni.
Primo, stiamo parlando della Scuola dell’Infanzia.
Poi ho un’idea radicata: le cosidette “professioni d’aiuto” vanno usate
con attenzione e moderazione (e lo dico da psicologa): se da una parte
offrono aiuto, dall’altra possono etichettare, trasmettere messaggi di
deficit ed inadeguatezza, molto pericolosi in età evolutiva.
Un pò come l’utilissimo antibiotico: sappiamo bene che se ne abusiamo,
l’inefficacia non tarderà a comparire. L’idea “più ne usi meglio è”
(spesso diffusa negli interventi riabilitativi, terapeutici, di
sostegno), può essere molto pericolosa.
Quindi mi chiedo: serve proprio a Irene l’insegnante di sostegno alla
Scuola d’Infanzia ove la didattica ha un ruolo ancora limitato? O la
sua presenza rischia di etichettarla già come inadeguata, incapace,
deficitaria in un momento della sua vita in cui non è poi così vero nè
necessario? Perchè devo già sottolineare le sue differenze come se
fossero differenze negative, mancanti, problematiche tanto da
necessitare un adulto tutto per lei per “normalizzarla” il più
possibile? Ne trarrebbe giovamento la sua autostima? E la sua
autonomia? L’avere un adulto “tutto per sè” non rischia di
“infantilizzarla” più del dovuto e di ostacolare processi di
autonomizzazione che potrebbero invece più facilmente svilupparsi se
lei potesse essere trattata come tutti gli altri bimbi?
Spesso si sente dire che i bambini con disabilità sono innanzitutto
bambini: posso capire che chi non ha avuto la fortuna di crescere per
due anni e mezzo con una bimba come Irene possa fare più fatica a
cogliere la veridicità di questa affermazione. Come mamma però sento
profondamente che è così: innanzittutto una bambina, con bisogni,
desideri e modi simili a qualsiasi bambino.
Che ci siano dei limiti, questo è innegabile. Non dobbiamo neanche
negare, però, che spesso ipervalutiamo i limiti, perchè ciò che è
diverso ci spaventa e ci mette a disagio. Sopravvalutiamo il limite per
avere la sensazione che, definendolo, lo possiamo gestire meglio.
Forse allora può essere utile fermarsi un attimo, bloccare le prassi
consolidate e gli automatismi interventistici.
Senza attese miracolistiche, con la consapevolezza che l’ inclusione
scolastica sarà un obiettivo mai raggiunto completamente e che dobbiamo
fare tutti insieme un passo dietro l’altro.
L’inizio, per me, per noi, per quello che può fare la nostra famiglia
per contribuire a questo processo, è questo: dare fiducia alla nostra
bimba, dare fiducia alle insegnanti che l’accoglieranno, alla scuola, a
noi come famiglia. Puntare sulle potenzialità di tutti e sperimentare
un percorso scolastico alla scuola materna ove siano presenti le
insegnanti curriculari in prima linea, la mia Irene, la nostra
famiglia, le associazioni, i professionisti che sapranno aiutarci e
sostenerci.
Un modo per iniziare può essere, dunque, questo: sfidare i nostri
pregiudizi e le nostre paure e vedere l’ingresso di Irene alla scuola
materna come un’opportunità per tutti oltre che come un impegno ed una
fatica in più. Iniziare concretamente, con questa scelta di rinunciare
ad un diritto, quello all’insegnante di sostegno, che sembra essere
diventato un dovere.
Claudia Trombetta(da http://www.educationduepuntozero.it/)
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