L'articolo
di David Baldini pubblicato sulla rivista mensile della FLC CGIL.
Shoah
tra negazionismo e nuove ricerche
"Nel dare alle stampe, nel 1987, il suo libro Les assassins de la
mémoire, lo storico francese Pierre Vidal-Naquet osservava nella
Prefazione: "Questo libretto è nato da una constatazione: da circa due
anni l'impresa ‘revisionista' - intendo quella che nega le camere a gas
hitleriane e lo sterminio dei malati di mente, degli ebrei e degli
zingari, e di appartenenti a popoli considerati radicalmente inferiori,
in particolare gli slavi - ha assunto un'ampiezza inquietante. Una
setta, minuscola ma tenace, consacra tutti i suoi sforzi e usa ogni
mezzo (volantini, storielle, fumetti, studi sedicenti scientifici e
critici, riviste specializzate) al fine di distruggere, non la verità,
che è indistruttibile, ma la presa di coscienza della verità".
Duole riconoscere che, nonostante i progressi registrati sulla
conoscenza della Shoah - divenuti particolarmente significativi, per
quantità e qualità, soprattutto negli ultimi cinque lustri -, la mala
pianta del "revisionismo" di tipo "negazionista" non solo non è stata
estirpata dal contesto internazionale, ma continua a vivere
periodicamente di tanto inattese quanto effimere fioriture.
[...]
Di qui la necessità che la vigilanza democratica sia oggi concentrata,
in particolare, su quelle dinamiche riguardanti l'"uso pubblico" della
storia, sui cui pericoli, circa un ventennio fa, ci aveva messo in
guardia Jacques Le Goff, per il quale "impadronirsi della memoria e
dell'oblio è una delle massime preoccupazioni delle classi, dei gruppi,
degli individui che hanno dominato e dominano le società storiche. Gli
oblii, i silenzi della storia, sono rivelatori di questi meccanismi
della memoria collettiva".
[...]
Se dunque ci si riconosce nella tesi secondo la quale il pericolo con
il quale ci si deve oggi confrontare è innanzitutto rappresentato dalla
"passività" - indefettibile generatrice di inerzia spirituale e di
abitudini più o meno conformistiche -, allora non si può non
riconoscere che il modo migliore per dare "senso" alla memoria - a
cominciare dal giorno della sua celebrazione ufficiale, il 27 gennaio
di ogni anno - sia quello, ad esempio, di tornare a riflettere con
rinnovata lena sul tema cruciale della Shoah, attenti soprattutto ad
evitare i rischi connessi al solo ritualismo, anticamera prima o poi di
una prevedibile rimozione.
Tornare però a riflettere in forme sempre rinnovate sulla Shoah vuol
dire anche, al tempo stesso, essere disposti a rimettere in discussione
gli esiti stessi di talune ricerche, memori di quanto Vidal-Naquet ci
ricordava, allorché, nella Prefazione alla sua già citata opera, così
aveva osservato: "il modo di selezione della storia funziona
diversamente dal modo di selezione della memoria e dell'oblio".
Ebbene, dal momento che storia e memoria sono state sempre in conflitto
tra di loro, oggi ci sembra che la priorità sia costituita proprio da
una loro possibile ricomposizione. Per tre motivi.
1. Colmare il vuoto che si va creando a seguito della scomparsa dei
testimoni.
2. Conservare i documenti in nostro possesso e di tutelarli attraverso
la ricerca di supporti materiali durevoli, adatti insomma a fissare e
trasmettere, sui tempi lunghi, i contenuti relativi a quella come ad
altre memorie.
3. Il terzo motivo infine interessa gli aspetti più direttamente
connessi alla "pedagogia", o alle "pedagogie", della Shoah e al
rapporto tra storia e memoria...(da Flc-Cgil)
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