Sul Sole del 12
gennaio Andrea Ichino non riesce a spiegarsi come mai, nelle quattro
città che dovevano servire (alla Gelmini e al comitato
scientifico-tecnico di cui egli è parte) come campione per la
valutazione di scuole e docenti, l'esperimento abbia incontrato «tanta
freddezza non solo tra i sindacati, ma anche tra i singoli docenti meno
schierati». Il flop è clamoroso se davvero in tutta Torino una sola
scuola (su oltre cento) ha accettato, costringendo il ministro a
trovarsi una nuova grande città. Poiché recenti indagini suggeriscono
disponibilità dei docenti a essere valutati, il flop merita una
spiegazione (e correzione di rotta): nel breve periodo, per risparmiare
a ministro e comitato altri oceanici sberleffi; nel medio e lungo, per
evitare alla scuola italiana altri dieci anni di stop a ogni discorso
sulla valutazione.
In un anno di presidenza del Forum politiche dell'istruzione del
Pd ho trovato nei sindacati, nelle associazioni professionali e nei
singoli docenti e dirigenti una buona apertura di credito verso la
valutazione. Non mancava una disponibilità di massima e nemmeno
l'informazione, come Ichino ipotizza nelle conclusioni; mancava,
specialmente nelle condizioni politiche e scolastiche date, il consenso
a un'operazione per molti aspetti propagandistica e niente affatto
"terza" rispetto al ministro. Un paziente può conoscere e apprezzare il
protocollo di sperimentazione di una cura, ma non fidarsi del medico
che deve applicarlo. O ritenere che in un ospedale cadente, al quale
stanno tagliando l'elettricità, sia meglio non sottoporsi a esperimenti
promossi dal primario.
Gli operatori scolastici di destra, di centro e di sinistra ai quali si
chiede oggi di aderire all'esperimento di valutazione hanno visto
scomparire, negli ultimi due anni, il modulo alle elementari o, per
dire, il piano nazionale-informatica alle superiori, senza riguardo al
merito, ai dati sperimentali, ai paragoni internazionali. Hanno visto i
debiti delle scuole non più onorati dallo stato. Dopo aver ascoltato il
ministro affermare che gli insegnanti italiani sono i peggio pagati e i
piú anziani d'Europa, il governo ha bloccato sia la carriera dei
docenti in ruolo, sia l'accesso al ruolo dei giovanissimi: in Italia,
dal 2008, nemmeno Pico della Mirandola, se si laurea, può diventare
insegnante.
Chi vive nella scuola sa bene che ci sarebbe bisogno di risorse,
strutture e valutazione di rango europeo; ma quando sente parlare di
Europa solo per la valutazione mentre per tutto il resto sembra di
scivolare verso il Terzo mondo, il timore è la presa in giro. Per
questo, penso, arriva il rifiuto perfino se la valutazione è
sperimentale e fatta in modo morbido (soltanto quattro città). C'è
rimedio? Forse. Attilio Oliva, presidente di Treellle, ricordando che
il progetto Usa Partnership for XXI Century Skills (P21) è condiviso
dal più potente sindacato degli insegnanti e da 40 grandi imprese,
chiedeva lo scorso aprile: «Perché anche da noi non succede che
Confindustria e grandi organizzazioni sindacali collaborino per una
scuola migliore, visto che è un campo in cui prevalgono evidenti
interessi comuni?». Oggi è facile rispondere: perché il ministro, per
questa sperimentazione, ha scelto di chiamare tre fondazioni vicine a
Confindustria, ma non i sindacati. Come parlamentare aggiungo: il
governo si è mosso senza consultare o coinvolgere il Parlamento. Questo
modo di procedere è arrogante: confrontare le idee serve a fare meno
errori. Solo chi non ha mai bazzicato una scuola può meravigliarsi che
il collegio docenti bocci qualcosa: muoversi senza campagne preventive
miranti a conquistare consenso fra i docenti sul territorio equivale al
classico elefante nella cristalleria.
Dunque il rimedio c'è. Il governo abbandoni un irresponsabile e
fallimentare bipolarismo scolastico. Dopo due anni di propaganda sul
merito non approdata neppure a un modesto e limitato esperimento,
prenda atto che non il dialogo con le parti sociali, con il Parlamento
o con gli enti locali, ma la sua assenza rende fragile e inconcludente
ogni speranza di far fare al paese progressi non effimeri nella
direzione di una scuola più europea, capace - anche attraverso la
valutazione - di portare ogni ragazzo al massimo del proprio potenziale
senza che nessun talento vada perduto e nessuna esistenza si bruci, per
il bene e lo sviluppo spirituale e materiale della comunità nazionale.
Anche i numeri attuali del governo lo suggeriscono: meglio umiltà che
arroganza unilaterale.
(Giovanni Bachelet è deputato e presidente del Forum nazionale
politiche dell'istruzione del Pd) (Di Giovanni Bachelet da
http://www.ilsole24ore.com/)
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