Primo bagno di folla catanese per il segretario generale CGIL, Susanna
Camusso, che venerdi 14 gennaio, ha incontrato allo Sheraton di Catania
i lavoratori e i dirigenti sindacali del capoluogo etneo. “Il futuro è
dei giovani – Catania può riscattarsi” questo il refrain proposto per
la giornata di riflessione e di confronto.
Dopo l’introduzione del segretario generale CGIL di Catania, Angelo
Villari, gli interventi dei numerosi segretari di categoria CGIL si
sono alternati ai contributi degli ospiti che hanno voluto essere
presenti all’appuntamento, come la senatrice Anna Finocchiaro che ha
ricordato il momento delicato che la Fiom, insieme agli operai della
Fiat sta vivendo in queste ore, per il referendum che “segnerà, a
prescindere dal risultato, un punto di rottura, dopo il quale nulla
sarà più come prima”, e il sindaco di Catania, Raffaele Stancanelli.
Consistente la presenza degli studenti, tra cui l’UDU (Unione degli
Universitari) a cui sono stati dati ampi spazi d’intervento e un
accenno di contestazione al sindaco Stancanelli da parte del Movimento
Studentesco Catanese i cui rappresentanti hanno chiesto con passione al
segretario Camusso lo sciopero generale.
“Siamo nelle piazze insieme agli studenti da mesi – ha risposto nel suo
intervento Susanna Camusso – e certo non li lasceremo soli in questo
difficile momento che il mondo della conoscenza, la scuola,
l’università, la ricerca, sta attraversando. Non ci siamo mai tirati
indietro quando c’era da scioperare ma lo sciopero è uno strumento da
usare con estremo rispetto nei confronti dei lavoratori e non lo si può
svilire tirandolo in ballo su ogni questione. Ma ai ragazzi che
protestano dico anche che non si può prescindere dalla legalità e dal
rispetto delle regole. Non c’è giustizia sociale né democrazia senza
legalità, è la premessa imprensindibile per avere giustizia per
ognuno”. Poi il segretario prosegue sulla cultura e sulla conoscenza
riprendendo i temi forti anticipati dal segretario generale FLC
Catania, Antonella Distefano: “Con i tagli alla cultura e alla
conoscenza si nega ai giovani il futuro perché l’istruzione è un bene
fondamentale della società, è il perno su cui si decide la qualità di
un Paese. Un Paese che taglia la cultura taglia la democrazia e la
libertà”. Noi non ci limitiamo a dire che la scuola deve essere
pubblica, la vogliamo, oltre che pubblica, nazionale e laica. Senza una
scuola pubblica adeguata a fornire pari opportunità, il futuro sarà
sempre più incerto e scuro per i giovani”.
Anche Distefano, nel suo intervento aveva dichiarato: “La gravità della
condizione sociale della nostra Regione, che si manifesta in modo
particolare a Catania, per le sue complessità di area metropolitana,
vive il disagio sociale delle crescenti povertà, aggravato dalla sempre
più evidente dequalificazione dell’istruzione, col conseguente blocco
di quella mobilità sociale che ha caratterizzato la nostra generazione,
migliorando le condizioni di vita dei nostri genitori. La scuola è
diventata un’emergenza sociale in Sicilia. Il massacro dei settori
della conoscenza è sotto gli occhi di tutti. Le misure adottate dal
Governo sull’istruzione, oltre a provocare un dramma occupazionale con
migliaia di precari che hanno perso il posto di lavoro dopo anni e anni
di lavoro, stanno già determinando un aumento delle disuguaglianze tra
le diverse aree attraverso una riduzione del tempo trascorso a scuola
dagli studenti siciliani, più che al nord del Paese, e con una rete di
Enti locali che non forniscono i servizi essenziali alla scuola:
dall’assistenza specialistica per i disabili, alle mense, ai trasporti,
all’edilizia scolastica. La vertenza della scuola pubblica che la FLC
ha avviato su territorio nazionale è per certi versi “la madre di tutte
le vertenze” perché l’istruzione e il sapere costruiscono la convivenza
democratica, la comunità sociale e lo sviluppo economico del
Paese. E naturalmente il pensiero va necessariamente ai tanti
giovani, ai tanti studenti, ai tanti precari, che in questi mesi hanno
protestato, con noi e autonomamente, come i giovani sanno fare, con
tutta la passione propria dell’età, ma anche con una consapevolezza
forte che viene dall’angoscia di non vedere più tracciato il proprio
futuro su binari sicuri e sulle strade percorse, più o meno
agevolmente, dalle generazioni che li hanno preceduti”.
Il Segretario Camusso ha continuato il suo discorso ricordando gli
operai della Fiat che stanno decidendo in queste ore del futuro del
proprio lavoro: “Noi non siamo un’organizzazione conservatrice, ma non
sempre la modernità è progresso. Se il contratto Fiat è moderno allora
la CGIL preferisce l’antichità dei nostri padri e delle nostre radici.
Noi rispetteremo la scelta che i lavoratori faranno nel referendum
indetto dalla Fiat perché è una scelta sofferta e drammatica, gli
resteremo accanto e li aiuteremo qualsiasi sia la loro decisione, ma
non possiamo non condannare un Governo che si mette alla finestra e
patteggia per un’azienda senza nemmeno conoscere il piano industriale
che il suo amministratore delegato ha in mente. Stanno e vogliono
trasformare lo statuto dei lavoratori in statuto del lavoro. Ma tra le
due definizioni c’è una bella differenza perché la seconda prescinde
dalle persone e dalle problematiche per cui lo statuto è nato.
Nel nostro Paese più di 180 miliardi di euro finiscono in corruzione,
in evasione fiscale, alla criminalità organizzata. – continua Camusso -
Basterebbe che si attuasse una seria politica di lotta all’evasione per
ridurre le disuguaglianze. Risanare costa molto più che prevenire e
ridurre le disuguaglianze costa meno che garantire assistenzialismo.
Non accettiamo le separazioni che questo Governo ci propone, lavoratori
contro lavoratori, italiani contro migranti, sindacati contro
sindacati. Anzi, una delle grandi sfide che la CGIL deve darsi è quella
di ricostruire l’unità dei lavoratori. Mai come in questo momento
storico il fronte sindacale è stato più frantumato. Ma l’isolamento in
cui hanno messo la CGIL non fa bene neanche agli altri sindacati,
perché oggi tocca a noi domani potrebbe toccare a loro. A CISL e UIL
diciamo che dobbiamo ridare ai lavoratori la loro unità, difendere il
bene comune dei lavoratori che ci unisce alle altre sindacali e poi
dargli la possibilità di scegliere a quale sigla appartenere. Se si
accetta la logica dell’esclusione si balcanizza il Paese e noi pensiamo
che il pluralismo e la diversità sia la straordinaria ricchezza di
questo Paese. E noi CGIL vogliamo bene a questo Paese".