Sono poche le scuole
che hanno accettato di ospitare le due sperimentazioni ministeriali
finalizzate a disegnare un sistema di valutazione e di riconoscimento
del merito nel mondo dell'istruzione. Eppure, numerose indagini dicono
che almeno due insegnanti su tre vorrebbero essere valutati e vedere
riconosciuti i meriti individuali. Il ministero si era proposto di
sperimentare da un lato un sistema di valutazione delle scuole basato
sulla misurazione dell'incremento dei livelli di apprendimento a parità
di contesto e su indicatori qualitativi forniti da valutatori esterni.
Dall'altro di avviare un sistema di valutazione dei singoli insegnanti
che, attraverso una commissione interna di "pari", consentisse di
premiare quelli la cui buona reputazione fosse comprovata e indiscussa
anche tra le famiglie.
È soprattutto
contro quest'ultimo dei due progetti ministeriali che si è manifestata
un'opposizione plateale da parte degli insegnanti interessati.
Come membro del comitato tecnico
scientifico che ha ideato queste sperimentazioni mi sto chiedendo
perché esse incontrino così tanta freddezza non solo tra i sindacati,
ma anche tra i singoli docenti meno schierati.
Chiunque voglia affrontare con onestà questo problema sa che le
difficoltà sono enormi e nessuna soluzione è a priori esente da
critiche. Proprio per questo la strada di una sperimentazione su
piccola scala che aiuti a distinguere ciò che forse può funzionare da
ciò che invece appare destinato a fallire, sembrerebbe una strada alla
quale nessuno dovrebbe opporsi: né coloro che vedono con favore la
procedura da sperimentare, e per questo cercano conferme, né coloro che
la ritengono dannosa e proprio nell'esperimento possono trovare la
dimostrazione di quanto giuste siano le loro convinzioni. Sarebbe una
strada che una volta tanto ci metterebbe in linea con le più avanzate
esperienze internazionali, come illustrato dall'Economist del 6 gennaio.
Accade invece che chiunque veda in queste sperimentazioni un singolo
aspetto che non corrisponde alle sue convinzioni a priori conclude che
il progetto vada rifiutato per intero. Così, ad esempio, chi ritiene
che la valutazione degli insegnanti possa solo basarsi su parametri
oggettivi, boccia tutto perché una delle due sperimentazioni studia
proprio se sia possibile identificare quell'imponderabile complesso di
caratteristiche che fa la reputazione del "buon maestro". Dimentica però che l'altra sperimentazione
si basa invece sui parametri quantitativi costruiti dall'Invalsi per
misurare in modo oggettivo, a livello di scuola, gli incrementi di
apprendimento a parità di contesto dove questo è possibile (attualmente
solo nelle medie inferiori per matematica e italiano).
Viceversa, proprio l'uso dei test Invalsi è ragione sufficiente per
buttare tutto a mare da parte di chi è convinto che essi non possano
cogliere interamente ciò che una scuola può dare ai suoi studenti.
Pochi si fermano a riflettere sul fatto che è il "complesso" delle due
sperimentazioni ad offrire la possibilità di capire, laicamente e con
gli strumenti disponibili, quale di queste strade funzioni meglio.
Quanto ai valutatori, c'è chi lamenta l'uso d'ispettori esterni per le
scuole (chi sono? chi li sceglie?), ma non per questo approva il
tentativo di verificare come invece funzionerebbe una commissione
interna, nella sperimentazione che si propone d'identificare gli
insegnanti di buona e comprovata reputazione. Oppure vorrebbero vedere
burocraticamente dettagliati i criteri usati da chi deve valutare gli
insegnanti - non rendendosi conto che una delle due sperimentazioni fa
questo - nelle griglie che verranno utilizzate dagli ispettori esterni,
mentre l'altra lascia liberi "i pari" di definire, entro binari ampi, i
parametri da prendere o non prendere in considerazione.
Altro oggetto di forte opposizione è l'idea di premiare, anche solo
sperimentalmente, singoli insegnanti perché questo minerebbe la
cooperazione tra i docenti di una scuola, che invece devono lavorare in
squadra. Ma chi così obietta,
trascura che, nell'altro progetto, le scuole valutate come migliori
riceveranno un finanziamento premiale che potrà essere distribuito
liberamente al loro interno, anche a pioggia, proprio per vedere se
l'effetto team funziona. Contro la distribuzione a pioggia si
schierano invece quelli che vedono solo una soluzione basata su
percorsi differenziati di carriera, senza però spiegare come dovrebbero
essere selezionate le persone da promuovere. E senza nemmeno notare che
la sperimentazione sui singoli insegnanti potrebbe in futuro suggerire
un metodo condiviso per capire chi maggiormente meriti ruoli di
leadership.
Io per primo, come tutti, ho delle idee a priori su quali di queste
diverse soluzioni possa funzionare meglio, ma non me la sentirei di
mettere la mano sul fuoco in difesa dell'una o dell'altra: vorrei
semplicemente vedere come funzionano nel concreto di una scuola e
faccio davvero fatica a capire perché questo desiderio di "comprendere
sperimentalmente" non debba essere da tutti condiviso indipendentemente
dalle proprie convinzioni. Capisco chi vorrebbe la perfezione qui e
subito, ma non è nelle possibilità umane soprattutto perché non siamo
tutti d'accordo su come sia fatta.
C'è chi dice che i due terzi
d'insegnanti che affermano di voler essere valutati sono in malafede
perché in realtà, alla resa dei conti, non lo vogliono affatto. Io non
ci credo. Penso invece che gli insegnanti non abbiano avuto modo di
capire quali opportunità queste sperimentazioni possono offrire, in
primo luogo per difetto di chiarezza di chi, come me, le ha proposte.
andrea.ichino@unibo.it (di Andrea Ichino da
IlSole24Ore)
redazione@aetnanet.org