È un quadro per certi
versi contraddittorio e sorprendente, ma allo stesso tempo fortemente
negativo, quello descritto da Giovanni Solimine, già Presidente
dell’Aib (Associazione Italiana Biblioteche), ne L’Italia che legge
(Laterza, pp. 176, € 12,00). Si tratta di un’interessante analisi sulla
lettura nel Belpaese, che conferma, purtroppo, il noto assunto che gli
italiani leggono poco. Eppure, tra il 1995 e il 2009 i lettori italiani
sono aumentati del 21%, passando da 21 milioni a 25 e mezzo. E il
nostro mercato editoriale si colloca al settimo-ottavo posto nel mondo
e al quarto-quinto in Europa. Abbiamo circa 3.000 editori e vengono
pubblicate annualmente 60.000 edizioni librarie, con una tiratura di
250 milioni di copie.
A guardare questi dati, dunque, sembra che la situazione sia rosea,
positiva. Ma se passiamo ad un’indagine più profonda ci accorgiamo che
queste rilevazioni sono sì positive, ma assai meno di quanto si possa
immaginare. Soprattutto perché, se ci fossero state opportune politiche
di promozione, i lettori sarebbero potuti aumentare di un numero
certamente maggiore. Solimine ci guida, con uno stile scorrevole
considerata l’osticità della materia, a riflettere sui numeri e sulle
percentuali che delineano la lettura in Italia.
La prima cosa che bisogna mettere a fuoco è che esistono tre tipi di
lettori: quelli forti, che leggono oltre 12 libri all’anno, quelli medi
(7-11 libri) e quelli deboli (3-6 libri). Una quarta categoria, i
lettori occasionali, è costituita da persone che leggono da 1 a 3 libri
all’anno, ma con discontinuità: solitamente leggono un libro perché
sollecitati da un fenomeno di massa – le vendite da milioni di copie de
Il codice da Vinci e il relativo film, per esempio – ma possono
tranquillamente stare un anno o due senza sfogliare una pagina [1].
Nel periodo 1995-2009, in termini percentuali sul totale dei lettori, i
forti sono passati dall’11,3% al 15,2%, mentre i deboli sono diminuiti
dal 49,5% al 44,9%. Già solo questi numeri un po’ più specifici ci
fanno capire come l’aumento di quattro milioni e mezzo di lettori sia
un dato senza dubbio positivo, ma che allo stesso tempo denota un
incremento fisiologico, che riflette le trasformazioni sociali e
culturali. Non dimentichiamoci, infatti, che 25 milioni e mezzo (cifra
nella quale sono comprese, si tenga a mente, tutte e tre le tipologie
di lettori) significa che solo il 45% della popolazione italiana legge
almeno un libro. Quindi, rileva l’autore, anziché di aumento è più
corretto parlare di consolidamento, perché manca un sensibile
allargamento dei confini dei lettori, che si registra non attraverso i
numeri dei lettori forti (è improbabile che una persona che non leggeva
mai improvvisamente legga 12 libri), bensì dei lettori deboli e medi e
della percentuale dei lettori sul totale della popolazione. Una reale
vittoria culturale ci sarà quando saranno questi numeri a crescere.
Se approfondiamo ulteriormente l’analisi, facendo qualche altro esempio
(per la trattazione completa ovviamente rimandiamo al volume), si può
evincere come questa posizione sia giusta e come, alla fine dei conti,
in Italia si legga poco, e non solo perché gli italiani che leggono
almeno un volume – uno, si badi – sono meno della metà. Guardiamo gli
indici di lettura: il 51,6% delle donne e solo il 38,2% degli uomini.
Su base regionale, leggono libri in media il 51,8% della popolazione
del Nord Italia (con punte superiori al 60% in Trentino Alto Adige), il
48% al Centro e un bassissimo 34,6% nel Mezzogiorno, con la quota più
bassa a livello nazionale in Sicilia.
Un quadro nero, insomma. Le cui cause sono molteplici, ma certamente ha
un ruolo decisivo, in senso negativo, la scuola, dove gli insegnanti
non riescono a stimolare negli studenti l’interesse per la lettura:
«Nell’attività di insegnamento – scrive Solimine – non sempre vi è
impegno in direzione di una pratica quotidiana dello studio a diretto
contatto con i documenti primari, che contribuisca a creare l’abitudine
a studiare e leggere durante tutto l’arco della vita, per aggiornare
continuamente il proprio bagaglio di conoscenze» [2]. Del resto, le
biblioteche scolastiche versano in condizioni disastrate, affidate a
precari privi di alcuna competenza specifica, con il risultato che
vengono frequentate soltanto dal 2% degli insegnanti e dal 13% della
popolazione scolastica. È un problema anche pedagogico, in quanto nei
ragazzi viene inculcato il dovere/obbligo della lettura e si viene
giudicati in base ai risultati: su questa base, come possono sviluppare
un reale interesse, ancorché passione, per la lettura?
L’industria editoriale italiana è quindi un gigante dai piedi
d’argilla, perché quei quattro milioni scarsi di lettori forti, da
soli, assorbono metà delle vendite, e assicurano, in fin dei conti, la
sopravvivenza di un mercato che ha un fatturato di 3 miliardi e mezzo
di euro, sforna 60.000 titoli all’anno e dà occupazione a circa 40.000
persone.
La situazione diventa meno tetra quando Solimine smonta alcuni luoghi
comuni che girano intorno al libro. Non è vero, per esempio, che “ai
miei tempi si leggeva di più”: i dati ci informano che il numero dei
lettori e dei libri letti aumenta costantemente, seppur lentamente, e
forse sorprenderà sapere che i giovani leggono di più degli adulti
(+12/13% rispetto al dato medio nazionale). O, ancora, non è vero che
internet sta soppiantando la carta stampata: spesso il web diventa al
contrario un mezzo per conoscere l’esistenza di certi volumi (il 40%
dei giovani afferma di aver acquistato e letto un testo dopo averlo
trovato su internet), e vi sono decine di siti dove si discute di libri
e che quindi hanno una funzione fondamentale di incentivazione della
lettura. Del resto, il tasso di lettura più elevato (66,1%) nelle
persone tra i 6 e i 24 anni si registra tra coloro che usano il Pc e
hanno una moderata (meno di tre ore) esposizione giornaliera alla Tv.
Rimedi a questa situazione? L’autore plaude alla nascita del Centro del
Libro, ma critica, condivisibilmente, l’esclusione di un ruolo attivo
da parte delle biblioteche e del mondo delle associazioni attive nel
campo. Possibile che non ci sia una correlazione tra i bassi indici di
lettura al Sud, da una parte, e, dall’altra, il fatto che, per esempio,
nel Mezzogiorno troviamo solo il 28,8% delle biblioteche mentre nelle
stesse regioni vive il 35,45% della popolazione italiana? Che in Puglia
via sia una biblioteca ogni 6.233 cittadini mentre in Emilia Romagna il
rapporto è di una biblioteca ogni 3.154 abitanti? O che la metà delle
biblioteche italiane, e gran parte di quelle del Meridione, possiedono
meno di 5.000 volumi? Certo che c’è. Le biblioteche, fornite di testi e
servizi, che organizzano attività culturali senza dubbio incentivano la
lettura. Però la classe politica è sorda: nel bilancio di previsione
2010 la Regione Calabria non ha previsto finanziamenti per le
biblioteche; la Regione Campania, invece, ha stanziato 3.650.000 euro
per musei e biblioteche... peccato che 3milioni siano destinati ad un
solo museo, mentre le altre 750 biblioteche e gli altri 200 musei
devono spartirsi gli spiccioli. A livello nazionale, stessa musica:
mentre le Biblioteche Nazionali Centrali di Roma e Firenze subiscono
ulteriori tagli e percepiscono una miseria (rispettivamente, un milione
e mezzo di euro e due milioni), quella di Parigi prende 254 milioni,
quella di Londra 160 e quella di Madrid 52. Una vergogna.
Positive anche tutte le iniziative di promozione come “Nati per
leggere” o “Ottobre piovono libri”, che stanno riscuotendo successo.
Così come l’organizzazione di fiere o festival. Un esempio su tutti è
rappresentato dal Salone del Libro di Torino. Nato nel 1988, si è
subito distinto per essere un luogo di incontro non solo tra gli
addetti ai lavori, ma anche per i cittadini: già il primo anno si
raggiunse il record, inaspettato, di 100.000 presenze. Oggi, con
315.000 visitatori, oltre 1.400 espositori e quasi 1.500 convegni e
dibattiti, è certamente il maggior evento italiano in campo editoriale
e ha assunto una forte rilevanza sul piano europeo ed internazionale.
Ha trainato inoltre la nascita di iniziative minori in tutta l’area (da
“Scrittori in Città” a Cuneo a “Piemonte Noir” ad Orta). Risultato: il
Piemonte è una delle regioni italiane in cui si legge di più (52,3%
della popolazione legge almeno un libro l’anno), con un aumento che
sfiora il 10% rispetto al 1995, ben oltre la media nazionale. E
addirittura, secondo l’Osservatorio Culturale Regionale i lettori
sarebbero il 75% dei residenti di età superiore ai 10 anni: ovvero 3
cittadini su 4.
Luigi Grisolia
NOTE BIBLIOGRAFICHE
[1] – Solimine dedica un intero capitolo, assai interessante, alla
descrizione delle tipologie di lettori, soffermandosi in particolare su
quelli forti e quelli deboli (Cfr. pp. 63-92).
[2] – Una delle logiche conseguenze, che ha inevitabilmente ricadute a
livello economico e manageriale, è la seguente: «negli anni in cui ci
si affaccia al mercato del lavoro e nel periodo che rappresenta il
cuore dell’età lavorativa, la quota di lettura professionali (cioè di
lettori che leggono per motivi legati alla professione, Ndr) è pari ad
un misero 16,2%. [...] Considerando solo gli occupati, la percentuale
di lettori per motivi professionali sale al 19,1%, ma non raggiunge il
40% neppure tra coloro che occupano le posizioni più elevate (è pari al
38,4% tra dirigenti, imprenditori e liberi professionisti e al 27,2%
tra direttivi, quadri e impiegati)» (p. 30).
(di Luigi Grisolia da http://www.excursus.org)
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