Navigare oggi sul web
significa soprattutto avere ampia libertà di mente e di azione,
ottenere indistintamente la possibilità di raccogliere
approfondimenti e notizie spesso insabbiate o addirittura distorte
dagli altri consueti canali mediatici. Insomma, è indubbio che la rete
può diventare uno strumento utilissimo per chi ha un minimo di
coscienza su chi e cosa cercare attraverso le inesauribili possibilità
offerte. Internet e istruzione. Il fallimento delle tre “i” di
Berlusconi - (da dazebaonews.it)
E così capita che in questo scenario, a dir poco
rivoluzionario, ci sia chi vuol far credere dell’importanza
del web, ma poi finisce per temerlo tentando addirittura di ostacolare
questo fenomeno in continua espansione.
D’altra parte, e Assange ne è una prova, la rete fa troppa paura perchè
non è così controllabile come i poteri forti auspicavano.
Se in Italia dovessimo stilare un bilancio di fine anno ci accorgeremo
subito che le tre famose “i” di Silvio Berlusconi”, una delle quali si
riferiva proprio a internet è sparita dal suo programma politico fatto
di tante promesse mai mantenute.
Fino a tre anni fa, secondo un’indagine di Eurostat, il 59% degli
italiani non sapevano usare il computer, contro la media europea che
oscilla al 37%. Ora le cose sarebbero lievemente migliorate, grazie
anche all’introduzione dei social network, proprio come Facebook, che
ha trascinato come una vera e propria moda milioni di persone nel
web, molti dei quali prima di allora ignoravano come mandare una
semplice mail, oppure ritenevano il computer uno strumento marginale.
Ma se questi numeri sono soddisfacenti, almeno per Zuckerberg, il quale
può vantarsi di aver creato il sito più cliccato al mondo con oltre
mezzo miliardo di utenti sparsi su tutto il globo, in Italia le cose
peggiorano.
Una notizia passata inosservata con il famigerato pacchetto austerity
approvato dal governo Berlusconi ha infatti tagliato ben 800 milioni di
euro previsti per sviluppare la banda larga nel paese.
Sembrerebbe una coincidenza casuale, se non ci fossero in
ballo delle reti televisive che vanno difese al oltranza dalla
concorrenza spietata del web. Ma non solo. Anche qui il fattore
chiave è il controllo del cosiddetto quarto potere, generatore di
consensi elettorali, plasmatore delle menti più influenzabili.
Insomma sembra proprio che le aziende di Berlusconi non debbano essere
toccate. Così l’Italia resta ancora uno dei paesi più arretrati al
mondo, con un risicato 51% di persone che ha accesso alla rete, contro
il 93% della Svezia, l’85% della Gran Bretagna e l’80% della Germania.
Per non parlare della Finlandia dove una legge stabilisce che la
banda larga è un bene comune al quale tutti i cittadini possono
accedere per diritto.
Un provvedimento sicuramente unico nel suo genere, che fa capire
come si muovano i paesi in cui la democrazia è una vocazione radicata.
Tecnologia e informazione, infatti, viaggiano di pari passo, almeno
nella rete, e per questo tagliare un settore significa sopprimere anche
la possibilità di accedere a determinate conoscenze. Ma non solo.
Pensiamo a tutti i nuovi dispositivi mobili commercializzati negli
ultimi mesi, alle nuove applicazioni disponibili, che in molte zone
d’Italia sono pressoché inaccessibili per la mancanza di connessioni
appropriate che ci rendono ancora una volta il fanalino di coda
rispetto al resto dell’Europa.
A questo scenario si aggiungono le altre “i” tanto decantate da
Berlusconi: imprenditoria e inglese. Due settori inevitabilmente legati
al settore della pubblica istruzione, la chiave di volta per la
rinascita di un paese. Un vero paradosso se ci pensiamo bene.
L’indagine iniziata nel 2000 e condotta dall’Università di Pisa,
“Programme for international assestment” promossa dall’Ocse è a dir
poco sconfortante. L’Italia nella classifica mondiale sul livello di
istruzione nei maggiori paesi industrializzati è finita al 29° posto e
l’Ateneo più antico del vecchio continente, quello di Bologna, non
compare più nella classifica delle 200 università più prestigiose nel
mondo. Insomma un ciclo davvero diabolico, una sorta di strisciante
“Fahrenheit 451″, tutto italiano questa volta. La parola d’ordine è
sempre la stess: bruciare la conoscenza e il futuro delle
generazioni a venire
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