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Riforma: Le riforme hanno bisogno di condivisione, come quella della scuola che appartiene alla Nazione.

Redazione
Qualcuno già parla di un ritorno del “68 dopo le manifestazioni studentesche che stanno incendiando in questi giorni l'Italia da nord a sud e con occupazioni di torri e di tetti, di scuole e di piazze, compresa quella di Montecitorio con i disordini che hanno fatto gridare a leggi draconiane, come l'arresto preventivo. Tuttavia la situazione è assai diversa rispetto a quel mitico tempo, perché quarant'anni fa la ribellione degli studenti informò di sé tutta l'Europa e, oltre alla richiesta di una nuova e più dignitosa cultura, si inserì anche l'idea della liberazione della donna dai pregiudizi medievali, più altre faccende che ancora fanno gridare alla ministra Gelmini odio e vendetta contro quella straordinaria esperienza di crescita ideale e che lei ha ridotto al “sei politico” e a un egualitarismo sciatto.  
Oggi la rivolta degli studenti è ben altro e la materia interessa solo la nostra Nazione, con una punta polemica anche in Inghilterra,  ma per effetto della crisi e per il chiaro intento del nostro Governo di ridurre le spese a danno proprio del sapere che a quanto pare non dà da mangiare.  La cosa che tuttavia fa male e che lascia l'amaro in bocca, e non solo agli studenti accusati sempre e comunque (anche nel “68) di strumentalizzazione da parte della sinistra o da fantomatici pupari complottisti, risiede in questo volere a tutti i costi riformare la scuola a colpi di decreti, come se Brenno, il capo dei Galli Senoni che nel 390 a.c. mise la sua spada su un piatto della bilancia che pesava l'oro dei romani, fosse ancora d'attualità. Infatti l'istruzione non dovrebbe avere colore politico, né interesse partigiano, come la sanità, la giustizia e come le infrastrutture, ad eccezione del ponte sullo Stretto che è diventato anch'esso campo di battaglia politico. La cultura di una Nazione è il suo patrimonio più importante e più prezioso, il bene massimo la cui trasmissione è affidata alla scuola e ai suoi docenti, per cui stabilire le modalità delle sua diffusione a un solo gruppo politico appare riduttivo oltre che pericoloso per il semplice fatto che se questo governo cade e sale uno di sinistra sembra  lapalissiano il travolgimento dell'impianto gelminiano, soprattutto  dopo le pesanti accuse contro il riordino partite dalla odierna opposizione compresa quella di Gianfranco Fini. Da qui la spada di Brenno: chi vince impone la sua forza e mette il peso della sua vittoria, e quindi della sua visione del mondo, sulla bilancia della cultura, come se fosse “cosa sua” e non della intera Nazione. Se si riflette bene non c'è da stare allegri, visto pure che qualora  i vincitori non lo facessero perderebbero i consensi che al momento hanno garantiti. Un gioco delle parti che spaventa ma che nello stesso tempo depone contro l'attuale maggioranza che non ha sentito  il bisogno del confronto, del parere e del conforto  delle altre forze politiche, sociali, sindacali e delle associazioni di categoria, tenute tuttavia sempre al margine di qualunque scelta politica. Una riforma condivisa (bipartisan diremmo con terminologia comune) resiste non solo alle intemperie rivoluzionarie di qualunque movimento degli studenti e no, ma anche al tempo e a tutte le ventate politiche oppositive, perchè sarebbe difesa e garantita con determinazione universale da tutti gli schieramenti e da tutti i Governi. Sicuramente è chiaro a tutti che la scuola aveva bisogno di una riforma e non solo sul piano della sua conduzione ordinamentale, che è  l'aspetto  più visibile, percepibile e dibattuto relativamente agli indirizzi di studio e alle discipline, ma anche sul piano della su governance, della sua capacità cioè di gestirsi e di progredire, di trovare una direttiva per governare i suoi processi didattici e di sviluppo, sia al suo interno, e sia all'esterno col territorio, gli enti locali e lo Stato. Avvizziti i decreti delegati, adottati nei primi anni “70, la scuola soffre di una sua gestione interna stanca e poco funzionale ai mutati tempi e che nonostante l'autonomia non riesce a uscire da una sua intima auto referenzialità, da una difficoltà a trovare nuove strade per crescere meglio e meglio inserirsi nel territorio. All'invecchiamento  dei decreti delegati  si sta cercando di rispondere con meccanismi legislativi che non hanno di mira la valorizzazione della autonomia scolastica e una più moderna governance della scuola, ma solo con interventi legislativi autoritari e pesantemente incombenti sulla libertà di insegnamento dei professori e perfino nei rapporti interpersonali, assimilando la funzione educativa con quella di un grigio travet nei vari uffici della pubblica amministrazione.
(da I Vespri)

Pasquale Almirante
p.almirante@aetnanet.org








Postato il Mercoledì, 22 dicembre 2010 ore 16:00:00 CET di Pasquale Almirante
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