Ci sono fatti
eclatanti in questo nostro vacillante paese che non si capisce perché
non abbiano il loro giusto rilievo “mediatico”, come ora si dice, e
perché, comunque, non scatenino indignazione generalizzata. Qualcuno
può pensare che, oggi come oggi, ben altri, rispetto a quelli di cui
qui si parla, siano i mal di pancia. Può darsi. Anche se non ne sono
convinto. Sono dell’avviso invece che tutto alla fine si leghi.
Mi sto riferendo qui al fatto che quest’anno scolastico fa registrare
ben 1497 reggenze (dato attendibilissimo della struttura nazionale dei
DS della FLC – CGIL) per 10431 scuole; questo significa che un numero
pari al 14% del totale delle nostre scuole ha un dirigente che è
contemporaneamente dirigente di un’altra scuola. In alcune regioni,
questo dato, in sé drammatico, diventa tragico. Come, ad esempio, in
Lombardia dove un quarto di tutte le istituzioni scolastiche non ha un
suo dirigente, ma lo condivide con un altro Istituto: 291 su 1286 (25%
circa)
Il dato in sé non esprime a pieno la gravità della situazione. Perché i
casi di governo a dir poco problematico delle nostre scuole, per via
delle reggenze, vanno moltiplicati per due. Le sofferenze infatti
riguardano non solo le scuole con “reggenti”, ma anche le scuole di
titolarità dei dirigenti impegnati in altro Istituto. Probabilmente ci
sono tra questi tanti colleghi “navigati” per i quali la gestione di
due scuole non rappresenta un grande problema. Può darsi ci siano casi
del genere. Anche se ritengo che il problema della gestione di un
Istituto scolastico, se si affronta sottovalutando l’”esserci” a scuola
anche come presenza fisica, non abbia grosse possibilità di essere
risolto al meglio.
Va inoltre considerato che oggi non ci sono scuole semplici e scuole
complesse. Oggi tutte le situazioni sono difficili. Ci sono certo
differenze, anche sostanziali. Ma, in nessun caso, per quanto ne
sappia, ti trovi davanti a situazioni “indolori”. Perché una scuola di
massa non è per definizione semplice, perché in questi anni il numero
degli stranieri è molto cresciuto, perché il problema dei disabili è
ormai un problema consistente, perché la demotivazione dei nostri
insegnanti, abbandonati a se stesi, è ormai patologia, perché le nostre
scuole sono sempre più povere e i bisogni sempre più urgenti e pesanti,
perché i saperi disciplinari e quelli pedagogici e didattici
richiederebbero una manutenzione continua delle professionalità, ma la
formazione è ancora un optional praticato positivamente, nella maggior
parte dei casi, solo dai già formati, eccetera, eccetera.
Ma c’è ancora un altro aspetto paradossale che va segnalato. Quest’anno
ha preso l’avvio il riordino della scuola superiore, una riforma
“epocale” per il nostro ministro, che penso non sappia con precisione
di cosa si tratta. Un’opportunità per tanti (al netto dei tagli che
pure rappresentano, per come sono stati fatti, una scelta sbagliata e
controproducente sotto vari aspetti). Tanti che, ora come ora, non
possono che prendere atto, ancora una volta, a. che le riforme fatte
così non servono; b. che permettere che tante scuole abbiano dirigenti
“dimidiati” - nelle loro competenze di motivare, promuovere,
organizzare e gestire le innovazioni - significa non credere nelle
riforme che si dice di volere. E questo per la semplice ragione, di cui
c’è ormai diffusa consapevolezza, che i cambiamenti non li determinano
gli ordinamenti che si emanano, ma le azioni mirate e convergenti,
espressioni di una governance diffusa e responsabile del sistema scuola
ai vari livelli. Che sia in grado di registrare allineamenti,
scostamenti, accomodamenti, diversificazioni, rispetto agli obiettivi
proposti negli ordinamenti; ma anche di individuare misure di
accompagnamento che permettano di procedere per approssimazioni
successive (non, molto probabilmente, le stesse ad Acireale e a
Vipiteno).
Chiedete in giro nelle scuole – a studenti, genitori, docenti - che ne
è di questa riforma, dei nuovi percorsi formativi, degli obiettivi
formativi, della laboratorialità, della certificazione delle
competenze, che quest’anno dovrebbe essere garantita a tutti i ragazzi
che escono dai nostri bienni e di cui nessuno sa niente. Ma io lo
chiederei in primo luogo al nostro ministro.
Aveva sollevato una qualche ventata di speranza l’idea di poter
svolgere i concorsi per futuri dirigenti nel corso di quest’anno
scolastico, per rendere possibile la copertura di tutti i posti vacanti
già nel prossimo. E per garantire, se pur rinviata di un anno, una
situazione di simil - regolarità alle nostre scuole. Ma ragionamenti
miopi, se non sono lucidamente irresponsabili - perché dettati da
logiche di “risparmio” dissennate - hanno portato a tenere nei cassetti
ministeriali per mesi e mesi il bando di concorso. Così che si arriverà
probabilmente a marzo per sapere se si potranno attivare tutti i
passaggi previsti dalle procedure concorsuali. Passaggi che non
potranno ovviamente concludersi che nel corso del prossimo anno
scolastico. E così, il numero delle reggenze, sulla base di dati
stimati addirittura al ribasso, si teme arriverà a 2500 (e quindi il
numero delle scuole a vario titolo coinvolte arriverà alla metà).
Sciatteria amministrativa o miope calcolo tremontiano? In nessun caso
però ci si salva. I risparmi, derivanti dalle reggenze (il 60% della
somma complessiva che sarebbe necessaria per coprire i posti vacanti
con dirigenti di ruolo), rappresenterebbero comunque ben poca cosa
nelle politiche di risanamento della nostra finanza pubblica; mentre
già ora si tocca con mano il danno enorme per il funzionamento delle
nostre scuole, costrette per due anni di seguito a fare a meno di
dirigenti nel pieno delle loro funzioni, non solo formali.
Qualcuno dirà: ma perché i dirigenti non si ribellano a questo stato di
cose? Le risposte possibili sono tante. Qualcuno dirà che fanno comodo
600 euro circa in più al mese, soprattutto se si è alla fine della
propria carriera e quindi la somma può incidere sulla buona uscita;
altri diranno che l’accettazione nasce da senso di responsabilità. Ma
la spiegazione che in genere si dà, formalmente ineccepibile, è che il
CCNL 2006 dei Dirigenti scolastici prevede l’obbligo dell’accettazione
a seguito di nomina da parte del Direttore Scolastico Regionale. Si
tratta però di capire a questo punto se l’obbligo è legittimo in tutti
i casi o solo in situazioni eccezionali e quindi su numeri
assolutamente contenuti (fisiologici). Ma è questo il caso? Anche
perché, delle due, una: o l’Autonomia scolastica è scelta strategica
del nostro ordinamento e quindi è fondamentale la figura del DS per il
suo mantenimento e il suo sviluppo (come è chiaro dalla L. 59 del 2007,
art. 21) oppure si tratta di un orpello da tirare in ballo per
riempirsi la bocca quando fa comodo.
Qualche altro si chiederà invece perché non si ribellano le scuole. O
le associazioni professionali, le associazioni dei genitori e quanti
hanno a cuore le sorti della nostra scuola Bella domanda. Ma di ardua e
complessa risposta, che qui si preferisce considerare un po’ “fuori”
rispetto dagli intenti di questa nota. Va comunque detto che,
probabilmente, neanche la pressione dei sindacati è stata quella che
era doveroso aspettarsi per una questione così grave. La percezione che
si ha comunque è che il nostro Ministero ascolti solo se stessa
attraverso l’udito di Tremonti.
Oltre che clamorosa in sé, non è, questa storia, una metafora possibile
del nostro malconcio paese? A me pare proprio di sì.(da ScuolaOggi di
Antonio Valentino)
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