Un’altra giornata di protesta. Centinaia di migliaia di studenti
sfilano per le strade di tutta Italia, con la flebile speranza che un
voto di sfiducia possa impedire l’ultimo atto di distruzione
dell’istruzione pubblica, l’approvazione del DDL Gelmini
sull’università. Una giornata di protesta, che si aggiunge a quelle
messe in atto in questi ultimi mesi, che hanno visto studenti medi e
universitari protagonisti non solo di manifestazioni, occupazioni di
istituti pubblici, forme di dissenso più o meno originali, ma anche di
assemblee e di momenti di confronto con ricercatori, professori e
personale amministrativo delle scuole e delle università. Hanno parlato
della riforma, gli studenti, in questi mesi, ma anche della scuola che
non c’è, di quella che vorrebbero, dei problemi di chi a scuola studia
e lavora. Tutto ciò, mentre la classe docente trova un’inusitata
compattezza e reagisce bloccando in centinaia di scuole di ogni ordine
e grado viaggi di istruzione e attività aggiuntive, rifiutando cattedre
con più di 18 ore, per favorire l’assunzione dei colleghi precari, e
non accettando di fare supplenze durante le ore libere. Tutto ciò,
mentre il personale ATA, colpito duramente dai tagli e privato
dell’apporto dei colleghi e delle imprese private, a cui veniva
appaltata la pulizia delle scuole, comincia a reagire, rifiutando gli
straordinari e diventando parte attiva all’interno dei movimenti in
difesa della scuola pubblica. Tutto ciò, mentre scuola e università si
riconoscono come attori di una battaglia comune per difendere
l’istruzione pubblica e per elaborare un progetto di riforma degno di
questo nome.
E’ su questa strada che bisogna proseguire, se si vuole che il tema
della formazione e quello del diritto allo studio siano al centro
del dibattito sociale. Ciò che è successo in questi ultimi mesi
dimostra che è possibile. Come è possibile che nelle scuole individuate
in quattro città italiane (Torino, Pisa, Napoli e Siracusa) per avviare
un progetto sperimentale di valutazione di istituti e insegnanti, i
docenti boccino la sperimentazione, che vincola la distribuzione delle
risorse economiche a una misurazione dei livelli raggiunti dagli
alunni, attraverso i test Invalsi, e che subdolamente insinua dentro la
scuola pubblica la più becera logica meritocratica, che trova nel
decreto Brunetta la cellula-madre. E’ un fatto importante, che oppone a
populistici ragionamenti sulla necessità di valutare gli insegnanti, la
dignità di una classe di lavoratori che vogliono difendere un’idea di
insegnamento come lavoro collettivo e che non riducono la didattica ad
una mera attività di preparazione per far sostenere agli alunni dei
test.
Intendiamo continuare la nostra azione di lotta accanto agli studenti e
ai ricercatori, e intendiamo continuare a ragionare sulla scuola, senza
sottrarci alla discussione sulla valutazione, ma avviando una
riflessione seria su cosa significa valutare, su cosa significa
formazione, sui risultati che la scuola dell’autonomia, quella dei
progetti e delle logiche aziendali, ha prodotto e sugli effetti che
essi hanno avuto sulla società. E vogliamo conoscere e far conoscere lo
stato delle nostre scuole.
Per questo, nei prossimi giorni, diffonderemo negli istituti della
nostra provincia un questionario, che ci consentirà a breve di
informare la cittadinanza sullo status delle realtà scolastiche di
Catania e del suo territorio, e per questo ci impegniamo a organizzare
nei prossimi mesi un convegno sulla scuola.
COORDINAMENTO IN DIFESA DELLA SCUOLA PUBBLICA STATALE-CATANIA