Sono due i dati Ocse
sui risultati scolastici, gli ormai famosi test Pisa, che più
colpiscono, uno a livello internazionale, l'altro italiano. Sullo
scenario globale spicca l'entrata in scena, e subito ai primi posti,
del campione cinese, Shanghai, a conferma dell'alta qualità raggiunta
dai sistemi educativi asiatici.
Lette in parallelo con le classifiche universitarie, le statistiche
premiano gli enormi sforzi che superpotenze come Cina e Giappone o
nazioni quali Corea, Singapore e Hong Kong dedicano da anni all'intera
filiera dell'istruzione. Si conferma così, se mai fosse necessario, che
il nuovo paradigma di una crescita impetuosa in quella parte del mondo
è destinato a durare, anzi a rafforzarsi, perché il successo nei test
Pisa di oggi garantisce nuove generazioni di studenti ben
preparati.
Per l'Italia il dato più eclatante è la straordinaria variabilità di
risultati non tra Nord e Sud, o tra regione e regione, e neppure tra
città e campagna, come avviene per esempio nel caso dell'India.
No, in Italia il tasso abnorme di varianza si misura nell'arco di
qualche metro, quello che separa, nella stessa regione, città e scuola,
un'aula dall'altra. La conferma arriva anche da un'analisi dei
risultati degli esami di licenza media, dove la forte escursione di
voti tra una sezione e l'altra non si può attribuire ad alcun fattore
sociologico esterno, ma solo alla diversa qualità degli insegnanti.
Questo dato singolare s'inserisce peraltro in un quadro più
incoraggiante rispetto ai risultati conseguiti nel 2004 e 2007.
Continuiamo a restare al di sotto della media Ocse, il che, in termini
di storia, tradizione e Pil non è davvero accettabile. Ma recuperiamo
posizioni rispetto al passato e, soprattutto, si accorcia la distanza
tra Nord e Sud del paese, uno dei dati più eclatanti delle precedenti
rilevazioni.
Il miglioramento si deve a una combinazione di diversi fattori. Il
primo è la maggiore apertura che docenti e studenti incominciano ad
avere verso forme di valutazione standardizzate.
Solo due anni fa molte scuole, forse per pregiudizio ideologico, forse
scoraggiate dal timore di risultati deludenti, rifiutavano i test
Invalsi in terza media e in seconda e quinta elementare, che nel
frattempo sono stati resi obbligatori. Familiarizzare con queste
modalità di valutazione dell'apprendimento non significa rinunciare ad
altre, magari di compasso più ampio. Ma anche i grandi clinici misurano
la febbre col termometro e queste prove restano le uniche adatte a
fotografare su larga scala i livelli di rendimento in competenze
basilari come appunto la capacità di lettura, la matematica, le scienze.
Un secondo fattore da tenere presente è che anche in un paese come
l'Italia, dove la valutazione è ancora spesso sentita come una forma
autoritaria di controllo, quando non di punizione, si sta evidentemente
facendo strada una visione meno ideologica e più concreta, che le
riconosce un valore soprattutto prospettico. Sapere che il proprio
lavoro sarà oggetto di valutazione indipendente rappresenta uno stimolo
tanto più efficace quanto più è correlato al raggiungimento di
obiettivi ben definiti e anch'essi, tendenzialmente, sottratti
all'arbitrio di scelte soggettive. Lo studente consapevole del fatto
che da una buona preparazione liceale dipende, per esempio, la
possibilità di accedere al corso universitario preferito, non solo
tenderà a lavorare di più, ma sarà meno indulgente nei confronti
d'insegnanti poco preparati, che lo danneggerebbero quindi in modo
tangibile.
Gli investimenti sulla valutazione, infine, stanno evidentemente dando
i frutti sperati. Questo vale soprattutto in relazione al miglioramento
del Sud: all'interno del Programma operativo nazionale istruzione,
riservato al Sud, tutti i fondi per la formazione sono stati
concentrati sulle competenze di base, coinvolgendo più di 26mila
insegnanti nelle diverse iniziative; e la Puglia, che vanta i progressi
più significativi, è la regione che è riuscita a utilizzare una
quantita maggiore di risorse e coinvolgere un numero maggiore
d'insegnanti.
'impegno dei singoli docenti gioca infatti un ruolo decisivo se si
vuole superare la variabilità di risultati a livello locale, altrimenti
inspiegabile. E non c'è dubbio che un paese avanzato deve poter contare
su di un sistema scolastico che riduce al minimo le variabili locali: è
questa l'unica strada per favorire una reale mobilità nazionale, in cui
gli studenti siano sempre meno costretti ad adattarsi all'offerta
formativa sotto casa e diventino invece liberi di scegliere il tipo di
studi e la sede che preferiscono. Poiché la massima parte delle nostre
scuole è statale, ci sono le condizioni di partenza per puntare a una
maggiore uniformità dei risultati educativi. Per ottenerla non si può
far altro che insistere sul binomio valutazione-incentivi, perché la
scuola, come la storia, cammina sulle gambe degli uomini e delle donne,
cioè di docenti più o meno preparati e più o meno motivati. Sono loro,
che, letteralmente, fanno la differenza. (di Alessandro Schiesaro
da IlSole24Ore)
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