Parola d’ordine:
tornare a studiare. Adulti compresi. Anzi di più, soprattutto loro. E
specie se italiani. La cosa giusta, a guardare in prospettiva, sarebbe
stata mai smettere di farlo perché se è vero che l’educazione costa,
l’ignoranza non è da meno. E al nostro Paese presenterà presto il conto.
Stando alle proiezioni del Cedefop, Centro europeo per lo sviluppo
della formazione professionale, nel 2020 i due terzi dell’occupazione
si concentreranno nel terziario, il settore che garantisce servizi alle
famiglie, alle imprese, alla collettività in generale e che, quindi, ha
bisogno di persone costantemente aggiornate, preparate al passo con i
tempi, capaci di proporre soluzioni e pensare programmi non datati. In
pratica, l’identikit del «lavoratore» tipico, dall’infermiere al
consulente aziendale, sarà quello di chi ha fatto scorta di corsi ed è
«affamato» di aggiornamenti per raggiungere competenze maggiori. Avrà
alti livelli di conoscenze e un’abilità tecnica non indifferente.
Istruzione e formazione saranno di ottimo livello. Requisito che varrà
per ogni professione, pure per quelle che, oggi, vengono
tradizionalmente considerate «elementari»: da chi pulisce le aule a
scuola a chi si occupa di volontariato.
Fin qui, tutto bene. Certo non tutti apprezzeranno l’idea di non poter
smettere di studiare, ma il tasto dolente è un altro: nemmeno a dirlo,
dal punto di vista del «lifelong learning», appunto, il nostro paese
rispetto all’ Europa è già in ritardo.
Ad affermarlo è «Treellle» che ha presentato un convegno a Roma
sull’educazione e la formazione degli adulti nel continente. A
coordinare gli interventi - tra gli altri quello del presidente
dell’associazione Attilio Oliva, del ministro del Lavoro e delle
Politiche Sociali, Maurizio Sacconi, del direttore della Caritas
italiana, Don Vittorio Noza e del vice presidente di Confindustria per
l’«educational» Gianfelice Rocca - è stato il presidente Mediaset,
Fedele Confalonieri. Il quadro della situazione italiana tracciato è
sconcertante: i dati sulla qualità della preparazione dei lavoratori
italiani, rispetto a quella degli altri Stati dell’Ue sono allarmanti.
Secondo le proiezioni, l’Italia avrà la maggiore percentuale di «forza
lavoro» con bassi livelli di formazione e competenza: la media europea
sarà del 19% quella italiana del 37.
Non è un caso se la popolazione adulta che da noi ha raggiunto al
massimo il titolo di scuola media è il 48% mentre è il 29% nel resto
d’Europa. E se l’età si abbassa, la situazione non migliora: gli
italiani tra i 25 e 35 anni che hanno in mano un diploma secondario
sono il 31%, in Francia sono il 17, in Germania il 15. Complessivamente
il 35% della nostra popolazione vive in una situazione di sostanziale
«illetteratismo»: e non padroneggiare la lettura, la scrittura e il
calcolo, significa essere esclusi dalla vita sociale e professionale.
Si tratta di un deficit di «capitale umano» che mal si amalgama ai
cambiamenti epocali in atto: la scarsa natalità, l’allungamento della
vita, l’immigrazione, la mobilità di lavoro e lo sviluppo della
tecnologia. Un’emergenza che rallenta lo sviluppo interno e la
competizione con l’esterno. E che frena la spinta in avanti di un
intero paese.(da La Stampa di Elena Lisa)
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