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Leggi: Le chicche di orrore del Codice Brunetta nelle scuole

Rassegna stampa
E' stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale del 31 ottobre scorso, ed è arrivata alle scuole solo in questi giorni, il Decreto legislativo del 27 ottobre 2009, n. 150: "Attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni".
Non sorprendano i termini temporali della perfezione giuridica. Vischiosità abbastanza usuale tra l'apparato politico e quello giuridico amministrativo. Ma andiamo alla sostanza. Il nuovo regolamento, passato oramai alle cronache come Codice Brunetta, disciplina in modo nuovo i rapporti tra dipendenti ad amministrazione pubblica, anche delle scuole. Vi sono in esso numerose chicche di orrore.
La prima: la conoscenza di tutta quanta la materia è demandata, per norma scritta, ad internet. Chi non usa il computer e non ne è a conoscenza non può trovare scuse d'ignoranza. La pubblicazione sul sito della scuola e dell'amministrazione ministeriale sostituiscono in tutto gli obsoleti codici in forma cartacea (comma due, articolo 55, decreto numero 165, 2001, riformulato). Ma siamo ancora alle quisquilie.

Il capo d'istituto ha praticamente competenza esclusiva, salvo una parvenza di opposizione che non ha potere ostativo, per il rimprovero verbale, il rimprovero scritto, la multa sino a quattro ore e la sospensione sino a dieci giorni con sospensione dello stipendio. Il preside decide in tutta solitudine quale decisione prendere anche dopo aver letto l'ipotetica opposizione scritta od orale del dipendente, che non può appellarsi a nessun organo superiore. Per la sospensione di più di dieci giorni, il licenziamento con preavviso o senza preavviso la competenza passa all'Ufficio procedimenti disciplinari del luogo dove è avvenuta la supposta infrazione. Sono stati aboliti tutti i luoghi di discussione arbitrale con l'unica limitazione, per gli Uffici competenti, del rispetto delle temporalità previste per l'ascolto o la lettura delle opposizioni scritte od orali che i dipendenti possano produrre. Ma il solo ricorso reale diventa la magistratura ordinaria.

Un complicato sistema si instaura per i rapporti tra le condanne in sede penale del dipendente condannato in via ordinaria per reati di varia natura. Tali condanne fanno scattare automaticamente il licenziamento mentre all'assoluzione nella stessa sede non segue meccanicamente il reintegro sul posto di lavoro (comma due, articolo 55-ter). Vi sono anche sanzioni per chi si rifiuta di collaborare, tradotto in vulgaris, per chi non vuole fare la spia (comma 7, articolo 55-bis) "..il lavoratore dipendente o il dirigente, appartenente alla stessa amministrazione pubblica dell'incolpato o ad una diversa, che, essendo a conoscenza per ragioni d'ufficio ...di informazioni rilevanti ...rifiuta, senza giustificato motivo, la collaborazione richiesta....è soggetto all'applicazione della sanzione disciplinare della sospensione del servizio con privazione della retribuzione ...fino ad un massimo di quindici giorni..". Viene in mente immediatamente l'abiura di Galileo Galilei resa al tribunale dell'inquisizione nel 1633.

Ma il tutto sarebbe ancora in piedi se i casi da sanzionare fossero quelli di malversazione e di furto di tempo e/o di denaro all'amministrazione. Questi casi sono comunque contemplati: falsa attestazione di presenza in servizio, false dichiarazioni per la progressione di carriera, condanna penale definitiva, ingiustificato rifiuto del trasferimento.

Ma c'è un caso che lascia basiti, l'orrore giuridico e politico della faccenda: gravi condotte aggressive o moleste o minacciose o ingiuriose - fin qui va bene NDR - o comunque lesive dell'onore e della dignità personale altrui. Ecco il punto dolente. Intanto come si fa a dimostrare la lesività dell'onore in termini oggettivi e poi l'onore di chi? Evidentemente non c'è chi non pensi a critiche anche radicali ai ministri interessati e fonte di tanta sapienza giuridica.

Spiace dover ricordare a chi professa una posizione totalmente liberale, Immanuel Kant. In un suo breve scritto, "Risposta alla domanda: Che cos'è l'illuminismo" Kant ci dice"...il pubblico uso della propria ragione deve essere libero in ogni tempo ... mentre l'uso privato della ragione può anche più spesso essere strettamente limitato... Intendo per uso pubblico l'uso che della propria ragione l'uso che uno ne fa come studioso davanti all'intero pubblico dei lettori. Chiamo invece uso privato della ragione quello che alcuno può farne in un certo impiego e funzione civile a lui affidata."

In soldoni: durante il lavoro si ubbidisce e dopo si può criticare. Al di là della possibile concordanza con tale posizione kantiana , che qualcuno potrebbe non condividere, la norma Brunetta si situa addirittura in una situazione pre-kantiana. Immaginiamo un collegio docenti dove un insegnante si azzardi a dire la sua su una disposizione dell'amministrazione. Per quanto riguarda il Decreto legislativo in oggetto quel momento si configura come ambito lavorativo, ma è anche un ambito propriamente di discussione collettiva, pubblica. Così come il Consiglio d'istituto o un'assemblea sindacale in orario lavorativo. In questi luoghi, secondo la noma che stiamo esaminando, non è possibile elevare critiche che "potrebbero essere lesive dell'onore dell'amministrazione o delle persone", evidentemente ministri e altre figure dirigenziali, che in essa lavorano.

Tali momenti si configurano anche come momenti pubblici della ragione che Kant ci dice debba essere libera da vincoli, naturalmente fatta propria la decenza e l'attenzione verso atti penalmente rilevanti, l'ingiuria ad esempio. Ma la casistica ministeriale lascia troppo spazio all'indeterminatezza ed al potere del preside, che vien così elevato a padre- padrone dell'insegnante e dei lavoratori ATA, senza che la sua pozione professionale diventi altro da quella di esser, seppur privilegiato, un dipendente. Il privilegio lo si evince, in questa materia dal diverso trattamento economico anche in casi di sospensione dal servizio che non contempla, per questa figura, la sospensione totale dallo stipendio.

Ambiguità e strette repressive che ancora di più ci spingono nel baratro della barbarie giuridico-culturale.

Tiziano Tussi (da Fuoriregistro)

redazione@aetnanet.org








Postato il Venerdì, 26 novembre 2010 ore 14:41:23 CET di Pasquale Almirante
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