Ci sono due
percezioni alla base della convinzione che lavorare a nuovi modelli di
governo del sistema scuola sia oggi una priorità.
La prima: si avvertono sempre di più la fatica e la difficoltà a dare
gambe a obiettivi di istruzione e formazione volti a garantire livelli
di cittadinanza propri di una nazione civile e democratica. Così pure
la solitudine delle scuole e la loro autoreferenzialità - che è causa
non marginale della loro inadeguatezza e del loro progressivo declino -
non possono essere tollerate più a lungo.
L’idea di una scuola equa, giusta, trasparente e responsabile appare
sempre più lontana, perché non si vede all’orizzonte un modello di
governabilità del sistema e delle sue articolazioni (un modello di
governance, appunto, per usare un termine importato dal mondo
anglosassone) che sia in grado di attivare leve, risorse per invertire
l’attuale direzione di marcia.
La seconda: si avverte con sempre maggiore evidenza la sensazione
che il primato degli ordinamenti – che caratterizza da sempre la
corrente nozione di “riforma” - è inadeguato a determinare i
cambiamenti che attraverso di essi vengono sollecitati. Si continua a
pensare, infatti, da parte della nostra classe dirigente, che, fatta la
legge, ipso facto, la riforma si realizza e l’innovazione è garantita.
Esempio ultimo: i Regolamenti del Riordino e della Riforma delle
superiori. Le Linee Guida, le ”innovazioni” dei dipartimenti e del
Comitato Tecnico Scientifico, ma anche delle competenze chiave, della
progettualità e delle nuove strategie di insegnamento ipotizzate dai
nuovi ordinamenti, sono destinate a rimanere sulla carta o a restare
inefficaci, se qualcosa non cambia nel governo del sistema. Mai come
adesso si percepisce la fondatezza della ormai famosa espressione On ne
pas changer la societé par décret (Croiset 1979). Nel senso che le
trasformazioni sempre meno dipendono dai livelli macro della politica e
che non vi è più relazione diretta tra provvedimenti normativi e azione
organizzativa: il cambiamento si sviluppa infatti attraverso processi
complessi di traduzione nella pratica. La prospettiva della traduzione
delle “politiche” ha spostato l’attenzione sulla materialità
dell’azione organizzativa nei singoli Istituti scolastici: è questo che
permette di cogliere gli effetti di allineamento o di trasformazione o
anche di resistenza, rispetto a quanto definito sul piano normativo.
C’è infine una ragione particolarmente evidente a livello di governo
delle singole istituzioni scolastiche: l’attuale modello degli OOCC, e
con esso la governabilità interna alle scuole, fa acqua da tutte le
parti. E a tal punto che ha giustamente fatto dire (Ricerca “Treelle”
2008) che è la non governance a caratterizzare, ai vari livelli,
l’attuale sistema d’istruzione del nostro paese.
Qualcuno obietterà giustamente che anche altre cose sono necessarie e
prioritarie per rimettere in sesto questo nostro sconnesso sistema:
nuove forme di reclutamento del personale, formazione / autoformazione
continua, una diversa carriera che premi i risultati e l’impegno
produttivo, una diversa idea di scuola centrata sui processi di
apprendimento, un diverso profilo docente in cui alleanza didattica,
coinvolgimento e laboratorialità e individualizzazione dei percorsi
formativi, siano elementi fondativi di una nuova professionalità.
Eppure ritengo che se l’attuale stato della governance non cambia, se
non individuiamo nuovi strumenti di regolazione della vita delle scuole
e del loro funzionamento entro nuovi modelli di governabilità del
sistema, nessuna innovazione sarà possibile.
La “perdita del centro”
A quest’ultimo proposito, si registrano, indubbiamente, da più di un
decennio ormai, elementi importanti di una svolta sul terreno delle
politiche che hanno a che fare con i modelli di governo dei vari
settori della pubblica amministrazione e della politica in generale.
Provo a richiamarli sulla base di una ricognizione che il prof Benadusi
ha fatto sulle cause e caratteristiche di questa svolta, in un articolo
scritto, nel 2008, per una rivista per Dirigenti Scolastici. In primo
luogo, la crisi dei sistemi centralizzati, come fenomeno diffuso (i
sociologi parlano di “perdita del ‘centro’”).
La svolta radicale rappresentata dall’avvento dell’Autonomia Scolastica
e la normativa del decentramento (enti politici territoriali e
soprattutto le regioni come architrave sul territorio del nuovo stato
federale) sono altrettante rappresentazioni di questa svolta.
E poi ancora, con riferimenti più attenti al mondo della scuola:
- la moltiplicazione dei soggetti in campo (l’accresciuto ruolo degli
enti politici intermedi, dal Comune alla Regione, ma anche delle
famiglie e di altri soggetti interessati al funzionamento delle scuole:
dal mondo delle imprese industriali e commerciali a quello delle
imprese culturali, in senso lato, e del tempo libero);
- il principio di sussidiarietà, sancito dal nuovo titolo V, che ha
formalizzato sul piano normativo questa idea di una governance
articolata ed aperta ad altri soggetti che concorrono alla sua
regolazione,
- l’emergere dell’istanza della individualizzazione dei servizi in
generale e dei processi formativi in particolare.
Si avverte ovviamente che questi ti orientamenti e le nuove direzioni
di marcia prima richiamate incrociano i temi del federalismo anche in
campo scolastico e quindi la questione dei problemi e rischi di
frammentazione e dispersione del sistema, insiti nei nuovi modelli
prospettati.
La condizione per una nuova governabilità
Ma se la necessità di trovare un antidoto all’autorefernezialità e alla
separatezza delle istituzioni scolastiche - con tutti i problemi che
comporta per il miglioramento e il rinnovamento del sistema - può
giustificare il ricorso ad una governance “aperta” ad altri soggetti,
si tratta di capire però preliminarmente quali dispositivi vanno
individuati e sperimentati perché l’Autonomia Scolastica (AS)
• non sia di fatto vanificata/ fagogitata / imbrigliata / retrocessa da
altri soggetti istituzionali (ministero e sue articolazioni, enti
locali e regioni),
• sia messa nelle condizioni di essere all’altezza del compito
istituzionale ad essa assegnata: garantire il successo formativo del
numero più elevato possibile di nostri giovani.
Rispetto alla prima direzione di lavoro, va richiamato il processo
d’involuzione che la riforma dell’autonomia ha progressivamente subito
negli anni successivi alla sua emanazione, caratterizzati da
legificazioni sempre più restrittive e centralistiche che hanno
spostato la barra sugli ordinamenti anziché sul carattere e gli ambiti
dell’autonomia previsti dall’art. 21 della L. 59. Il processo delle
autonomie scolastiche, iniziato nel 1997, prevedeva, come sappiamo, “un
vero e proprio patto tra autonomie e autonomia scolastica; e
l’autonomia scolastica era considerata il perno delle autonomie
territoriali, strumentali alla realizzazione dell’autonomia scolastica”
(Anna Maria Poggi nel recente Convegno dei Dirigenti Scolastici della
FLC , Firenze, ottobre 2010). Già sul nascere, quel disegno comincia a
perdere la sua impostazione iniziale: già nel ’98, col Decreto 112,
l’autonomia scolastica viene posposta a quella degli EE.LL (e la stessa
legge di modifica del titolo V del 2001 non scioglie il nodo).
I dispositivi
Oggi assistiamo a una ripresa del centralismo burocratico e,
conseguentemente, al fallimento dell’obiettivo del conseguimento
dell’uguaglianza – formale e sostanziale -, difficile se non
impossibile in un sistema centralizzato. Perciò oggi la sfida è portare
a termine il percorso cominciato con la L. 59 e riprendere il cammino
dell’Autonomia scolastica. La già citata professoressa Anna Maria
Poggi, ha inteso focalizzare l’attenzione su una serie di dispositivi
utili allo scopo:
a. le reti di scuola “strutturate normativamente”,
b. i sistemi interni di autovalutazione e di valutazione del sistema,
comprensivi del funzionamento delle scuole,
c. le Conferenze territoriali,
d. la possibilità di dare vita, assieme ad altri soggetti, a fondazioni
“concepite in un’ottica diversa da quella del disegno di legge ‘Aprea’”.
Ed ha, in quest’ottica, intrecciato il discorso dell’Autonomia
scolastica con quello del federalismo visto come uno strumento utile,
perché più capace di rimuovere i fattori sfavorevoli al raggiungimento
dei LEP (livelli essenziali di prestazioni) (o dei LEC, vale a dire, i
livelli essenziali di competenza - per dirla con un linguaggio più
aggiornato -, che spostano l’attenzione sui risultati in uscita, come
compito istituzionale delle scuole).
Anche Anna Armone e Dario Missaglia, nello stesso convegno, hanno
insistito sulla necessità di superare la pratica degli accordi separati
e di puntare invece all’istituzionalizzazione delle reti di scuola.
Reti di scuola che diventano così soggetti normativamente strutturati e
quindi formalmente legittimati a interloquire con gli enti territoriali
nella definizione delle politiche scolastiche sul territorio e nella
governance decentrata.
E’ da tale istituzionalizzazione che può conseguire l’inserimento delle
funzioni delle reti di scuola negli statuti delle regioni e l’avvio di
nuovi e più efficaci modelli di governo anche dentro le singole scuole.
Questa proposta indica certamente una strada interessante per
riprendere il cammino dell’Autonomia e prospettive più praticabili e
sensate al riguardo.
Ognuno però vede che sono ancora non pochi gli interrogativi che essa
pone. Ad esempio: quale nozione di rete (che non è certamente quella
dell’articolo 7 del Regolamento dell’Autonomia Scolastica) e quali le
sue connotazioni? Quali gli ambiti territoriali? E ancora: quali leve,
quali dispositivi perché l’auspicata istituzionalizzazione dia frutti
concreti?
C’è pertanto bisogno di un supplemento di analisi e di ricerca per
approdare su terreni più solidi e praticabili.
Alcuni paletti Comunque, già da subito, alcuni paletti possono essere
fissati per dare al sistema modelli di governabilità più coerenti col
dettato costituzionale. Ad esempio,
• il superamento del “paradigma dell’ordinamento” e la focalizzazione
di una condizione fondamentale dell’Autonomia scolastica: la
“padronanza” dell’organizzazione del lavoro (risorse, lavoro, sviluppo
organizzativo; l’efficacia dei modelli organizzativi: ambienti di
apprendimento, curricoli; controllo, valutazione, miglioramento),
associata alla rendicontazione sociale (Franco De Anna).
• Il principio di corresponsabilità: fondamentale, anche se di
difficile declinazione (quali i potenziali soggetti organici ad un
modello di corresponsabilità sociale? Quali gli strumenti?).
• Rispetto ai rischi di frantumazione e dispersione, considerazione
anticipata dei possibili antidoti. Per dirla con Benadusi, “Insieme
alle opportunità legati ad un modello di questo tipo, vanno colti
rischi e problemi il cui elenco potrebbe rappresentare un insieme di
ragionevoli vincoli di sistema, se utilizzati in modo intelligente.
Così, per la riforma delle superiori, obbligo di mantenersi in coerenza
col PECUP (Profilo Educativo Culturale e Professionale) e limitare
drasticamente la varietà ammessa degli insegnamenti obbligatori”.
Un nuovo modello non deve comunque significare solo nuova architettura
istituzionale (nuovi e diversi soggetti, relazioni, responsabilità), ma
esprimere una diversa cultura (rendicontazione sociale/accountability –
orientamento al risultato con connesse premialità) attraverso
dispositivi/ spazi/strumenti (coordinamento/verifica e valutazione,
formazione).
Né deve significare regolazione gerarchica. Solo una rete orizzontale
di relazioni garantisce buon funzionamento al sistema delle autonomie
chiamate in campo. Non solo. Nessun nuovo modello può risolversi in una
nuova mappa degli organi collegiali interni ed esterni alla scuola
uguali da Trento a Catania, ma deve invece legare il principio di
rappresentanza (di interessi) a quello di cooperazione e
corresponsabilità e ancorarsi al principio di realtà.
Esso, inoltre, presuppone un “territorio”, cioè soggetti (reti,
associazioni, uffici scolastici, enti) consapevoli e preparati, capaci
di una interazione “orizzontale” nei processi di governance, e,
ovviamente, investimenti e quindi risorse. Le attuali restrizioni
economiche, oltre all’asfissia del progetto che c’è dietro all’attuale
legislazione scolastica, fanno sì che ogni discorso sul tema si
presenti, per quanto importantissimo, con poche chance.
Un nuovo modello di governo delle scuole andrebbe necessariamente – e
urgentemente - definito entro tale quadro di riferimento.
Ma di questo, probabilmente, in una prossima puntata.
( da ScuolaOggi di Antonio Valentino)
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