In queste due opere la verità è ascosa. Non è pronunciabile. E tuttavia a saper interrogare i testi e forzare la tecnica della preterizione anche i silenzi parlano, significano qualcosa; le autocensure, le cancellature, le ferite e le cicatrici del testo a saperle leggere (e quindi ricostruire ) fanno emergere alla luce un corpo testuale che dice anche il non detto e il non dicibile.
Nel corpo “ cicatricoso “il Novellino manifesta l’infamia suppliziante del secolo ingrato e ipocrita. Come accadrà durante la Controriforma: “ Si conosceranno le cicatrici da ogni buon giudizio, e sarò scusato nel fare uscire il mio libro in questo modo, quasi esangue, perché lo scrivere della dissimulazione ha ricercato che io dissimulassi, e però si scemasse molto di quanto da principio ne scrissi”, dirà Torquato Accetto nel 1641, introducendo alla Dissimulazione onesta con le metafore di Quintiliano.
Il riferimento a Quintiliano e alla metafora del corpo-testo “cicatricoso” non è certo casuale; è, semmai, polemica nei confronti di una classicità della scrittura non più praticabile né recuperabile. Le regole della “emendatio” contemplate nella Institutio oratoria sono volutamente disattese, anzi le ferite e le operazioni chirurgiche dentro il corpo- testo sono ostentatamente esibite a testimoniare che la precarietà della scrittura dell’opera e il suo “ castigamento”, e il suo tormento, sono anche quelli del suo autore ( veritas indagatio per tormentum).
Attraverso la scrittura dissimulante lo scrittore racconta e si racconta; il discorso verbale si carica di allusioni e di richiami a sottocodici letterari ( abilmente manipolati e intrecciati tra di loro ), ricostruibili pure per “cenni “ o per “incisi”; come per “muta signa” le parole parlano, a volte astutamente irrelate, la polemica e la sfiducia e la delusione.
Scrive Giorgio Manganelli a proposito della Dissimulazione onesta:” l’autore è scriptor necans, sacrificato e sacrificante…Il “servitor” Accetto, sacrificando il corpo del proprio libro, ha compiuto una scelta morale, che è gesto di grande libertà”. E ancora; “:Nella Dissimulazione onesta il testo “assente”parla attraverso l’obliquità delle citazioni; attraverso i giochi ‘ritmici’ e la semantizzazione delle figure foniche…Accetto decapita e decauda citazioni facili che significano per ciò che in esse è stato tagliato”.La d i s t r u z i o n e, dunque, al posto dell’e m e n d a m e n t o la oscura brevità al posto del plane dicere, del dire per esteso; ma tutto questo, per dire di più “onestamente”, per essere – come argutamente qualche critico si è espresso - imprudentemente prudente.
Pure scrittore “necans” è Masuccio Salernitano. Anche il suo Novellino non è opera portata a rifinitura ( come invece prescriveva il classicismo quintilianeo ); è incompleto di “ notivoli parti”; privo di assai “delicature”, e diverso rispetto al progetto scrittorio iniziale.
Dopo la morte del suo signore Roberto Sanseverino, principe illustre e magnanimo, non è più possibile continuare a scrivere ( “non è lo scrivere concesso” ); ma la metafora della incompiutezza, del viaggio novellistico, che dall’incultura doveva portare alla cultura, dalla inciviltà alla civiltà umanistico-aragonese, e il cui approdo diventa, invece, un “contro-inizio”, è una sterzata tanto astuta, quanto polemica nei confronti della corte aragonese, e un graffiante atto di accusa contro l’amara ingratitudine dei potenti e “dotti signori”. E’ anche il segno di un’amara sconfitta che si consuma nell’esilio volontario dell’Arcadia “ insoave”, dove Masuccio si trova ad essere oramai “pastore” senza più “pecore”.
Il viaggio simbolico del Novellino fatto con “disarmata barca “ che, che dal tempestoso mare delle “detestande operazioni di certi religiosi”, doveva approdare alle “ istorie di singulare virtù” e alle” gran magnificenze da gran principi usate”, nel suo corso scrittorio – novella contro predica- ha dovuto subire un’inversione di rotta, ha dovuto sottoporsi a tagli e a camuffamenti, ricorrendo a quella industria di non far vedere le cose come sono, che è la ricetta della dissimulazione , come insegnava Accetto, per non urtare contro gli scogli della “interlocuzione lettoria”, divenuta ormai diffidente e sospettosa nei confronti dell’autore.
Il Novellino era stato scritto con l’intento di celebrare la civiltà umanistico-aragonese. La satira anticlericale e l’acido accanimento misogino connotano le prose di Masuccio. La sua scrittura, sostenuta e alimentata dagli ideali umanistici della cultura laica del secondo Quattrocento, si propone di competere con la parola “orale” dei predicatori e di denunciare la loro falsità e il loro illusionismo verbale tanto fascinoso quanto menzognero.
Questo impegno scrittorio dell’autore oltre ad essere un impegno etico-culturale è anche politico e sociale nella misura in cui lo scrittore, combattendo contro i falsi eredi di San Paolo, che le loro Artes esercitano ai danni dei “ simplices”, in effetti non solo mette in guardia i veri cristiani a non cadere nei “volpini lacci “ della falsa religione della chiesa predicante, ma intende difendere anche la comunità laica dalla invadente prepotenza del controllo clericale; indirizzare un messaggio alla classe politica e intellettuale del suo tempo, perché ponga un freno a codesta prevaricazione della Chiesa, e alla subdola coercizione da essa praticata sui “semplici”.
Nella stesura definitiva il Novellino acquista un significato “altro”. L’opera d’emendazione, -complice l’alchemico Pontano, - di censura e di autocensura, lascia trasparire una polemica e una insoddisfazione nei confronti di quella stessa corte che pure Masuccio aveva celebrata.
Ma attraverso il silenzio e il non detto, la polemica appare più risentita e pungente. Lo stesso Pontano, metafora della potenza alchemica della cultura che riscatta dalla bestialità, figura “autoriale” e codice umanistico di riferimento stilistico, a cui si contrappone quello anti-umanistico della predica bernardiniana , il mercuriale Pontano, che aveva apprezzato le “fabellae”, le “spicciolate”, è costretto a far rientrare la prosa polemica del Novellino nella camicia di forza della convenienza e della prudenza.
Ma la metafora, fra le altre, del mancato approdo all’Arcadia soave, restava aperta, a saperla decifrare, ad una ammiccante pluralità di significati!
testi consultati
*Torquato Accetto: Della dissimulazione onesta ( a cura di S.Nigro) ed.Laterza
*Novelle del Quattrocento ( a cura di G.Fatini) ,Utet, 1944
*G.Manganelli, Letteratura come menzogna, Adelphi, 2004
Nuccio Palumbo
redazione@aetnanet.org
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Postato il Domenica, 21 novembre 2010 ore 18:30:00 CET di Nuccio Palumbo |
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