La questione sociale diventa con sempre maggiore evidenza, nel nostro
Paese, una questione generazionale. Si riducono le aspettative di
benessere delle nuove generazioni, crescono le divaricazioni tra i
destini sociali dei giovani e tornano ad essere come un tempo
determinanti le eredità familiari e geografiche nello sviluppo della
personalità.
La crisi e le politiche finalizzate a contrastarne gli effetti hanno
drammaticamente peggiorato la condizione giovanile, mettendo a nudo
l’insostenibilità del nostro squilibrato modello sociale, perseguito
più o meno lucidamente negli ultimi vent’anni con responsabilità
diffuse. Un mercato del lavoro duale, che espelle i lavoratori con
contratto precario e a termine lasciandoli privi di tutele in tempo di
crisi – gli stessi che “sottoimpiega” e precarizza nei momenti di
“crescita” -, che mostra una cronica incapacità di impiegare
produttivamente la generazione più qualificata della storia della
repubblica, e che contribuisce alla crescita della diseguaglianza dei
redditi.
Chi non può contare sulla protezione familiare è esposto al rischio
povertà con livelli allarmanti nel Mezzogiorno, dove si concentrano
inoccupazione, precarietà, sottoinquadramento, abusi, nero e economia
criminale. Si assiste ad un ritorno della disoccupazione di massa,
all’estendersi della sottoccupazione e di quel grave fenomeno di
inattività “totale”, per cui si stima che oltre due milioni di giovani
italiani non siano inseriti né in un percorso formativo né nel mercato
del lavoro. Gli effetti sul modello di sviluppo sono chiari: si
sacrificano le forze più innovative, contribuendo a definire il destino
di un paese più iniquo e meno dinamico.
Dove, per la prima volta dal dopoguerra, la condizione dei figli
rischia di essere peggiore di quella dei padri. La precarietà non si
riduce alla sola dimensione lavorativa e non si esaurisce nel rapporto
tra singolo lavoratore e datore di lavoro, ma investe l’intera sfera
delle scelte di vita degli individui. Una precarietà “esistenziale” che
mina le potenzialità espressive e creative di ciascuno, alterando
persino i tempi “biologici”: dalla scelta di formare nuove famiglie e
famiglie “nuove”, all’affermazione dell’autonomia e della
responsabilità individuale. Basta con “i giovani disposti a tutto” pur
di sopravvivere! Adesso siamo disposti a tutto pur di cambiare e
migliorare questo Paese!
Chiediamo rispetto, dignità, pieni diritti sul lavoro e autonomia dalla
famiglia! Nell’attuale modello di sviluppo, l’etica del lavoro sembra
aver perso ogni significato. La nostra generazione è rimasta
intrappolata in un sistema dominato dalla logica della cooptazione,
impossibile da combattere individualmente. Istituzioni e organizzazioni
collettive non sono riuscite a contrastare efficacemente questi
modelli, e spesso hanno finito per assecondarne i meccanismi
clientelari e familistici. D’altra parte, essere dipendenti dalla
famiglia d’origine in Italia non significa solamente la possibilità o
meno di avere una casa o di accedere a quei servizi che un inefficiente
e imperfetto sistema di welfare non e’ in grado di offrire, ma anche
che sarà la rete di legami sociali familiari a consentire di trovare un
lavoro, bloccando spesso qualsiasi forma di mobilità sociale e anche di
creatività e rinnovamento nei più diversi settori economici e anche
nelle aree più ricche del Paese.
Un’immobilità che è fattore determinante del declino. In questa fase di
crisi, le forze sociali e collettive devono avere il coraggio e la
forza di invertire la rotta, promuovendo la valorizzazione del merito,
il rispetto delle regole, le garanzie di trasparenza: mutamenti nel
costume necessari per combattere l’ingiustizia sociale e restituire
libertà alle nuove generazioni. Vogliamo affermare una rinnovata etica
nei comportamenti pubblici e privati, come base della difesa dei
diritti individuali e collettivi, per un diverso modello di sviluppo
che comporti nuovi investimenti, nuove scelte economiche e nuove tutele
sociali.
Alla nostra generazione è stato detto che formarsi avrebbe comportato
maggiore “occupabilità”, più libertà di scegliere tra diversi lavori,
maggiore reddito, più possibilità di districarsi in un mercato del
lavoro altamente flessibile. La realtà è un’altra: un’intera
generazione ha studiato, ha conseguito lauree, specializzazioni, master
e dottorati per poi scoprire che il sistema produttivo italiano non
riesce ad aprirsi alle nuove competenze, ed essere troppo spesso
costretta a cercare altrove le possibilità di una realizzazione
individuale all’altezza delle proprie ambizioni e aspettative. Anche la
rigida distinzione tra lavoro manuale e lavoro intellettuale è ormai
fuorviante e superata: è evidente che, nei processi di lavoro, entrambi
vengono penalizzati dalla scarsa qualità dell’organizzazione del lavoro
e dei beni e servizi prodotti, dalla mancata valorizzazione del
lavoratore e delle sue conoscenze, dal basso grado di dialogo sociale.
Oggi la crisi economica si combina con scelte politiche miopi, volte a
restringere ulteriormente le opportunità di esercitare professioni
intellettuali: da un lato vengono introdotte ulteriori misure
corporative per l’accesso alle “professioni protette” e dall’altro si
continua a disconoscere l’universo delle “professioni non
regolamentate”. Il quadro è drammaticamente aggravato dai continui
tagli all’università, alla ricerca, alla scuola, all’informazione,
all’editoria, alla cultura, al cinema, agli archivi, ai musei, al
patrimonio culturale, artistico e ambientale. Una politica lungimirante
dovrebbe investire proprio su questi settori, affinché il Paese trovi
all’uscita dalla crisi le condizioni di uno sviluppo migliore rispetto
a quello perseguito in precedenza. Non vogliamo rassegnarci al
pessimismo e al disincanto irresponsabile che viene predicato con fare
paternalistico e spesso interessato: non lo accettiamo per noi ma
soprattutto non lo accetteremo per i nostri figli!
Chiediamo che si affronti con decisione la “questione generazionale”
che sta maturando, forse ancora inconsapevolmente e silenziosamente,
nel Paese. Il Futuro è dei giovani e del lavoro. Diritti e più
democrazia, cosi’ recita lo slogan della manifestazione che la Cgil ha
convocato per il prossimo 27 Novembre. Chiediamo una riforma degli
ammortizzatori sociali che sappia rispondere ai cambiamenti del mercato
del lavoro e alle trasformazioni della società italiana.
Chiediamo misure immediate per contrastare il precariato e la
disoccupazione giovanile. Chiediamo che la flessibilità non sia
sinonimo di precarietà e solitudine del lavoratore ma sia accompagnata
da misure di regolazione e di protezione sociale. Affrontare di petto
la questione generazione oggi significa dare una speranza e un futuro
al nostro paese. Occorre una decisa politica dello sviluppo che sposti
risorse dalle rendite agli investimenti produttivi per un modello
economico innovativo e sostenibile; occorre dare diritti e tutele a
tutto il mondo del lavoro, a prescindere dalla tipologia d’impiego;
Chiediamo che il Sindacato allarghi la propria base di rappresentanza a
tutto il mondo del lavoro, estendendo la contrattazione collettiva alle
forme di lavoro non subordinato, chiediamo al Sindacato di promuovere
nuove politiche sociali che favoriscano una maggiore autonomia e
mobilita’ delle persone, a partire dalle nuove generazioni. E’ un
impegno rivolto al futuro, che potrà essere onorato solo se la nostra
generazione contribuirà direttamente ad una nuova stagione di
mobilitazione e di conquiste sociali. Troppo spesso, negli ultimi anni,
abbiamo commesso l’errore di cercare risposte individuali a problemi
collettivi. Ma ormai si é infranta per sempre l’illusione della
salvezza individuale: senza un’azione collettiva e diretta dei giovani,
anche in presenza di una nuova attenzione delle organizzazioni sociali,
non si produrranno i necessari profondi cambiamenti di cui ha bisogno
la società italiana.
Per questo, il 27 novembre, saremo affianco ad una Cgil che vorremmo
sempre al nostro fianco, occuperemo lo spazio pubblico, per affermare
attraverso la nostra libera partecipazione la soggettività di una
generazione che non fugge e non diserta, ma che anzi vuole essere
protagonista di un nuovo patto sociale tra le generazioni e di una
nuova stagione per l’Italia.
Promotori: Salvo Barrano, 34 anni, archeologo free-lance Martina Di
Simplicio, 32 anni, psichiatra, dottoranda di ricerca presso
l’Universita’ di Oxford Emanuele Toscano, 34 anni, e’ ricercatore a
tempo determinato in Sociologia all’Universita’ La Sapienza di Roma
Mattia Toaldo, 32 anni, e’ assegnista di ricerca in Scienze Politiche
all’Universita’ di Roma III Peppe Provenzano, 28 anni, ricercatore
presso lo Svimez.
Per informazioni e adesioni: appello27novembre@gmail.com oppure
aderisci su FB commentando la nota con “aderisco”, la tua età e la tua
professione