Supponete che
l'aliquota dell'imposta sul reddito sia più alta per i meno abbienti
che per i contribuenti più ricchi. Tutti giustamente griderebbero allo
scandalo. Non così quando si parla di università. Poiché essa è quasi
gratuita, le tasse dei meno abbienti (che più raramente mandano i
propri figli all'università) finiscono per sovvenzionare le famiglie
più ricche. Questo fatto ben noto ha suscitato un serio dibattito in
molti paesi. Ma in Italia basta accennarvi per suscitare una reazione
pavloviana anche tra coloro che dovrebbero essere più attenti alle
questioni di giustizia sociale: l'università gratuita è un totem del
progressismo, che nessuno la tocchi.
Sul Sole del 12 novembre proponevo una riforma (già attuata dal
governo laburista inglese) molto semplice: l'università rimane gratuita
al momento degli studi, viene pagata a rate dopo la laurea lungo un
arco di tempo di 25-30 anni, ma solo se il lavoro ottenuto lo consente
senza gravare eccessivamente sul bilancio.
Sul Sole del 17 novembre, Piero Ignazi boccia questa proposta per due
motivi. Il primo è che tutto sommato l'università non è regressiva: tra
gli studenti i figli di liberi professionisti, dirigenti e imprenditori
sono il 21,7% e i figli di impiegati esecutivi e operai sono il 23,5
per cento. Ovviamente, questi dati confermano il mio punto di partenza,
perché nella popolazione totale professionisti, dirigenti e
imprenditori sono molto meno del 21,7%, e impiegati e operai molto più
del 23,5 per cento. Il secondo è che «il costo dell'intervento medico
di emergenza di un miliardario viene pagato da tutti i contribuenti».
Trovo incredibile che non si voglia giudicare una proposta sulla base
del suo contenuto, bensì sulla base della sua conformità allo status
quo (peraltro fumosamente definito: l'università non è una emergency
room, ma un investimento in capitale umano di cinque anni; ed è
francamente un po' eccessivo farla rientrare nel welfare state). Per
non dover rinnegare gli slogan con cui ci siamo trastullati per
decenni, continueremo a chiedere ai meno abbienti miliardi di euro per
sovvenzionare le carriere di architetti, dirigenti e professori
universitari. (da Il Sole24Ore di Roberto Perotti)
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