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Costume e società: Forse è “fuori moda” parlare delle ricorrenze di Ognissanti e dei Morti

Redazione
festa dei MortiRagazzi ci vediamo dopo la festa dei Morti!”. “Scusi prof ma  adesso c’è la festa di Halloween!”. Mi rispondono per le rime i ragazzi euforici per le imminente vacanze. Forse hanno ragione, ma ormai chi si ricorda più della festa dei Morti!
Abbiamo dimenticato le nostre tradizioni, le abbiamo eliminate dal calendario della memoria e delle ricorrenze civili e religiose ed abbiamo importato gli usi e i costumi di altri popoli e di altre culture, distruggendo così le nostre radici culturali, sfigurando la nostra identità, immolandola sull’altare della globalizzazione imperante e dominante.
E si! Forse è “fuori moda” parlare delle ricorrenze di Ognissanti e dei Morti. Mi veniva voglia di ribattere, di spiegare, di far comprendere ai ragazzi cos’era la festa dei Morti nella mia terra, al tempo della mia giovinezza; ma già la classe era sparita al suono della campanella che annunciava la ricreazione.
Così ho avuto più tempo per documentarmi sull’origine di tale ricorrenza.
La festa ha origini antiche che uniscono paesi lontani per epoche e distanze geografiche. La data del 2 novembre non è casuale, già molte civiltà antichissime celebravano la festa degli antenati o dei defunti in un periodo che cadeva proprio tra la fine di ottobre e i primi giorni di novembre.
Questa data sembra riferirsi al periodo del grande Diluvio di cui parla la Genesi che, secondo il racconto, cadde nel “diciassettesimo giorno del secondo mese”, che corrisponderebbe al nostro novembre.
Il culto della commemorazione dei defunti è presente in molte civiltà del passato: romana, celtica, messicana, cinese. Nella tradizione celtica la celebrazione più importante del calendario era la “notte di Sahain”, la notte di tutti i morti e di tutte le anime, che si festeggiava tra il 31 ottobre e il 1 novembre. In epoca cristiana questa tradizione era ancora molto seguita dal popolo e la Chiesa faticava a sradicare i culti pagani. Così nel 835 papa Gregorio II spostò la festa di tutti i Santi dal 13 maggio al 1 novembre pensando di dare un nuovo significato al culto pagano. Nel 998 Odilo, Abate di Cluny, aggiungeva al calendario cristiano il 2 novembre come data per commemorare i defunti.
Ma io pensavo, soprattutto, a come si celebrava anticamente la festa dei morti nel mio paese.
Ripensavo ai sogni agitati di noi ragazzi nella notte tra l’1 e il 2 novembre. All’emozione di trovare sotto lo “scagno” (così la nonna chiamava il tavolo usato dal nonno per fare i conti della stagione agricola) i giocattoli che nottetempo “ci avevano portato i nostri parenti defunti”. Ed era una gioia incontenibile per noi ragazzi cercare sotto i mobili, sotto il lettone della nonna, la credenza, l’armadio, e trovare un fucile, la pistola di Buffalo Bill, un carro armato, un giubbotto, pensavano anche al freddo inverno i nostri amati defunti.
E poi i dolci dei morti, una goduria per il nostro palato: “ossi di morto”, “rami nìuri”, “’nzuddi”, tutte specialità create dalle sapienti mani dei nostri vecchi, solo in occasione di tale festività. E dalla strada già si sentiva l’odore della polvere da sparo utilizzata da squadroni di ragazzi per la “battaglia tra Matrice e Santa Nicola”.
Era una guerra cruenta, combattuta “all’ultimo sangue” quella dei “matriciani” contro i “santanicoliani”, un conflitto che ogni anno si ripeteva negli stessi luoghi, con le medesime modalità, con la stessa tattica dell’anno precedente.
Ed aveva sempre gli stessi vincitori: a loro dire, ambedue eserciti contendenti! Non c’era angolo del paese, di strada o di piazza, dove non arrivava l’eco degli spari, delle rappresaglie, delle urla di carica e di ritirata strategica degli “squadroni” dei ragazzi. Per ogni esercito era previsto un “quartier generale”, con tutto di sentinelle, di stato maggiore e di comando supremo, dei confini “invalicabili”e, persino, una zona per gli eventuali prigionieri.
D'altronde, tutto il paese, in quei giorni, era un campo di battaglia. Leggendarie erano le battaglie condotte in territorio neutrale: ai “Sieli”, nei “sbalinchi ‘o ‘nfernu”, dove si avventuravano soltanto i “guerrieri” e i “generali” più valorosi ed esperti.
Mitica e leggendaria era la figura di un comandante dei “matriciani” , il cui nome di battaglia era “Pippo Ariddu”, il vero nome era sconosciuto, le sue gesta valorose si tramandavano da generazione in generazione di soldati e si raccontavano d’estate e d’inverno sui “pisoli” del Coraghèsa o nella scalinata di Santa Nicola.
Un ragazzo intraprendente e generoso, molto conosciuto nell’ambiente cittadino anche per altre imprese di gioventù, di cui si sono perse le tracce. Chissà cosa dicevano, come ci guardavano gli adulti quando ci vedevano scorazzare felici, spensierati e urlanti in ogni angolo di paese.
Probabilmente tolleravano i giochi da “carusanza”, forse perché ricordavano anche loro le stesse “bravate” che facevano ai loro tempi ed una briciola di nostalgia gli pervadeva il cuore.
Poi la guerra finiva, tutto terminava all’improvviso com’era iniziato, ed i ragazzi ritornavano nuovamente amici e compagni di scuola e ricordavano felici, nelle fredde serate d’inverno, il fucile “ca mi lassau ‘u nannu” e l’ultimo e irresistibile attacco prima della vittoria.
Questa era la festa dei morti di tanti anni fa nel mio paese.
Come raccontare queste storie incredibili ai ragazzi lombardi della mia classe che nella notte di Halloween si mascherano con il carbone e ballano con le streghe in compagnia di una…zucca!?

Angelo Battiato (inviato speciale a Brescia)
angelo.battiato@istruzione.it








Postato il Lunedì, 01 novembre 2010 ore 09:00:00 CET di Angelo Battiato
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