Ho
conosciuto Giovanna Nastasi alle “Ciminiere” di Catania, in occasione
di un mio incontro con i cittadini di quella città.
Ricordo bene il suo intervento, lo ascoltai con molta attenzione e mi
prese a tal punto che le chiesi il permesso di leggerlo in Aula, a
Montecitorio.
È un viaggio che parte a fine agosto e si conclude il 21 dicembre, in
mezzo, il decreto salva precari o, come lo definiscono i precari
stessi, ammazza precari. Vengono descritte storie diverse, ma ciascuna
simbolo della precarietà, come quella di Santa, separata con due figli
a carico, di Mariella, mamma di 45 anni che aspetta ancora le supplenze
brevi, di Claudia e il suo compagno cassintegrato e di tanti altri che
si trovano ad affrontare la situazione di precarietà.
Persone che hanno studiato per diventare insegnanti, frequentando anche
corsi diversi e magari costosi, che sperano in un posto fisso e che
oggi si trovano a fare i supplenti, senza continuità e senza stabilità.
L’incarico annuale diventa per il precario una scommessa, una lotteria.
Non si ha nessuna certezza di un reddito adeguato su cui poter contare
per pianificare la propria vita presente e futura. Purtroppo in Italia
la precarietà è diventata un male persistente.
Dalla lettura si deduce anche che essere precari nella scuola italiana
non significa soltanto non avere la certezza del posto di lavoro, ma
anche provvisorietà nei rapporti con gli studenti e le famiglie senza
godere, chiaramente, degli stessi diritti dei docenti di ruolo. Inoltre
il diario non pone al centro dell’approfondimento solo la situazione di
precarietà di tanti docenti della scuola, ma anche gli alunni e il
dovere dell’insegnante di permettere ai giovani una crescita umana e
intellettuale.
Si capisce appieno il ruolo dell’educatore che ha come obiettivo la
formazione e il progetto di vita dei ragazzi.
Giovanna e i suoi amici “precari” raffigurano il docente sempre alle
prese con problemi vecchi e nuovi, pronto ad intervenire per
individuare le cause del disagio e per porvi rimedio.
I politici dovrebbero imparare molto dagli insegnanti, me compreso:
loro offrono soluzioni alle difficoltà degli alunni, noi dovremmo
offrire risposte ai problemi dei cittadini.
Nel diario è pure riportata la frase, a dir poco farneticante, del
Ministro dell’Istruzione che paragona la scuola ad “un ascensore che
non può contenere tante persone”; la scuola non è un contenitore,
produce cultura, non mette a disposizione beni visibili, ma offre
formazione e l’autrice lo fa capire a chiare lettere!
Ritengo che un buon governo non debba concentrarsi sui grembiulini e i
dialetti perché la scuola è un servizio indispensabile che prepara i
giovani ad essere operosi nella società. Un Paese che vuole migliorare
deve necessariamente investire nell'istruzione.
L’Istruzione, come d’altronde la Sanità, sono servizi che lo Stato deve
offrire ai cittadini, non si può farli passare solo come bisogni.
Mi auguro che la lettura di questo diario faccia capire la difficile
situazione che i precari della scuola stanno vivendo e faccia
conoscere, a più persone possibili, le inquietudini che essi vivono
giornalmente.
Antonio Di Pietro
PRECARIATO SCOLASTICO:
IL RACCONTO DI UN’AMAREZZA.
Tredicesima estate e le solite domande:
quanti posti ci saranno?
Lavorerò?
Sarò molto lontana da casa?
Come farò con i
Bambini?
E poi le notizie che si rincorrono sui tagli,
le immissioni in ruolo (mai così esigue come quest’anno)
e tu sei sempre li in fila, con le tue speranze, la tua voglia di
volere dare concretezza e stabilità alla tua vita.
Precario significa non potere programmare assolutamente nulla
Nemmeno una spesa imprevista.
In questi anno le amarezze sono state tante e si sono intrecciate con
Le presunte riforme della scuola, concorsi, abilitazioni, master,
Sissis, sostegno,
continuo rimescolamento delle graduatorie, tentativi di entrare di
ruolo
attraverso mille canali, leggi, leggine, compresa quella di attingere a
tutt’oggi
personale da un concorso espletato dieci anni fa.
Intanto il precario cosa fa?
Finisce in una sorta di limbo che si protrae anno dopo anno,
copre con il suo lavoro le sedi più disagiate mentre i Ministri di
turno cercano di convincere l’opinione pubblica
che gli insegnanti fanno schifo
che non servono a niente in questo continuo e perverso attacco
all’istituzione scolastica.
Da anni, ormai, stiamo guardando una sorta di scenografia montata ad
arte
Nessuno sembra vedere il pericolo e il baratro che sta dietro.
Non so per me come finirà quest’anno
Ma credo che l’interesse della classe politica non dovrebbe
concentrarsi sui dialetti
Quanto sulla vita delle persone che amministrano.
Togliere un reddito
SIGNIFICA
Azzerare un’esistenza.
La Sicilia, 20 Agosto 2009