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Didattica: Riscoperta di De Sanctis e della sua critica contro l'impressionismo

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Quello che nel saggio desanctisiano sul  Cours familier de Littérature di M.De Lamartine(1857) viene garbatamente, ma fermamente disapprovato e condannato, è il criterio di Lamartine fondato sulle impressioni. L’impressione, di per sé  vaga e soggettiva, presa come punto di arrivo di un giudizio critico letterario, non può andare al di là di una valutazione puramente estetica; il critico che si affidi solo all’impressione, pensando alle parole-  dice il De Sanctis – perde l’idea.
L’impressione varia col gusto e il gusto con la coltura, e il giudicare per essa significa fare della critica formale e psicologica. Infatti, per quanto vera possa essere, cioè oggettiva,una critica impressionistica rimane pur sempre alla superficie delle cose, al loro effetto esteriore.
Scrive De Sanctis :” Supponiamo che la impressione si manifesti con quella semplicità e moderazione che è la faccia della verità, e che i suoi particolari sieno propri e chiari. In questo caso l’impressione non si può dire falsa, ma neppure ancor vera; non esiste ancora. Perchè una cosa esista, devi mostrarmi le qualità che la costituiscano, che fanno che sia”.
L’impressione nella sua generalità è indeterminata, se non è accompagnata da parte del critico da una “perfetta” coscienza del mondo poetico che vuole determinare, assegnandogli il suo posto e attribuendogli il suo valore.
Un critico “coscienzioso”,  pertanto,  come non dovrà fare troppo affidamento al puro gusto estetico,non dovrà nemmeno, per chiamarsi tale, essere possessore “ a priori” di tre o quattro formule e applicarle senza tener conto dei  sentimenti.
Così facendo – afferma il De Sanctis – si corre il rischio di perdere il sentimento per il concetto, ossia si cade nell’errore opposto, nella critica astratta, generica, aprioristica, propria  – polemizza il Nostro -  dei Tedeschi.
Il critico prima ancora di sapere e dare definizioni, deve comprendere, sentire; e fin qui si può essere d’accordo con il Lamartine, quando sostiene che :”  a meno  di essere  una pura intelligenza, non si comprende bene se non ciò che sentiamo “. Tuttavia, questo puro sentire non basta per giudicare di una poesia o di un’opera d’arte in genere.
Compito del critico è chiarire al lettore quello che nel poeta spesse volte è rimasto in ombra, determinare e connettere quello che il poeta ha voluto rimanesse sottinteso, indeterminato e , quindi, poco chiaro non tanto per cattivo gusto d’ermetismo preconcetto, quanto per necessità di sintesi e desiderio d’immediatezza al massimo, sì che “ di una parola, come eco armoniosa, solo alcune sillabe il poeta ripete”. ( Ci sembra di sentire il rammarico del Carducci : “ Ahi, fu una nota del poema eterno/ quel ch’io sentiva e picciol verso or è”.
 “ Non crediate - avverte il De Sanctis – che egli [il poeta] gitti sulla carta tutta intera la sua visione e tutte le sue impressioni”. Opera del critico è perciò “ raccogliere quelle poche sillabe” che il poeta nel fuoco della sua ispirazione ha espresso, e quindi “indovinare la parola tutta intera”, porre le gradazioni e i passaggi, cogliere le idee intermedie e accessorie; trovare i sentimenti  da cui sono sgorgate quelle “poche sillabe”.
Per questa funzione esegetica e interpretativa il critico è simile all’attore; entrambi non riproducono soltanto il mondo poetico ma lo integrano, empiono le lacune. “ Il critico ti dee presentare il mondo poetico rifatto e illuminato da lui con piena coscienza, di modo che la scienza vi perda la sua forma dottrinale, e sia come l’occhio che vede gli oggetti e non vede se stesso. La scienza come scienza è filosofia, non è critica”.
Per questa funzione integrale ( e integrativa ) la critica è utilissima perché traendo il puro dato formale o fantastico, lo comprende e illumina nel contesto di un discorso più ampio e articolato, forse meno poetico, ma certo più completo. In tal senso può dirsi che “ la critica germoglia dal seno stesso della poesia”,  e, talvolta, può divenire poesia essa stessa,  se il critico sa immedesimarsi con il mondo del poeta,  sì da poterne riprodurre le immagini.
 Ma immedesimare non ci si può  arrestandosi alla pura impressione; bisogna andare oltre: contemplare, rivivere, fare proprio quel mondo poetico. E il Lamartine con quel suo criterio critico basato sulla semplice impressione di fantasia, sulle impiallacciature di sentimento o di colore, non poteva fare critica né “coscienziosa “ né “ perfetta”.
                                                                                                                               
N.B. : le citazioni del saggio desanctisiano sono tratte da : Saggi  e scritti critici  e vari, vol. III, ed.Barion, 1946.
 Nuccio Palumbo
redazione@aetnanet.org








Postato il Domenica, 24 ottobre 2010 ore 09:10:48 CEST di Pasquale Almirante
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