Dal Pasteur al Plinio
di Roma, dal Copernico al Bruno di Torino, dal Newton di Chivasso al
Monti di Chieri, dal Falcone al Belotti di Bergamo al Quintino Sella di
Biella, in decine e decine di scuole di ogni regione d’Italia si
allarga la nuova frontiera della protesta degli insegnanti: "No alla gita". Collegi docenti
infiammati un po' ovunque. Contro i tagli che stanno deprimendo il
sistema istruzione si protesta anche così. La riduzione del personale
docente si sente eccome. Aule stracolme di ragazzi, sempre meno
gestibili, sempre più difficili da preparare e da valutare. Classi
spesso lasciate incustodite quando un docente è malato e nessuno viene
nominato al suo posto. Laboratori deserti, soprattutto per mancanza di
tecnici, lasciati a casa anche loro.
Qualche preside contiene la protesta convincendo i suoi docenti a
firmare una mozione. Ad una mozione si può aderire oppure no, è una
decisione soggettiva, che coinvolge solo chi è favorevole.
In altre scuole la protesta assume ben altre dimensioni,
concretizzandosi in una delibera dell’intero collegio. Non più qualche
docente, ma tutta la scuola prende posizione, fatta salva l’autonomia
dei singoli consigli di classe. Ogni istituto con diverse sfumature. In
molte scuole il rifiuto al viaggio d’istruzione si associa, ad esempio,
a quello nei confronti della disponibilità dei docenti a prestare
servizio al di là dell’orario strettamente previsto, le famose diciotto
ore di cattedra.
Così, nelle riunioni di insegnanti di un po’ tutti gli istituti, sta
accadendo che qualcuno si alzi e proponga di rifiutarsi di portare i
ragazzi in gita. Quanto meno di evitare i viaggi di più giorni. Le
obiezioni non si fanno attendere. Chi fa notare che non si tratterebbe
di un vero sciopero, perché un docente non è comunque obbligato ad
accompagnare i ragazzi in gita; chi scuote la testa, “tanto non si
ottiene nulla”; i più sensibili pensano agli studenti, “così ci
rimettono solo i ragazzi”.
L’onore di esser scelti dai ragazzi per essere accompagnati in gita
comporta corse notturne in pigiama, su e giù per le scale degli
alberghi, nel goffo tentativo di stanare adolescenti che scappano da
tutte le parti; notti di incursioni improvvise nelle camere per
trascinare fuori decine di intrusi che inseguono la loro avventura da
raccontare.
È un onore che si paga con responsabilità enormi e che, oltretutto, non
viene retribuito (nessun rimborso per la trasferta è dovuto, a parte la
miseria dei tristemente famosi 8 euro lordi al giorno).
Per non parlare di umiliazioni come quella di constatare che le decine
di ragazzoni che ti sei trascinato in lungo e in largo tra musei e
cattedrali, ad altro non pensano che ad ammucchiarsi in discoteca,
subito dopo cena. Un viaggio, dunque, che sempre meno ha a che fare con
l’istruzione e sempre più assume i contorni della gita-distruzione.
Distruzione fisica e psicologica del docente accompagnatore.
Ma da parte degl’insegnanti c’è anche l’intenzione di mettere in luce
l’enorme giro d’affari che i viaggi d’istruzione rappresentano per
agenzie turistiche, hotel, e per tutti quelli che in questo piatto,
ogni anno, mangiano abbondantemente.
Soprattutto nella speranza, nutrita da buona parte dei docenti, di
recuperare di fronte alle istituzioni una dignità di professionisti che
troppo spesso si sentono sfruttati (oltretutto tra gli insulti di
un’opinione pubblica che li ha bollati come ignoranti o fannulloni),
che troppe volte si sentono incapaci di reagire o di astenersi da un
obbligo.
Resta da spiegare questa protesta ai giovani, a quei ragazzi che
potrebbero trovarsi quest’anno senza la possibilità del viaggio
d’istruzione. Siamo davvero certi, si chiedono i docenti disobbedienti,
che questi alunni siano tutti così superficiali da non capire che una
protesta per una scuola più dignitosa possa anche comportare, di tanto
in tanto, qualche sacrificio? (da La Stampa)
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