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Assunzioni: Napoli, odissea scuola tra i pirati della privata con le cattedre a punti

Rassegna stampa
Lavoro pagato a punti. Funziona così nelle scuole private della Campania. Niente stipendio, qualche volta neppure i contributi, per i docenti solo il punteggio utile a scalare le graduatorie della scuola pubblica. Ma in tempo di tagli anche questa sembra un’occasione da non perdere e in tanti, così, cedono al ricatto. «I professori che accettano queste condizioni danneggiano chi come me pretende dignità per la professione che fa», denuncia Valeria, una delle insegnanti che da giorni partecipa al presidio dei precari all’esterno della direzione scolastica regionale. «In questo modo mi sono vista scavalcare da tanti colleghi. È un’ingiustizia, ma nessuno interviene». Fingendoci docenti cominciamo da Napoli il nostro viaggio nell’istruzione pirata campana, da un liceo che ha sede proprio a pochi passi dagli uffici del Provveditorato e dall’Ispettorato del lavoro. Dall’esterno non sembra neppure una scuola. Solo un tricolore alla finestra distingue l’ingresso da quello dei negozi vicini. È l’intervallo e i corridoi sono affollati di studenti chiassosi. «Siamo in tutto e per tutto come una scuola pubblica», ci spiega sorridente la segretaria, «C’è solo una differenza nel trattamento economico: qui paghiamo quattro euro l’ora, però assicuriamo gli stessi punti di una statale, 12 per un incarico annuale ». Infila in un cassetto i nostri curriculum e ci accompagna alla porta. «Speriamo di potervi prendere a lavorare qui con noi, ma non possiamo assicurarvi nulla, abbiamo già moltissime richieste». La stessa risposta la riceviamo in tutte le scuole che visitiamo, una decina tra città e provincia. Ce ne sono di ogni ordine e grado, dagli asili alle superiori. Sono intitolate a Nobel, Dante, Majorana e così via, i preferiti dai pirati dell’istruzione. I guadagni sono assicurati, in media le rette si aggirano sui tremila euro l’anno. In compenso per i docenti spesso non è previsto neppure un rimborso spese. Come capita, ad esempio, in un istituto paritario nel Vesuviano. Entrando colpisce il silenzio irreale. A guardarsi intorno c’è tutto l’arredo di una scuola vera, ma le aule sono vuote. Il perché ce lo spiega il direttore: «Gli studenti non verranno quasi mai. Sono adulti che hanno bisogno del diploma solo perché gli è richiesto al lavoro. Arrivano da tutta Italia, qualcuno dalla Liguria, dal Lazio e dalla Valtellina». Gli allievi non hanno obbligo di frequenza, l’importante è che si presentino una volta al mese quando c’è da pagare le rette. Con la conseguenza che oltre a lavorare gratis, i professori sono costretti ad assumersi il rischio di falsificare i registri e le interrogazioni. E non è l’unico caso. «I compiti in classe li dovevo fare io per tutti gli allievi», racconta Lavinia, professoressa di lettere di un altro istituto tecnico. I docenti che incontriamo in questo tour dei “puntifici” parlano,ma a condizione di restare anonimi. Hanno paura di denunce, ritorsioni e soprattutto di essere esclusi dal giro delle paritarie. A Salerno l’anno scorso alcune scuole private sono state chiuse dopo l’intervento dell’ispettorato del lavoro. Scegliamo un liceo privato tra i più noti in città. «Siamo una scuola seria e pretendiamo l’impegno dei professori, che saranno scelti dopo adeguata selezione: qui non vogliamo lavativi», ci avverte il proprietario. Nonostante il richiamo severo all’impegno professionale, quando si arriva alla domanda fatidica sullo stipendio la musica non cambia: di soldi neanche a parlarne. «Lavoriamo con contratti a progetto, firmiamo buste paga fittizie e abbiamo l’obbligo di non assentarci mai. Se un giorno avrò la fortuna di essere assunto in una scuola pubblica denuncerò, ma per il momento non ho altra scelta », ci spiega Sergio, insegnante di filosofia. È giovane, come quasi tutti i professori che lavorano nelle paritarie. Storie simili: laurea con il massimo dei voti, due anni di scuola universitaria di specializzazione e la passione per l’insegnamento. Poi la sensazione di un traguardo che diventa ogni giorno più lontano. Un pensiero comune riassunto nelle parole di Paola: «Io mi sento vittima e complice di questo meccanismo. È paradossale, se non lavorassi gratis dovrei rinunciare a fare questo mestiere: con i tagli delle cattedre la caccia ai punti diventerà sempre più spietata. Allora mi convinco che sia normale. Ogni mattina vado a scuola e faccio come se avessi un lavoro vero».
(Mario Leombruno - Luca Romano-da L’Unità)

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Postato il Domenica, 19 settembre 2010 ore 14:00:00 CEST di Pasquale Almirante
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