Non sono
bastati i due auditorium del complesso Marchesi ad accogliere gli oltre
mille lavoratori della scuola statale che ieri si sono riuniti in
assemblea provinciale per discutere la mobilitazione contro la riforma
Gelmini.
Un’affluenza eccezionale di docenti provenienti dalle materne, dalle
elementari, dalle medie e dalle superiori, precari e di ruolo, alcuni
addirittura già in pensione: tutti uniti in fronte compatto insieme al
personale Ata, aderenti o simpatizzanti dei sindacati Flc Cgil, Cisl
Scuola, Snals, Gilda, Cobas e Unicobas. Unica grande assente, la Uil,
che contestava il fatto d’aver organizzato l’assemblea il primo giorno
di scuola, creando disagi alle famiglie. Molti dei presenti prendono
servizio alle 11 di questo primo giorno di scuola all’insegna della
protesta contro i tagli di 446 posti di lavoro in tutta la provincia
nell’ultimo biennio. Tra la fiumana diretta al campo di atletica, dove
si è svolta la parte centrale dell’assemblea, i commenti alla riforma
sono disillusi, sconvolti, più spesso battaglieri. Il più frequente: il
popolo della scuola non è morto.
Pochi si fanno scoraggiare dalla calura, dalle nubi di moscerini e dai
fischi del microfono. Dopo una breve discussione sui tempi di
aspettativa delle pensioni, emerge come cavallo di battaglia della
protesta il problema della sicurezza, conseguenza delle classi troppo
affollate. L’Iti di Pisa annuncia un esposto diretto alla Procura, ai
vigili del fuoco e alla Asl dove si fa presente che secondo la
normativa un’aula può accogliere al massimo 25 persone insegnanti
inclusi, e dunque classi di 29, 30 o 34 alunni sono improponibili.
Dalla Cgil arriva l’esortazione a individuare in tutti gli istituti un
rappresentante dei lavoratori per la sicurezza: in quanto figura
ufficiale l’Rls potrà prendere contatti con i sindacati che lo
seguiranno nella redazione di un esposto analogo.
«La battaglia per la scuola si fa rimboccandosi le maniche e con i
mezzi giusti - dicono i sindacalisti - E per avere effetto deve essere
capillare in tutto il territorio».
Il richiamo all’unità, alla coesione di categoria e allo spirito di
gruppo è più volte ribadito dai relatori e sottolineato dagli applausi
più fragorosi. Un’ex insegnante del liceo Dini in pensione da
quest’anno fa notare alla platea che «siamo tutti precari».
Un’altra proposta per portare avanti la protesta è che nessuno accetti
cariche aggiuntive di natura gestionale, come ad esempio fiduciario di
plesso, coordinatore del consiglio di classe e responsabile di
laboratorio. Tuttavia l’invito a sfiduciare per iscritto i colleghi che
accettano questi ruoli viene accolto nel silenzio. Ovazione
all’annuncio di una manifestazione nazionale entro il mese prossimo.
Alcuni propongono di aggregarsi ai lavoratori della Fiom che
scenderanno in piazza il 16 ottobre, ma c’è chi sostiene che in questo
modo la scuola finirebbe in secondo piano.
Due certezze. La manifestazione sarà in un giorno che consenta a tutto
il personale di aderire (quindi non di sabato) e raccoglierà le
adesioni di tutti i sindacati. Le richieste immediate vengono lette in
tono trionfale: blocco dei tagli previsti per il prossimo anno
scolastico, stesura di un piano di stabilizzazione dei lavoratori
precari, rispetto nella formazione delle classi della normativa sulla
sicurezza e della presenza di alunni disabili, assegnazione di un
organico docente e Ata basato sulle effettive necessità delle scuole e
ripristino almeno ai fini giuridici degli scatti di anzianità. Biasimo
generale per i presidi che, secondo i sindacati, hanno cercato di
ostacolare l’assemblea.
Verso la fine dell’assemblea un appello contro il governo cita una
vignetta di Altan: “Dobbiamo evitare di fare come i topi, che dopo che
gli ebbero trapiantato il cervello degli uomini iniziarono a votare per
i gatti”.
Da segnalare nel mondo della scuola anche un caso - comunque non legato
alla protesta di ieri - al liceo artistico Russoli, dove il 65% dei
docenti ha firmato una lettera indirizzata al Dirigente scolastico
regionale chiedendo l’allontanamento della dirigente per presunta
incompatibilità con il corpo insegnante.
(LUCIA MAFFEI Il Tirreno)
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