Il tempo della Gelmini e il tempo dei precari
“Anno che inizia, protesta che trovi”, annuncia il Ministro Gelmini,
quasi ad esorcizzare l’inizio di un anno scolastico che pochi
scorderanno. Non lo scorderanno certo gli studenti delle classi dei
licei che si ritroveranno in 30 ed oltre per classe, a seguito di una
norma bizzarra che non tiene conto delle loro scelte di indirizzo; gli
studenti delle classi intermedie di tecnici e professionali che si
ritroveranno con meno materie ed ore senza che lo abbiano chiesto; i
genitori dei bambini delle scuole elementari che dopo tanta retorica
sul maestro unico si ritroveranno (senza offesa, s’intende) con le
maestre “ad ore”, rubacchiate da un orario sempre più frammentato. E di
certo non dimenticheranno questo anno le migliaia di precari che hanno
ben compreso la drammaticità di uno scenario chiuso e con poche,
pochissime prospettive.
Le proteste dunque non sono un rito di stagione e certo il Ministro
deve avere avuto le sue sofferenze quando l’OCSE ha impietosamente
collocato l’Italia al penultimo posto della classifica relativa alla
spesa per investimenti nella scuola in rapporto al Pil ( 4,5% contro
una media del 5,7%). Qualche notorio “esperto” ha cercato di
argomentare come dietro questa apparenza si celino verità nascoste (
docenti che lavorano meno ore, ecc) ma la verità non si cancella: il
Ministro Gelmini in due anni ha prodotto il taglio lineare di spesa più
imponente della storia della scuola italiana . Se il Ministro andava in
cerca di un risultato epocale, eccolo, senza alcun dubbio e senza
concorrenza di altri pretendenti.
Come ciò sia stato possibile, come questa “terapia” sia stata
somministrata senza irresistibili e condivise reazioni “di massa”, è
argomento politico che giriamo volentieri ai diversi attori. Se hanno
parole e pensieri, le dicano e in fretta perché sino ad oggi non
abbiamo avuto il piacere di letture impegnative.
Di epocale invece, salvo la riduzione della spesa, non c’è altro
neppure dove i nuovi regolamenti sulle superiori introducono qualche
modifica di buon senso nella frammentata ( ex) galassia del sistema. Il
riordino e ancor più una riforma non è fatta dalle carte ma è un
processo e che il nuovo anno sia iniziato senza neppure un segno di
risorse alle scuole e ai docenti per praticare ciò che di nuovo è stato
normato, ci conferma che il cuore del riordino sta tutto nella
contrazione della spesa e non nella possibile qualità di nuovi percorsi
di istruzione.
In cerca di una via di uscita, qualche esperto consigliere ha suggerito
al Ministro la ricetta magica: entro sette-otto anni, gli oltre 200.000
precari della scuola saranno “riassorbiti”. C’è del vero in questo
annuncio ma non perché esso sia l’esito di scelte lungimiranti ma per
l’avverarsi di una facile previsione malthusiana. Nel corso della metà
degli anni settanta e fin verso i primi anni ’80 la scuola italiana è
stata caratterizzata da una massiccia dose di immissioni in ruolo e
poiché siamo quasi al quarantennio di quell’evento, è scontato
prevedere un esodo di massa del personale della scuola. ( sempre che
resti fermo il requisito dei 40 anni di anzianità). Alcuni studi
delineano addirittura uno scenario di penuria di docenti, in
particolare nelle materie scientifiche. Incredibile: nel volgere di
pochi anni passeremo dalle graduatorie dei precari alla ricerca di
docenti stranieri. Ma se questo è davvero lo scenario prossimo venturo,
il Ministro avrebbe di che pensare. Come preparare la scuola a questo
evento che muterà il cuore del sistema ? ( cioè l’età media dei
docenti); come preparare, dal punto di vista pedagogico e didattico i
nuovi docenti? Come programmare per tempo il ricambio di intere
generazioni di docenti?
Non c’è in vista un graduale riassorbimento di una parte ma un radicale
mutamento del corpo centrale degli insegnanti e questa è questione
strategica che non dovrebbe trovare un vuoto, Dentro questo processo si
giocherà anche la soluzione del precariato avendo chiaro che se per i
più giovani ( addirittura per coloro che si accingono a completare ora
l’università) le prospettive si fanno rosee, c’è una fetta di
precariato, quella oltre i 30 anni, che rischia di rimanere fuori. E’
per loro che bisognerebbe lavorare per trovare soluzioni utili ed
ammortizzatori efficaci. Senza una politica lungimirante, non c’è
soluzione malthusiana che tenga.