Una scuola nuova di zecca, verde come le verdi valli alpine, brillante,
“griffata” nei minimi dettagli: roba da esposizione, anzi, roba da
“Oscar”! Mica così, mica le scuole del sud, scrostate, luride,
sgangherate, qui ci si pensa alla cultura, ai nostri figli, e mica solo
ai nostri, a quelli di tutto il paese, perché tutti hanno diritto, ci
mancherebbe! Il simbolo della Lega? E allora? Noi li abbiamo cacciati i
soldi, e facciamo come ci pare. La legge? Ma lascia stare, è tutto
legale, a noi non dà fastidio, e se a qualcuno lo dà tanto peggio per
lui, si adegui, oppure porti i suoi figli da un’altra parte. La
costituzione? E ancora... ma siamo liberi o no? Se vogliamo addobbare
la scuola con un bel sole sarà pure affar nostro, non impedisce a
questo e a quello di pensarla come vuole. E poi chi se ne frega, è
bella, no? è bella, è nuova, confortevole, funzionante, il resto tutte
sciocchezze. La scuola pubblica? Ma allora lo fate apposta, insistete,
insistete, sempre a buttare fango, sempre i soliti. Se è pubblica sarà
pure nostra o no? E allora? Da noi siamo padroni e l’abbiamo arredata a
nostro gusto, diciamo così, a nostra immagine e somiglianza.
All’incirca potrebbero essere e purtroppo sono questi i discorsi di
molti cittadini della ridente Adro, in quel di Brescia. La stessa
cittadina, è stato ricordato, che non trovava i fondi per garantire la
refezione ai bambini più disagiati. A giudicare dalla simbologia (sole
“padano” e crocifisso) sembra una riedizione ostentata e oltranzista
del vecchio Dio e Popolo, o Dio e Patria, dove quel Dio ricorda da
vicino la religiosità bigotta, e quel Popolo o quella Patria ricordano
da vicino il municipalismo consortile, tanto per usare un linguaggio
ottocentesco senza scomodare quello del ventennio (ricordato
soprattutto dal modo di applicarli quei simboli) inamovibile e
totalitario (banchi, finestre, zerbini, posaceneri, cestini, ecc.).
Pare evidente la mancanza, oltre che di gusto, di una cognizione anche
basilare del concetto di democrazia. Altrettanto evidente la totale
assenza non dico del concetto di Stato, volutamente negato ed
espropriato, ma di quali siano la funzione della cultura e il confine
tra pubblico e privato. Aggiungerei che pare evidente anche l’ignoranza
dei loro pretesi princìpi liberali, poiché di fatto compiono in casa
propria ciò che altrove condannano, e della loro stessa identità
comunitaria, dato che la riconoscono in un partito, cioè in una parte.
Ora, il fatto in sé è un unicum gravissimo e non può, non deve, dopo
una sùbita impennata di sdegno, essere messo nel dimenticatoio, perché
allora sarebbe più stizza che sdegno, e perterrebbe all’ambito del
comico non del serio. Tuttavia c’è anche da chiedersi: se questi
cittadini e i loro amministratori non intendono la cultura come ciò che
mette in comunicazione, che sviluppa ciò che è comune, non solo ciò che
è locale; se intendono forse la democrazia come partecipazione, ma poi
la esercitano come dominio arrogante e prevaricatore della maggioranza;
se intendono il mandato politico come investitura pubblica che può
legittimare un uso delle risorse e delle prerogative a fini
privatistici, facendo delle istituzioni un mezzo di propaganda e una
base per il consenso, il problema è solo loro, di Adro, o è piuttosto
un problema che riguarda l’Italia intera? Altrimenti come si potrebbe
laisser passer non solo una così palese illegalità, ma che un
(indeterminativo!) ministro dell’istruzione ne risponda all’opinione
pubblica con altrettante palesi menzogne, definendo simbolo del comune
un simbolo di partito e argomentando (sic) con il vieto controcanto
della sinistra, i cui simboli, nella scuola pubblica, nessuno mai si è
sognato di mettere? L’arroganza e la pacchiana sfrontatezza della Lega
che da sempre la contraddistinguono non deve impedirci di leggere il
fenomeno come una manifestazione estremizzata di tendenze che
attraversano il paese e trovano varchi e favore anche in altre parti,
con forme più mediate e discrete.
Parlo da insegnante. La cognizione oscura e confusa, l’equivoco su
queste parole vitali per ogni democrazia, su questo vocabolario basico
della convivenza civile, è purtroppo della grande maggioranza della
popolazione italiana, senza bisogno di rispolverare il fascismo che di
certo è strisciante nelle coscienze, ma con una sorta di “innocenza”.
Perché anche di esso, della pagina più tragica della nostra storia
nazionale, si ha un concetto grossolano, forse conscio dei suoi aspetti
ed effetti più vistosi, non certo dell’ideologia che lo sorregge, delle
sue strategie politiche, delle condizioni che lo favorirono o delle sue
dinamiche psicologiche. E poi, se di qualche forma di fascismo si deve
parlare, è di quello denunciato da Pasolini, quello del capitale diceva
lui, oggi diremmo del mercato (e della politica, con il quale si è
ormai quasi del tutto confusa), il più terribile perché il più subdolo
e invasivo. Prova ne sia che a molti, come a me, è subito venuta in
mente l’idea della griffe, del marchio. E soprattutto che molti più
ancora, tra cui parecchi cittadini di Adro, quell’invasività non
l’avvertono nemmeno. A questo siamo. Non è comune, è fazione. Non è
politica, è sopraffazione. Non è res publica, è pubblicità.
Alfredo D’Orto