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Esame di Stato: Riforma dell'esame di stato

Rassegna stampa

«Il violino alla maturità? Niente noia, c' era poco tempo»

Gentile Redazione, ho letto, nell' edizione della cronaca romana del 20 luglio 2010 (p. 8), la lettera del Prof. Enrico Calini, da Voi pubblicata col titolo "La studentessa musicista e una commissione "annoiata"", in cui viene riportato l' episodio della mancata esecuzione di un brano musicale per violino nel corso del colloquio di un Esame di Stato. Nella mia qualità di Presidente della Commissione, operante presso il Liceo Classico "E.Q. Visconti" di Roma, desidero evidenziare invece le ragioni per cui, probabilmente, l' esecuzione del brano non è stata possibile, non certo per "noia" della Commissione. Ça va sans dire, ascoltare un bel brano di musica classica durante una lunga sessione d' esami sarebbe stato invece estremamente piacevole e interessante. Purtroppo, la vigente normativa (O.M. 5 maggio 2010, n. 44, art. 16), pur consentendo - come esattamente rileva il Prof. Calini - la "presentazione di esperienze" "anche in forma multimediale" per iniziare il colloquio, impone di dare "preponderante rilievo" "alla prosecuzione del colloquio" "con riferimento costante e rigoroso ai programmi" svolti nell' ultimo anno di corso. Pertanto, con regole eguali per tutti i candidati (la cui osservanza rientrava tra i miei compiti), la Commissione ha ripartito il colloquio in fasi che prevedevano non più di 15 minuti per l' argomento iniziale, scelto da ciascuno di essi. La mancata esecuzione, pertanto, non è dovuta al disinteresse della Commissione, ma semplicemente al tempo tiranno. La magnifica aria del secondo atto dell' Armida di Rossini (opera rarissima in Italia, che ho avuto la possibilità di vedere al Metropolitan Opera di New York lo scorso 12 aprile) D' amore al dolce impero riflette amaramente sui suoi effetti ineluttabili: "La fresca età sen fugge, / È la beltade un lampo, / Ché l' una e l' altra strugge / Il tempo vorator". Nel caso che ci occupa, l' effetto del "tempo vorator" è stato quello di non consentire l' ascolto di uno splendido brano di musica classica. Non posso entrare nel merito delle ulteriori considerazioni del Prof. Calini (lavoro infatti presso un' istituzione universitaria e la mia presenza nella Commissione d' esame è frutto di un interesse personale per gli studi classici e per i nuovi trend), salvo rilevare che la frequenza di due corsi di studio così qualificati non può che essere favorita ed incoraggiata. Auguro in ogni caso alla studentessa - che ho avuto modo di apprezzare, al di là del brano non eseguito, per l' eccellente preparazione e per una rara maturità di pensiero, frutto senz' altro di lunghi studi - un ottimo successo in entrambe le sue carriere; se me ne sarà data l' occasione, avrei davvero piacere di poterla ascoltare, con i tempi adatti per ammirare i risultati del suo impegno. Avv. Alberto Giulio Cianci Ricercatore di Diritto privato nell' Università di Perugia

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“Maturo fra 6 giorni (se all’orale prendo 12)”

Trentatré sono gli anni di Cristo, il numero dei canti di ogni cantica della Divina Commedia, è la parola che il medico fa pronunciare al paziente, il prefisso della Francia e, ultimo ma per me non meno importante, il risultato delle mie prove scritte alla maturità. A questi onestissimi 33 punti (pari a una media del 6 e mezzo in ogni prova) vanno aggiunti i 15 crediti che ho accumulato negli ultimi tre anni. Quello in cui sono stato bocciato non conta: nessun “premio di consolazione” per aver studiato un anno in più, ahimè.

Il risultato mi soddisfa. Meno male, perché la terza prova credevo non mi fosse andata molto bene. Su quattro materie me ne aspettavo due scientifiche, il mio cruccio. E infatti venerdì scorso mi sono trovato davanti tre bellissimi esercizi di matematica che, a essere sinceri, non erano così difficili. Ma nemmeno alla mia portata (lo ammetto, le mie conoscenze vanno poco al di là delle tabelline). Poi c’erano le domande di scienze… non ne parliamo proprio! E guai a chi mi dice “è soltanto una questione di studio”: studiatele tu queste cose di cui non capisco nulla. Mi sa che all’orale dovrò tranquillizzare i professori che non voglio fare Ingegneria o Medicina: così almeno non combinerò danni in giro!

Non lo dico troppo forte, ma 33 più 15 fa 48 e quindi mi bastano 12 punti all’orale per arrivare a 60. Considerando che la sufficienza è attorno al 18-20, dovrei riuscire a passare. Il mio orale è mercoledì 7 luglio: manca solo una settimana, ma sembra un’infinità. Da un lato ho un bel po’ di tempo per ripassare, dall’altro si allontanano sempre più le mie vacanze. E poi quel che è fatto è fatto: non so quanto imparerò ancora. In ogni caso, speriamo di non fare la figura degli studenti in questo video.

Per vedere che cosa mi attende, sono andato a vedere gli esami di qualche mio compagno. I 50 minuti di interrogazione passano veloci come il vento, tra discussione della tesina, correzione delle prove scritte e una domanda che ogni commissario fa, di solito attenendosi ad argomenti correlati a quello della tesina. Nel mio caso non sarà così facile, perché porto la questione meridionale, che non si presta molto a collegamenti con tutte le materie. Speriamo che questo non mi costi qualche brutta sorpresa.

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La grande fuga dai licei severi di Roma: ecco le scuole senza bocciati - Guerrisi Ricci Il messaggero

L’istruzione viaggia su un doppio binario in Italia. Ci sono scuole severe dove la promozione si conquista a colpi di interrogazioni e quelle in cui lo studente viene coccolato di più, soprattutto se l’iscrizione è a pagamento. È in queste ultime che, come hanno denunciato i presidi al Messaggero negli scorsi giorni, si rifugiano i ragazzi più fragili dal punto di vista della preparazione, quelli che anche se il liceo non fa per loro, vogliono arrivare comunque alla conquista del diploma. Il risultato finale non cambia: dopo la maturità il pezzo di carta è lo stesso, ha identico valore legale nei concorsi. Puoi studiare in classi di pochissimi alunni a selezione zero (dove la percentuale di bocciati è bassissima o nulla) o in aule affollate dove i prof lasciano al palo i somari ma, a conti fatti, la fatica resta un bagaglio personale, non c’è distinzione fra un diploma e un altro. Forse anche per questo i ragazzi meno volenterosi e con più difficoltà a metà anno chiedono il nulla osta e si spostano.

«Il 90% di chi ce lo chiede va alla paritaria», spiega il preside del liceo romano Visconti, Rosario Salamone. La sua è una delle scuole più severe della capitale: solo nelle prime, quest’anno, i professori hanno fermato oltre il 12% degli alunni (esclusi i ritirati). Consolazione: alla maturità, il liceo ha conquistato il primato dei cento e molti studenti sono già stati accettati alla Bocconi. Ma tra la prima e la quinta in tanti sono rimasti indietro, molti di questi se ne sono andati altrove, in scuole “più facili”. Quelle dove la percentuale dei bocciati è vicina a zero, le classi sono micro, i professori fanno corsi di recupero il pomeriggio, gli alunni si sentono come a casa loro.
Che il risultato della valutazione sia diverso emerge dai quadri di fine anno. Nelle prime di licei romani come il Tasso, il Visconti, il Righi, il Giulio Cesare (tutti noti anche per la loro severità) la percentuale di bocciati oscilla tra il 6 e il 12%. Le classi sono maxi, anche con trenta alunni, e i prof non fanno sconti. In molte paritarie la situazione è diversa: i bocciati a volte sono anche lo 0%, le classi sono mini, i professori fanno lezione pure il pomeriggio. Insomma alla scuola pubblica tocca fare la parte della “cattiva”, con i presidi sempre a corto di fondi anche per garantire il minimo dei corsi di recupero che non sanno come aiutare i ragazzi in difficoltà e, spesso, non possono fare altro che dare il via libera al loro trasferimento in scuole dove, a pagamento, il pomeriggio c’è chi ti aiuta a fare i compiti. Il che aiuta nei risultati di fine anno.

In istituti paritari come il Seraphicum di Roma la percentuale di bocciati è bassissima in tutto il quadriennio: al classico e al tecnico commerciale non se ne conta uno, allo scientifico dalla prima alla quarta, su 80 alunni, ci sono solo 3 non promossi. Nelle prime, dove la selezione di solito è maggiore, su 27 alunni il 74% è passato al secondo anno, il 26% sta facendo gli esami di recupero. Ma nessun bocciato. All’istituto Pirandello (dove c’è anche il servizio di recupero degli anni persi) sia al classico che allo scientifico non si registrano bocciati in prima, i sospesi dovranno vedersela con l’esame di settembre. Ammessi senza riserve all’anno successivo alla sezione del classico, classe prima, del Cristo Re, sempre a Roma, mentre allo scientifico due dei cinque ragazzi che dovevano recuperare al test già effettuato non sono passati e dovranno ripetere l’anno. Anche al Villa Flaminia, scuola modello-College al centro di Roma, niente bocciati nelle due prime, una di classico e una di scientifico, solo qualche rimandato che farà i corsi di recupero e l’esame a settembre.

Il mondo del lavoro nel tempo ha imparato a difendersi dalla presupposta uguaglianza fra i diplomi. Anche l’Università si fida poco dei voti alti in uscita dalle scuole che sulla carta sono una uguale all’altra ma «in verità sono ben diverse», hanno sottolineato più volte i rettori. Anche per questo ormai la maturità non ha più peso o quasi per accedere ai corsi a numero chiuso, dove i posti sono “blindati”: l’Università aspetta ancora un sistema di valutazione delle scuole che consenta di fare una qualche differenza fra i diplomi. Intanto il ministro pensa a test di valutazione in entrata e uscita per tutti gli alunni. Se ci saranno ispettori che vigileranno verranno fuori una volta per tutte le vere differenze fra scuola e scuola

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Gli studenti del sud più bravi o più furbi? G. B: Guerri Il giornale

I voti della maturità sono più alti al Sud che al Nord, mediamente del 10 per cento, quest'anno come l'anno scorso.

I modi più sbrigativi per rispondere al problema «come mai?» sono due, e di segno opposto. Il primo è che gli studenti meridionali sono più bravi, si applicano maggiormente e ottengono risultati migliori. La seconda possibile risposta è che gli insegnati meridionali sono di manica più larga, proprio come è più largo il sorriso dei baristi «terroni».

Teniamo parzialmente per buone entrambe le risposte, che di certo contengono un fondo di verità.

Ma la questione non può essere liquidata in maniera così grossolana, anche se ci sarebbero esempi a suffragare entrambe le ipotesi. Da un'indagine recente, per esempio, risulta che una percentuale altissima di giovani studiosi meridionali brilla nei master e negli istituti di ricerca di tutto il mondo, più di quelli del Nord. Sarà una maggiore necessità di emigrare? Mmmmmmmmm, questa sì che è una spiegazione stiracchiata. D'altra parte è anche vero - ricordo benissimo - che fino a qualche anno una percentuale altissima di laureati in giurisprudenza andavano a fare gli esami di Stato per diventare avvocati nientemeno che a Reggio Calabria, dove c'erano molte più possibilità che altrove di superare la difficile prova.

Fra un pro e un contro, in mancanza di analisi statistiche e indagini sociologiche precise, non resta che alzare il naso per aria e cercare di fiutare la verità.

La mia personale esperienza di docente (in un ateneo romano che raccoglie studenti da tutta Italia) mi conferma due dati, di cui il primo tragico e risaputo: si arriva all'università sempre meno preparati dalle scuole superiori; è un fenomeno antico, decennale ormai, e ci vorranno anni e anni di lavoro del ministero della Pubblica istruzione per rimediare ai danni pregressi. La seconda impressione, sul campo, è che davvero gli studenti che vengono dal Sud siano più preparati, che abbiano studiato di più, che ci mettano più impegno.

Non ne faccio certo una questione razziale o di superiorità intellettuale, per carità, bensì di promozione sociale. Al Sud il «pezzo di carta», diploma o laurea che sia, è ancora uno strumento - più che al Nord - capace di portare a un riconoscimento pubblico, a un impiego, a un salto di qualità della propria esistenza. Quando, tanti anni fa, tenni un corso in un ateneo campano, chiedevo spesso agli studenti come mai avessero scelto una facoltà in apparenza così poco produttrice di lavoro come Scienze politiche. La risposta era quasi sempre la stessa: «Serve per i concorsi». E per i concorsi (come oggi per accedere alle buone facoltà delle migliori università) occorrono voti finali alti. Ammetto che non trovavo la risposta intellettualmente eccitante, ma non potevo - e non posso - dimenticare che io stesso, di famiglia povera, ho usato lo studio come una fune per sfuggire alla condizione economica dei miei. Studente sciaguratissimo (e senesemente terrone) fino all'ultimo anno del liceo (a Milano), presi (sempre a Milano) una laurea con lode e con un - già allora rarissimo - bacio accademico che mi impressionò più di qualsiasi altra cosa.

Conferma questa teoria un dato statistico oggettivo. In proporzione, nel Sud sono molti di più i maturandi dei licei che quelli degli altri istituti superiori, tecnici o professionali. Il motivo è evidente: la scarsità di industrie, quindi di posti di lavoro tecnici, invita a tentare il salto della professione, quindi del liceo. E al liceo - per forza di cose che non occorre spiegare - bisogna studiare di più, anche perché si deve proseguire verso l'università, dove per accedere nelle migliori ecc. ecc.

Insomma, è vero che a pensar male comediceandreotti, ma non mi stupirebbe affatto se - a un’indagine seria, che andrà fatta - risulterà che davvero si studia di più, nel nostro ex mondo della Magna Grecia.










Postato il Mercoledì, 28 luglio 2010 ore 00:05:00 CEST di Filippo Laganà
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