Il bullismo omofobico è
un killer. Miete le sue vittime ogni giorno sui banchi di scuola,
spesso agisce indisturbato perché ha molti complici. I ragazzi che
colpiscono si fanno forti della classe. Loro sono i capi, gli altri
vengono dietro.
Ad essere micidiale è la dinamica del gruppo: «Certo che i compagni
c’erano, erano in gruppo e si divertivano a sfottere in gruppo, nessuno
ha detto nulla perché temeva di essere additato come gay o perché
sarebbero stati fuori dal gruppo»: racconta un ragazzo molestato.
Aggredire il compagno gay diventa un modo per dirsi «a posto» cioè
etero, per sentirsi uniti, per cementificare uno straccio di identità
collettiva ai danni di una vittima. I prof. spesso voltano le spalle,
chiudono gli occhi. Minimizzano.(Delia Vaccarello da L'Unità)
Il bullismo omofobico è un killer. Miete le sue vittime ogni giorno sui
banchi di scuola, spesso agisce indisturbato perché ha molti complici.
I ragazzi che colpiscono si fanno forti della classe. Loro sono i capi,
gli altri vengono dietro.
Ad essere micidiale è la dinamica del gruppo: «Certo che i compagni
c’erano, erano in gruppo e si divertivano a sfottere in gruppo, nessuno
ha detto nulla perché temeva di essere additato come gay o perché
sarebbero stati fuori dal gruppo»: racconta un ragazzo molestato.
Aggredire il compagno gay diventa un modo per dirsi «a posto» cioè
etero, per sentirsi uniti, per cementificare uno straccio di identità
collettiva ai danni di una vittima. I prof. spesso voltano le spalle,
chiudono gli occhi. Minimizzano.
Sono i dati della prima indagine condotta dall’Arcigay che ha coinvolto
860 studenti e 42 docenti di scuola superiore con il supporto del
ministero del Lavoro, Salute e Politiche sociali. Una ricerca tesa a
dare una fisionomia precisa dell’«orrore quotidiano», suggerire
risposte, pianificare forme di intervento.
Le aggressioni non sono episodiche, ma ripetute, come goccia d’acqua
erodono l’autostima dei compagni nel mirino. Gli effetti sugli
adolescenti: «disagio psicologico, insuccesso scolastico, problemi di
integrazione a scuola».
I momenti preferiti sono l'intervallo e la pausa per la mensa, il luogo
deputato è la classe, nel 73% dei casi non sono presenti i professori,
nel 20% lo sono, ma è come se non ci fossero. È per questo che il 60%
dei partecipanti ha segnalato l'urgenza di progetti di «educazione alle
diversità rivolta non solo a studenti ma anche a insegnanti». Inutile
dire che sono problemi cui non si può rispondere con frasi generiche
tipo: «La scuola oggi è tutta malata». No, occorrono misure ad hoc.
I risultati dell’indagine mostrano la diffusione nei gesti e negli
atteggiamenti dello stigma. Altro che battute. Si tratta di offese che
trovano l’appoggio di un contesto assuefatto a mettere in un angolo i
ragazzi che mostrano di avere un orientamento omosessuale. I quali
spessissimo per difendersi si «vestono» di silenzio.
Ecco i dati (vedi www.arcigay.it) raccolti attraverso un questionario
consultabile su http://www.scuolearcobaleno.eu/: solo un terzo degli
studenti non ha udito epiteti omofobi e prese in giro nell’ultimo mese
a scuola. Vuol dire che due ragazzi/e su tre negli ultimi trenta giorni
hanno sentito ingiurie simili all'indirizzo dei coetanei: «frocio»,
«finocchio», «ricchione», «checca» e «lesbica di m.».
Per uno studente su cinque queste espressioni fanno parte della vita
scolastica quotidiana. Pensateci un attimo: è come se tutti i giorni
uno studente sovrappeso si sentisse dire «ciccione di m…». Come
reagirebbe?
Etero, gay, lesbiche, bisex: sono orientamenti di pari valore, ciascuno
consente una capacità di amare completa sul piano fisico ed emotivo. Ma
per l’opinione diffusa a scuola (e non solo) gay e lesbiche sono
«fuori». Da colpire. Sono «loro».
Aggressioni Ancora. Uno studente su 13 ha assistito almeno una volta
nell’ultimo mese ad aggressioni omofobiche di tipo fisico (calci e/o
pugni). Eppure la maggioranza degli insegnanti dichiara di non esserne
al corrente.
Nei confronti delle ragazze le aggressioni sembrano essere minori, ma
sono molte le situazioni che restano nell’ombra, perché le ragazze,
educate al contenimento della sessualità, si nascondono di più. Ad
allarmare è la quota di bulli «in libertà». Uno studente su cinque lo
è, mentre il 4% dei ragazzi è una vittima. Vuol dire che c’è un
accanimento, che alcuni coetanei sono considerati non compagni di
scuola ma bersagli. E sono facili da centrare perché a difenderli non
c’è quasi nessuno. Mentre chi ferisce può contare su una massiccia dose
di omertà.
Una prova? La ricerca è stata condotta selezionando un campione di
istituti a caso dal sito dell’anagrafe delle scuole statali del
Ministero dell’Istruzione. Le scuole «sorteggiate» hanno ricevuto
l’invito a partecipare. Un dirigente scolastico su due si è rifiutato
di collaborare. Le aree del Sud e del Nord-Est sono quelle in cui si
sono registrati i maggiori rifiuti (tre su quattro istituti
contattati). Bullismo omofobico? Zitti. Meglio non parlarne.
Dagli adolescenti gay ai monsignori Scene di doppia vita Ci sono
ambienti dove la sessuofobia è una tenaglia Nelle dichiarazioni della
Chiesa l’omosessualità è disordine Questo apre la porta alla morbosità
e al desiderio
Quando un ragazzo o una ragazza si innamorano di un coetaneo del loro
stesso sesso imparano a mimetizzarsi. Conoscono gli insulti. Bisogna
stare attenti. I sentimenti però traboccano, le attrazioni sono
calamite. A 15 anni la via impervia dell’astuzia è lontana. Magari si
innamorano a scuola. E nel percorso da scuola a casa alimentano il
totem del primo amore. Gli sguardi, i rossori, l’eccitazione: sono
acqua che sa dissetare. L’amore li fa vaghi, stralunati. Che fare?
Aperta la porta di casa schermano lo sguardo.
Se i loro amori fossero del sesso opposto, potrebbero non vestirsi di
indifferenza. Alla fine la domanda arriva. A un ragazzo si chiede: ma
hai la fidanzata? In quella «a» c’è il colpo che secca le labbra. La
saracinesca del dialogo abbassata. Come fare a spiegare ciò che gli
altri non prevedono? Come dire che è un lui? Silenzio, occhi bassi,
cambiare discorso. E il sentimento va in apnea. In classe nessuno deve
capire. Altrimenti vedi i compagni toccarsi il lobo dell’orecchio,
mimare scene di sesso etero per dare una lezione. Una lezione di
violenza.
Può l’amore restare nudo? Meglio inabissare. Si chiama doppia vita,
dissociazione nei casi gravi e frequentissimi. Vuol dire frenare le
emozioni, diffidarne, il che è peggio. Filtrare gli entusiasmi,
ingrigirsi dinanzi agli altri. Vivere secondo il come tu mi vuoi. Con
dubbi atroci: chi sono io? Quello che ama? O quello presentabile?
Può durare per tutta la vita. In famiglia non funziona come nel caso
dei neri. Non c’è un genitore pronto a comprendere l’offesa perché la
sperimenta sulla propria pelle. Gli adolescenti gay e lesbiche sono
quasi sempre figli di coppie etero. E spesso in casa indossano una
maschera.
Non sono i soli. Ci sono ambienti dove la sessuofobia è una tenaglia.
Le dichiarazioni delle gerarchie ecclesiastiche non lasciano dubbi.
L’omosessualità è disordine. Una Natura umana della quale i capi della
Chiesa credono di avere la chiave avrebbe inciso nella “carne” il
cartellino con il sesso dell’oggetto da amare. Sei donna? Devi unirti a
un uomo e solo per procreare. E viceversa. Il sesso non è messaggio, né
gioia. E’ strumento.
Molti credenti gay si sentono cani in Chiesa. Ce ne sono a migliaia,
pochissimi a viso aperto. E i preti? Nei gruppi di omosessuali che
hanno fede sono mosche bianche. Vivono la notte dei desideri. Cercano
incontri furtivi. Facile ammalarsi di morbosità. Non si può desiderare
solo nello spazio asfittico di una chat. C’è chi di loro si toglie
l’abito e chi accetta la doppia vita. Fatta di ossessioni, di macigni,
di abissi interiori, di masochismi. Di inferno in terra e di bizzarre
espiazioni. Di orari: alle 17 incontro lui, alle 18 servo messa.
Redazione