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Quesiti: La particolarità e l'anomalia delle RSU nella scuola

Redazione

La “particolarità” delle RSU nella scuola.

Di Gianni Gandola e Federico Piccoli
(gli autori sono dirigenti scolastici a Milano, iscritti a Cgil-Scuola)

Diciamo subito, a scanso di equivoci, che non siamo fra coloro che vogliono l’abrogazione/eliminazione delle RSU nella scuola. Siamo fra coloro, piuttosto, che ritengono sia utile e opportuna una riflessione critica (e autocritica) su questa esperienza, sicuramente atipica e particolare.
Com’è noto le Rappresentanze Sindacali Unitarie si sono estese al settore della scuola dopo essersi affermate nel mondo dell’azienda e del pubblico impiego. Prima nelle scuole c’erano i delegati sindacali che venivano eletti dai docenti e dal personale ATA che avevano la tessera di questo o di quell’altro sindacato ed erano appunto rappresentativi dei propri iscritti. La scelta delle RSU ha inteso allargare l’area della rappresentatività: esse sono elette infatti, attraverso regolari elezioni, da tutto il personale della scuola.
L’idea originaria della costituzione della RSU si collegava ad una scommessa fortemente democratica di tutti i sindacati, che accettavano la sfida di eventuali bocciature - sul piano della rappresentatività interna alle scuole - possibili ad opera dei non iscritti ad alcuna sigla, che in molte istituzioni arrivano al 50% (ed oltre) del personale in servizio.

Le segreterie sindacali, per avere successo, avrebbero dovuto puntare sulla candidatura di operatori scolastici, pur iscritti o simpatizzanti per le rispettive sigle, ma riconosciuti/riconoscibili non come mere cinghie di trasmissione, bensì come personalità fortemente dotate di autonomia decisionale in un quadro condiviso di scelte fondate sull’innovazione scolastica e centrate, prevalentemente, sul diritto degli alunni ad una prestazione qualificata. A questi criteri si è attenuta soprattutto la CGIL scuola, che (per ciò!) ha ottenuto rilevanti successi anche in quelle scuole dove non ha né la maggioranza relativa degli iscritti né la maggiore rappresentatività sostanziale all’interno dei collegi dei docenti.
La prima, e consistente, deviazione dalla “retta via” si è avuta, quando i Sindacati, tutti, non hanno saputo rinunciare al deficit di rappresentatività reale all’interno delle scuole ed hanno preteso/ottenuto di poter partecipare sempre e comunque alle riunioni delle RSU, anche quando sono stati sconfitti nel corso della competizione elettorale o addirittura non hanno presentato liste.

Le RSU di istituto dovrebbero occuparsi, per contratto, di questioni inerenti i vari aspetti dell’organizzazione del lavoro (dall’utilizzo degli organici ai compensi del fondo per il miglioramento dell’offerta formativa, al piano di lavoro del personale ATA e via dicendo) arrivando a stipulare veri e propri contratti di istituto con il dirigente scolastico.
Nelle intenzioni dovevano “aggiungersi” agli organi collegiali della scuola con una netta distinzione di compiti.

Nel sistema attuale, infatti, il Consiglio d’Istituto è l’organo che ha una generale competenza deliberante, cui spettano sostanzialmente funzioni d’indirizzo (es. approvazione dei criteri generali per la programmazione educativa, approvazione del Piano dell’Offerta Formativa, ecc.) ma anche funzioni generali di gestione e di amministrazione (es. adozione del regolamento interno, elaborazione dei criteri generali per la formazione delle classi o per l’assegnazione ad esse dei docenti, definizione dei criteri per l’espletamento dei servizi amministrativi, criteri per l’uso delle attrezzature e degli spazi della scuola, approvazione degli acquisti, approvazione del programma annuale, ecc.).
Il Collegio dei docenti ha competenza esclusiva in ordine agli aspetti didattici ed educativi dell’attività scolastica e potere propositivo nei confronti degli organi di gestione in ordine agli aspetti che coinvolgono oltre alla didattica anche l’organizzazione. Nell’un caso e nell’altro, il collegio dei docenti assolve alla funzione di organo tecnico-professionale chiamato comunque a definire il contenuto didattico-educativo di ogni scelta dell’istituzione scolastica.

Al dirigente scolastico spetterebbero compiti di gestione unitaria dell’istituzione scolastica, oltre che di rappresentanza legale. Secondo l’art. 21 della L. n. 59 del 1997 “è responsabile della gestione delle risorse finanziarie e strumentali e dei risultati del servizio. Nel rispetto delle competenze degli organi collegiali scolastici, spettano al dirigente scolastico autonomi poteri di direzione, di coordinamento e di valorizzazione delle risorse umane. In particolare il dirigente scolastico organizza l’attività scolastica secondo criteri di efficienza e di efficacia formative ed è titolare delle relazioni sindacali”.
Riassumendo, quindi: al Consiglio le funzioni di indirizzo, al dirigente scolastico le responsabilità connesse all’attuazione del POF della scuola, al Collegio docenti le scelte in merito all’organizzazione didattica, alle RSU il controllo sull’organizzazione del lavoro.

In questo quadro però appaiono subito evidenti alcune “interferenze” o “sovrapposizioni” oggettive tra RSU e Consiglio di istituto (ad es. in tema di assegnazione dei docenti alle classi o di espletamento dei servizi amministrativi).
Ma c’è di più: in realtà l’esperienza insegna che spesso e volentieri si verificano nelle scuole veri e propri sconfinamenti su materie non proprie, di competenza del Collegio stesso o del dirigente scolastico. Sconfinamenti spesso consentiti se non addirittura operati dagli stessi sindacati ai vari livelli (nazionale, regionale o provinciale).

Un caso esemplare (“fresco di stampa”) si è verificato non più tardi del 31 gennaio 05 in un circolo didattico di Torino. Il Collegio dei docenti aveva adottato (con sole 4 astensioni e, pertanto, all’unanimità) una delibera articolata, che prevedeva l’implementazione di un percorso di formazione e di autoformazione in 6 iniziative finalizzate al conseguimento delle competenze di cui al 5° comma dell’art. 7 del Decreto L.vo n. 59/2004 (le funzioni tutoriali). Il Collegio, pur non essendovi tenuto, aveva addirittura adottato una clausola di salvaguardia (“La deliberazione sarà opportunamente rivista e modificata nel caso in cui dovessero intervenire norme contrattuali che prevedano altra disciplina del 5° comma dell’art. 7 del Decreto L.vo n. 59/2004”).
La collezione completa di ScuolaOggi testimonia della intransigente avversione di tutti i redattori del giornale alla figura del tutor e dintorni introdotta dalla legge Moratti. Ma, ahinoi!, se si vuole essere coerenti con un’intransigente difesa delle prerogative delle istituzioni scolastiche autonome, possiamo ragionevolmente mettere in mora le delibere (anche quelle che, eventualmente, non ci piacciono) dell’organo collegiale deputato ad esprimere il diritto-dovere alla formazione ed all’aggiornamento ? Come può essere tollerato che la RSU del Circolo (alla presenza di un sindacalista “confederale” provinciale ) blocchi l’attuazione della delibera perché è tuttora aperto a livello nazionale un tavolo di trattativa sulla questione della funzione tutoriale ?

Si segnalano inoltre da più parti sovrapposizioni di riunioni, spesso estenuanti, che invece che semplificare e accelerare i processi decisionali finiscono per complicarli, protrarli nel tempo. In alcuni e più limitati casi, addirittura, intromissioni dei sindacati provinciali che smentiscono gli accordi di istituto sottoscritti dalle stesse RSU.

Non solo, ma occorre dire che nella scuola si è in presenza di una vera e propria “anomalia” di fondo: la scuola non è assimilabile all’azienda, il contesto organizzativo e i rapporti di lavoro (e di potere) al suo interno sono ben diversi. In particolare la “controparte”, il dirigente scolastico - al di là delle farneticazioni (di destra e di sinistra) sulla figura del “preside manager” – non ha effettivi poteri autonomi di gestione, sia sul piano delle risorse (bilancio, organici, ecc.) che su quello attinente al governo del personale. Si tende invece, talvolta, a riprodurre nella scuola una contrapposizione (ideologica quanto fasulla) tra lavoratori e dirigente manco fossimo ai tempi dello scontro “operai e capitale” magnificato da Mario Tronti nella società degli anni ’60 e ’70. Una parodia insomma della “lotta di classe” che lascia francamente di stucco, se collocata nel contesto della scuola pubblica, c’est à dire di un servizio pubblico che dovrebbe rispondere a interessi generali della collettività.

Forse qualcosa, in questa “dialettica” (pure importante) tra soggetti che nella scuola hanno indubbiamente competenze e funzioni diverse, va rivisto e corretto. Sicuramente non serve a nessuno, e tantomeno al servizio ed alla sua funzionalità, alimentare il conflitto, la contrapposizione e la confusione di ruoli fra i diversi organi.
 









Postato il Sabato, 19 febbraio 2005 ore 22:07:58 CET di Salvatore Indelicato
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