Scimmiottando
con 30 anni di ritardo il modello anglo-americano, cioè la politica
neoliberista che ha ispirato le amministrazioni ultraconservatrici
della Thatcher in Gran Bretagna e Reagan negli USA, il piano del
governo è di subordinare la scuola al servizio del capitale e del
mercato del lavoro. La conseguenza finale sarà lo smantellamento della
scuola pubblica, per concedere una formazione d’eccellenza ad una
platea elitaria e procurare una manodopera crescente a basso costo
proveniente dalle scuole pubbliche, riservate alle masse operaie e
popolari.
Negli ultimi 16 anni i ministri che si sono avvicendati alla guida del
dicastero della Pubblica Istruzione, hanno provveduto solo a varare la
propria “riforma” per lasciare un segno, inevitabilmente infausto,
nella storia. L’istruzione è ormai una cavia istituzionale, esposta
agli azzardati e scellerati esperimenti “riformistici” che si sono
rivelati semplicemente devastanti. Questi esponenti di governo hanno
scambiato lo Stato per un’impresa privata e l’hanno ridotto a
brandelli. Su tutti il ministro Mariastella Gelmini, un vero e proprio
flagello della cultura che ha oltraggiato profondamente la scuola.
Un’istituzione che era il vanto della nazione, con una scuola materna e
una scuola elementare giudicate tra le migliori realtà pedagogiche del
mondo. E’ evidente che gli ideologi del centro-destra sanno bene che il
ruolo della scuola è di natura formativa ed “eversiva”, in quanto ha il
compito di forgiare personalità libere e critiche.
I ministri maggiormente affiatati all’interno del governo sono
Mariastella Gelmini e Renato Brunetta. Entrambi sono accomunati da due
carriere politiche parallele e persino due vite parallele. Entrambi
stanno portando avanti due ”controriforme” invise al mondo della
cultura e a settori della società civile. Ambedue affrontano il loro
incarico come una dura battaglia contro le resistenze opposte da un
sistema che non accetta di essere trasformato. Inoltre, entrambi hanno
vissuto esperienze personali e professionali spiacevoli e mortificanti,
prima di intraprendere l’attività politica e diventare ministri.
Prendiamo in considerazione Brunetta, che si erge a paladino di una
"crociata antifannulloni". Costui appartiene all’aristocrazia dei
professori, all’elite dei docenti che guadagnano troppo e, almeno in
molti casi, lavorano poco, se non nulla. Lo stesso Brunetta venne a suo
tempo censurato per assenteismo dal Rettore dell’Università dove (non)
lavorava. Inoltre, Brunetta era un primatista dell’assenteismo anche
nel Parlamento Europeo. Insomma, il classico ministro che predica male
e razzola peggio.
Per quanto concerne il "Decreto Gelmini", questo ha imposto una
“controriforma” con decisione unilaterale, senza confronto con i
sindacati e le varie componenti del mondo della scuola, senza
consultare nemmeno il Consiglio nazionale della Pubblica Istruzione,
senza alcuna riflessione di natura giuridica e tantomeno pedagogica.
Sul piano occupazionale le conseguenze sono state subito devastanti e
si prospetta nei prossimi anni una vera macelleria sociale. Nel
complesso si calcola che il taglio di insegnanti solo nella scuola
elementare, per effetto della restaurazione a pieno regime del maestro
unico, ammonterebbe ad oltre 80mila posti e saranno i precari ad essere
massacrati.
Pertanto, il governo Berlusconi persegue un ritorno al passato che gli
permetta di fare cassa, riscuotendo nuovi introiti a scapito della
malconcia scuola pubblica, mentre le risorse finanziarie sono dirottate
altrove. Scimmiottando con 30 anni di ritardo il modello
anglo-americano, cioè la politica neoliberista che ha ispirato le
amministrazioni ultraconservatrici della Thatcher in Gran Bretagna e
Reagan negli USA, il piano del governo è di subordinare la scuola al
servizio del capitale e del mercato del lavoro. La conseguenza finale
sarà lo smantellamento della scuola pubblica, per concedere una
formazione d’eccellenza ad una platea elitaria e procurare una
manodopera crescente a basso costo proveniente dalle scuole pubbliche,
riservate alle masse operaie e popolari.
E’ questo il modello, miserabile e classista, che ispira la politica,
non solo scolastica, del governo Berlusconi, che offende l’istruzione
nel nostro paese. Una scuola-parcheggio per “bulli” e piccoli
“gangster”, dove i docenti sono, nella migliore delle ipotesi,
addestratori degli studenti per aiutarli a superare i quiz a risposta
multipla (si pensi, ad esempio, alle cosiddette “prove Invalsi”),
soggetti alle valutazioni internazionali. Una scuola sempre più
omologante e passivizzante, simile ad una sorta di supermercato
dell’offerta educativa, sempre meno comunità educante e democratica.
Una scuola che è la negazione della cultura e che, in pratica, produce
solo saperi-merci “usa e getta”.
Si ciancia tanto dei problemi della scuola italiana, ma chi è deputato
a risolverli non si adopera affatto in tal senso. In politica ogni
soluzione non può essere efficace se non è anche giusta e tempestiva.
Il decisionismo e l’efficientismo devono essere calibrati mediante
criteri di equità sociale, altrimenti rischiano di essere deleteri.
Dunque, vediamo quali sono alcuni dei problemi concreti, ancora
irrisolti, della scuola italiana.
Il principale problema della scuola odierna è costituito dalla
svalutazione della professionalità degli insegnanti, dallo stato di
avvilimento e frustrazione che li attanaglia. Occorre rilanciare in
modo concreto la professionalità didattica, rivalutando anzitutto la
posizione economica degli insegnanti italiani, che risultano i più
sottopagati d’Europa. Per innescare un meccanismo virtuoso occorre
rendere appetibile la professione educativa e docente, così da creare
le condizioni per indurre le persone più valide e preparate ad aspirare
ad un lavoro ben remunerato e molto più apprezzato rispetto al
presente. Il recupero del potere d’acquisto condurrà ad un incremento
proporzionale del prestigio sociale e favorirà un crescente rendimento
qualitativo dei docenti. A beneficiarne saranno anzitutto gli studenti.
Questo, in sintesi, è il circolo virtuoso che occorre innescare prima
di ogni altra cosa per resuscitare la scuola italiana.
Un altro problema serio è quello delle “attività aggiuntive” non
obbligatorie, vale a dire i progetti extra-curricolari. Nel campo della
didattica i criteri di quantità e qualità sono sovente incompatibili
tra loro in quanto si escludono a vicenda. In genere la quantità
"industriale" rischia di inficiare la qualità di un progetto, a maggior
ragione laddove i progetti sono prodotti in serie. In tal modo le
singole istituzioni scolastiche rischiano di diventare vere e proprie
"fabbriche di progetti", cioè “progettifici scolastici”.
Personalmente non sono contro i "progettifici" per rivendicazioni
astratte e ideologiche, ma per ragioni legate alla mia esperienza
concreta. Nulla mi impedirebbe di essere a favore dei progetti di
qualità, purché siano attuati seriamente, ma nel contempo sono
cosciente che i casi virtuosi sono eccezioni assai rare. Di norma i
"progettifici scolastici" si caratterizzano in modo gretto e negativo
per una scarsa creatività e trasparenza, per l’inadeguatezza degli
interventi, per una debole rispondenza ai reali bisogni formativi,
culturali e sociali degli allievi, mentre obbediscono solo ad una
logica affaristica e aziendalistica. Per non parlare dei continui
strappi alle regole, delle reiterate violazioni di norme e diritti
sanciti dalla legge, delle frequenti scorrettezze e furbizie commesse
all'interno delle singole scuole, derivanti da invidie, ambizioni e
rivalità individualistiche, contenute in un contesto di direzione
autoritaria e verticistica o, in alcuni casi, di “leadership”
pateticamente e falsamente illuminata e paternalistica.
Veniamo, inoltre, alla questione della trasparenza e al tema della
democrazia collegiale che ormai versa in uno stato decadente. Dal varo
dei Decreti Delegati che nel 1974 istituirono forme e strumenti di
democrazia diretta nella scuola, la partecipazione agli organi
collegiali si è progressivamente deteriorata. Oggi il potere
all’interno degli organi collegiali esclude la massa delle famiglie,
degli studenti, del personale docente e non. In pratica l’esercizio del
potere decisionale nelle singole scuole è riservato ad una cerchia
oligarchica formata dal Dirigente scolastico e dai suoi più stretti
collaboratori.
Esaminiamo il caso emblematico di un organo come il Collegio dei
docenti. Un tempo questo era la sede deputata a discutere gli argomenti
più nobili ed elevati, tematiche psico-pedagogiche e culturali, per cui
gli insegnanti, specie i più aperti, coscienti e motivati, avevano modo
di confrontarsi e maturare sotto il profilo intellettuale e
professionale. Oggi i Collegi dei docenti sono ridotti a centri di mera
ratifica formale delle decisioni assunte dai dirigenti. Tale avallo
avviene generalmente tramite procedure esautoranti, che umiliano la
dignità e la sovranità dei Collegi stessi. Questi sono diventati il
luogo più alienante e passivizzante in cui si dibatte di questioni
esclusivamente finanziarie, senza la dovuta trasparenza, senza fornire
le informazioni concernenti il budget effettivo di spesa. Insomma, i
Collegi dei docenti approvano senza neanche conoscere fino in fondo
l'oggetto reale previsto all’ordine del giorno, cioè i finanziamenti,
talvolta cospicui, che vanno a beneficio di una minoranza di colleghi,
coincidente con la cerchia ristretta formata dal cosiddetto "staff
dirigenziale".
Questo processo di logoramento della democrazia partecipativa, della
trasparenza e dell’agibilità democratica e sindacale, degli spazi di
libertà e legalità nella scuola, è in atto da oltre 15 anni. Tale
involuzione in senso autoritario è dovuta ai colpi letali inferti dai
governi di centro-sinistra e di centro-destra. Nella fattispecie
particolare, le principali responsabilità politiche di tale declino
sono da rinvenire in un momento storico-legislativo assai importante:
l’istituzione della legge sull’“autonomia scolastica”.
La mera formulazione giuridica dell’"autonomia" non ha stimolato le
scuole ad esercitare un ruolo di traino e promozione culturale rispetto
al contesto di appartenenza. In molti casi, le istituzioni scolastiche
hanno assunto una posizione subalterna ai centri di potere vigenti
nelle realtà locali. A ciò si aggiunga un crescente imbarbarimento dei
rapporti tra i lavoratori della scuola, in quanto questa è divenuta il
teatrino di laceranti conflittualità, sorte in molti casi in un clima
di debole e sciocco paternalismo. Questi fenomeni alienanti e
disgreganti sono un corollario dell’"autonomia", nella misura in cui
tale normativa non ha favorito un assetto equo ed efficiente, generando
soprattutto confusione, contrasti, assenza di certezze, violazione di
regole e diritti, incentivando comportamenti furbeschi, spregiudicati
ed arroganti, esasperando uno spirito di cinismo, arrivismo e un’accesa
competizione per scopi prettamente venali e carrieristici.
Lucio Garofalo