L’anno
comincia con la guerra e il paradigma La Russa/Gelmini. In alcune
scuole ci si rifiuta di effettuare il minuto di silenzio in onore dei
caduti in Afghanistan. Scarso senso patrio? Sì, ma soprattutto un
esempio di coerenza educativa e di oggettiva difficoltà a spiegare di
quale eroismo stessimo parlando, soprattutto a bambini e a bambine dai
tre agli undici anni.
In conseguenza: anatemi, l’apertura di un provvedimento disciplinare
alla sottoscritta, accuse di tradimento del mandato istituzionale,
difese sussurrate da un sindacato braccato e da democratici facili alla
commozione. Un fatto minore, che si è incaricato di mostrare il volto
reazionario del nostro paese, ma anche le mille ipocrisie di quelli che
Badiou chiama i cittadini-topi: in fuga da tutto, costantemente
impauriti e alla ricerca solo di cibo e riparo. Le prove Invalsi in un
sistema traballante
Poi c’è l’istituto Invalsi e le prove nazionali per saggiare il livello
degli apprendimenti nelle scuole italiane che, anche quest’anno, hanno
scatenato proteste e critiche di merito. I pareri tecnici sono tutti
legittimi ma, ovviamente, il problema è politico. A cosa servono in un
sistema traballante, disomogeneo, miserabile per investimenti ideali ed
economici? Non a caso si parla di uno scontro in atto fra il Direttore
dell’Istituto e la Ministra: il primo pensa di dover fare un lavoro di
comparazione con gli standard europei, la seconda vuole un’arma per
attaccare la scuola pubblica. E’una semplificazione, ovviamente, ma
serve a capire perché nella scuola da me diretta è intervenuto per due
lunghi giorni un Ispettore del Ministero (non di polizia, ma…) ed è
riuscito a piegare i riottosi (“fatele come vi pare, ma fatele”).
Il capitolo insegnanti
Una categoria vessata da mancanza di formazione in itinere e in
servizio, che non sia volontaria e gratis, da un tempo scuola che non
si armonizza più con il tempo del lavoro e dunque dell’apprendimento. I
docenti sono stanchi, stressati, impauriti dall’effetto delle misure di
Tremonti e dagli attacchi di Brunetta/Aprea. L’anno si chiude con
l’aspettativa del disastro: meno soldi vuol dire meno cattedre, meno
tempo-pieno, meno supplenze garantite, classi più numerose, spazi più
brutti.
Creature piccole e genitori: un rapporto cambiato
Non so dire se per effetto del punto precedente, della crisi economica,
di quella culturale, ma è in atto un cambiamento antropologico che
riguarda la relazione adulto-bambino. Creature disorientate che fanno
da amici e genitori ai loro genitori. Genitori a loro volta confusi e
inadatti al ruolo, consumatori accaniti e dispensatori di ricompense
affettive mediante oggetti. Il film di Lucchetti “La nostra vita”,
recentemente uscito nelle sale, è profondamente istruttivo: alla morte
della mamma si risponde andando al centro commerciale, al disastro
economico ricorrendo ai risparmi dei famigliari, per tornare a
consumare come prima.
Nel caso della scuola dove opero, si aggiunga: periferia saccheggiata,
una sinistra inesistente, vincolo sociale lasso, televisione imperante.
Ma rimane qualche speranza. C’è stata lotta per conservare il tempo
pieno, dunque fiducia nel nostro lavoro.
L’anno più duro della mia vita professionale
Un anno durissimo quello che ci lasciamo alle spalle. Forse, per
varietà di problemi, il più duro. Cerco di reperire ancora un punto
reale dal quale non recedere, costi quel che costi. Una scuola
pubblica, palestra non di democrazia, che non basta più, ma di utopia.
Detto con più sentimentalismo: sognare i sogni dei nostri bambini.
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