Si sono svolti la
settimana scorsa gli esami di Stato per gli studenti di terza media.
Oltre alle prove classiche, gli alunni si sono cimentati anche con la
prova nazionale Invalsi, che da quest’anno partecipa a pieno titolo
alla valutazione degli studenti.
«Si tratta di una prova oggettiva - l'ha definita il ministro
dell’Istruzione Mariastella Gelmini - realizzata secondo criteri
internazionali per stabilire la preparazione reale dei ragazzi. La
prova contribuisce così a modernizzare il sistema su basi
internazionali ed a garantire agli studenti una preparazione più seria
e rigorosa». GV l’ha provata per voi...
Se c'è un dubbio, non resta che provare.
Di persona. Mettendo anche a repentaglio la propria reputazione: non
sia mai che il cronista, pur laureato in lettere, con una passione per
la matematica, abilitato all'insegnamento delle materie letterarie alle
medie e alle superiori, non riesca ad eguagliare i più bravi studenti
di terza media, con 30 anni sulle spalle in più di loro. E così eccolo
qui ad effettuare la prova Invalsi, una delle cinque (!) prove scritte
dell'esame di terza media.
Odiata e temuta dalla maggioranza degli studenti.
Prima impressione: l'Invalsi sa più di test d'intelligenza che di
metodo di verifica delle conoscenze acquisite. O meglio: le conoscenze
acquisite devono essere ricombinate in modo da formare delle
competenze, utili per i più disparati casi della vita, come stimare le
dimensioni di una figura irregolare o la capienza di un barattolo di
pelati, interpretare un grafico con il profilo altimetrico di una tappa
del Giro d'Italia, ragionare in termini percentuali.
Ottimo. Peccato che negli anni precedenti a scuola si utilizzi un altro
metodo, che mira a consolidare le conoscenze con esercizi che nascono e
si esauriscono all'interno di un capitolo o un argomento, non abituano
al pensiero divergente, non trovano immediata applicazione nella vita
reale.
E dunque o cambia la scuola o cambia l'Invalsi.
Studiosi non vuol dire competenti. Postilla: la “competenza” è un bel
concetto. Ma un ragazzo perviene a una competenza o per virtù propria,
per la sua innata intelligenza, o per virtù di altri.
La difficoltà che molti ragazzi trovano nell'effettuare la prova
Invalsi dimostra che non è stato fatto molto lavoro per accrescere le
competenze. Molti ragazzi bravi (=studiosi) cadono, perché non
sufficientemente competenti. Si salvano i competenti perché
intelligenti.
Dunque l'Invalsi è una prova d'intelligenza.
Seconda impressione: la matematica è una materia scientifica,
l'italiano no. La prova di matematica è migliore di quella di italiano,
forse proprio per questo motivo; o perché gli estensori della prova di
italiano hanno una mentalità troppo poco scientifica.
Le consegne di matematica sono chiare, non ingenerano confusione, non è
possibile equivocare, permettono solo risposte univoche. Quelle di
italiano no. Il primo quesito è illuminante (ma si potrebbe ragionare
anche sulle domande A2, A3, A11, A20...).
Dopo aver fatto leggere un testo di un tale Francesco Piccolo si chiede
“Il testo che hai letto è: A) una pagina di diario; B) una storia
fantastica; C) un racconto autobiografico; D) un articolo di rivista”.
A parte che sul diario ognuno ci può scrivere quello che vuole (a mio
figlio ho cercato anche di spiegare che non tutte le pagine di diario
iniziano con “caro diario...”, conoscenza consolidata dopo 8 anni di
scuola), che su Reader's Digest (rivista) quel testo ci stava proprio
bene, che ogni storia è fantastica almeno per una qualche sua parte (se
siamo in ambito letterario e non storico), la risposta più vicina al
vero è sicuramente “racconto”.
Ma cosa c'entra “autobiografico”? Cosa ne possiamo sapere se Francesco
Piccolo ha davvero vissuto quello che racconta ai nostri poveri ragazzi
di terza media? Petrarca scriveva poesie autobiografiche? E la Vita
Nuova di Dante è autobiografica?
Domande pignole, quasi pedanti. Terza considerazione: tutto si gioca,
in italiano, sulla “comprensione del testo”, arrivando a livelli di una
puntigliosità estrema.
Ci vuole competenza linguistica (che i compilatori della prova a volte
ignorano). Bene.
Molti degli studenti stranieri, allora, è meglio che ripassino dopo
qualche anno.
O è meglio che proseguano gli studi, creandosi pian piano questa
competenza, senza venir troppo penalizzati a livello scolastico nella
fase di apprendimento dell'italiano?
Un dubbio ci resta ancora sul grado di affidabilità della prova, dal
punto di vista degli imbrogli e degli aggiustamenti che si possono
effettuare in fase di correzione.
Barare è facilissimo: basta scrivere NO vicino alla crocetta da
sostituire e mettere una nuova crocetta al posto giusto. Se non lo fa
lo studente, lo può fare il correttore.
Si potrebbe dire ancora molto su come uno strumento di valutazione
della qualità dell'insegnamento e della scuola italiana in generale sia
diventato uno strumento di valutazione dello studente che è capitato in
quella scuola.
O su come sarebbe il caso che la simulazione della prova Invalsi non
fosse una divagazione dal programma di matematica o d'italiano, ma
diventasse un metodo da affiancare a quello tradizionale. Ammesso che
valga la pena che la scuola diventi una Grande Prova Invalsi.
A nostro parere no: meglio buttare l'Invalsi o non tenerne conto nella
valutazione finale.
Un ultimo suggerimento. Per gli adulti questo quiz è straordinario: un
ottimo gioco di società. Altro che Trivial Pursuit, si scarica la prova
con la griglia di correzione, si invitano gli amici a casa e si
dedicano due ore al gioco. Fantastico. Provare per credere.
A proposito.
Il cronista si è guadagnato un bel 10. Ma che fatica...
Paolo Fusco
Tratto da GENTE VENETA, n.25/2010