Viale Trastevere
(che per i non romani significa purtroppo ministero dell'Istruzione) un
po' fa finta di non capire e un po' non capisce. Capirà presto.
Non si spiega altrimenti la nota ufficiale con cui commenta lo sciopero
degli scrutini che ieri ha cominciato ad accendere una miccia nelle
scuole superiori di tutta Italia.
Tecnicamente, è bastata la mancanza di un solo professore per classe
per far rinviare migliaia di consigli dei docenti.
«Il blocco degli scrutini - scrivono i passacarte del ministro Gelmini
- è esclusivamente un'operazione mediatica dettata dalla ricerca di
visibilità politica e destituita di qualsiasi fondamento reale...
Si tratta di un caso che esiste solo sui giornali e nei servizi Tg e
che non esiste assolutamente nella realtà».
Primo: non si capisce che male ci sia a ritagliarsi un po' di
visibilità (magari!) per cercare di contrastare il massacro della
scuola pubblica che comincia a toccarsi con mano fin dentro le classi -
e fin qui Gelmini fa finta. Secondo: tutto si può dire, tranne che
derubricare la giornata di ieri come un nulla di fatto.
A Milano, tanto per segnalare la piazza più calda - ma ci sono segnali
secondo cui lo sciopero sia riuscito in diverse città italiane - è
accaduto l'impensabile: su 110 scuole superiori ben 51 sono state
costrette a rinviare gli scrutini di fine anno, quindi circa 500 classi
sono state interessate da una forma di protesta tutt'altro che
simbolica.
Un'adesione che si spiega anche con la pasticciata adesione alla
giornata (proclamata da Comitato Nazionale Precari, Cub e Cobas) della
Flc Cgil milanese, che proclamando un'ora sola di sciopero ha comunque
disatteso gli «ordini» del segretario generale Pantaleo che non voleva
saperne di sciopero degli scrutini.
Mossa avventata?
Tutt'altro, spiega Elisabetta Daina, segretaria della Cub scuola di
Milano e professoressa di chimica all'Itis Giorgi, «perché con il minor
sacrificio economico abbiamo ottenuto il massimo risultato, siamo di
fronte a un primo segnale di rivolta da parte di una categoria di
lavoratori colpita prima dal taglio degli organici e poi da quello
delle retribuzioni».
A parte il fatto che i professori hanno organizzato una colletta in
favore dei colleghi scioperanti - segno di una ritrovata solidarietà
che fa ben sperare - Daina intende sottolineare il positivo
coinvolgimento delle famiglie che anche grazie a queste iniziative
cominciano ad essere informate sui tagli alla scuola e sui danni della
nuova finanziaria.
A proposito di famiglie, niente paura: gli scrutini si faranno prima di
martedì prossimo (quando inzieranno gli esami di maturità), solo che i
professori adesso saranno costretti a un tour de force.
«Decisivo sarà il mese di settembre - spiega - e per organizzare una
forte mobilitazione all'inizio dell'anno scolastico è necessario che
oltre agli insegnanti si mobilitino anche i genitori e i ragazzi,
l'apertura dell'anno scolastico sarà il nostro banco di prova».
Se qualcosa di inedito sta accadendo, ammette Daina, è perché con il
blocco degli stipendi per il triennio hanno messo le mani nel
portafoglio ai professori, «fino ad ora gli insegnanti di ruolo sono
rimasti un po' tiepidi, del resto il posto di lavoro lo perdevano i
precari...». E le cifre, si sa, sono da spavento: solo per i tagli
previsti nel prossimo anno scolastico, 40 mila posti di lavoro in meno
tra docenti e personale Ata.
Lo sciopero degli scrutini ha schiodato migliaia di insegnanti (anche
di ruolo) in tutta Italia, provocando qualche reazione scomposta negli
uffici scolastici più periferici. Secondo Piero Bernocchi, portavoce
nazionale dei Cobas, la mobilitazione a livello nazionale ha provocato
il blocco di 25 mila scrutini.
Stefano d'Errico, segretario generale Unicobas, per indicare la grande
adesione allo sciopero, mette l'accento sul fatto che a Milano e
Livorno «la Flc Cgil si è vista costretta ad aderire ufficialmente al
blocco degli scrutini nononstante l'invito a non scioperare dei vertici
nazionali».
Il record di scrutini bloccati si sarebbe avuto a Roma, Bologna, Torino
e Cagliari. «La lotta si fermerà - spiega d'Errico - solo quando
verranno ritirati i provvedimenti iniqui contenuti nella finanziaria, i
tagli agli organici e la controriforma della scuola superiore.
La scuola pubblica è l'istituzione principale della società, è il
futuro:
bisogna investire e non tagliare, bisogna assumere e non licenziare
decine di migliaia di precari storici».
Di sicuro, è l'unica «istituzione» che è ancora in grado di dare
qualche segno di vita.
Il Manifesto del 16 giugno 2010
di Luca Fazio