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Università: Università e concorsi: «Colpire le tasche dei professori che sbagliano

Redazione
Niente maxi riforme: quello di cui si parla è soltanto una serie di piccoli cambiamenti. Interventi però decisivi, secondo i promotori, per invertire il ciclo di decadenza dei nostri atenei. Due gli ambiti, legati tra di loro, su cui andare ad agire. La logica è una sola: puntare «sulla virtù che si mette in moto sulla base dell'interesse», come dice Fulvio Cammarano, 55 anni, direttore del Dipartimento di Politica, Istituzioni e Storia dell'Università di Bologna e fautore dell'idea insieme agli assegnisti Lorenzo Fioramonti e Gigi Roggero e a Paolo Gheda, ricercatore all’Università della Valle d’Aosta. Primo ambito d'intervento: il sistema di reclutamento dei ricercatori, cioè dei docenti di domani. Oggi funziona con il vecchio concorso pubblico, presieduto da una commissione di docenti. Un meccanismo che nel tempo ha generato clientele e favori lasciando spesso la strada spianata ai raccomandati, ma che secondo Cammarano non va comunque abolito. Va rinnovato. Facendo sì che ogni professore che recluta i ricercatori sia personalmente premiato o punito a seconda se quei ricercatori si rivelino bravi o mediocri nel corso degli anni. Cosa significa premiare o punire? Significa assegnare più o meno soldi ai programmi di ricerca di quel singolo docente. E qui si viene al secondo punto. «Bisogna riformulare il sistema di finanziamento scientifico», dice Cammarano, secondo cui l'attuale meccanismo di distribuzione dei fondi ministeriali, i Prin (Progetti di Rilevante Interesse Nazionale), si è rivelato poco vincente. «Vanno elaborati dei criteri di qualità a livello nazionale, e su quegli standard si devono poi distribuire i fondi. - continua il docente – Stabiliamo ad esempio cosa significa la produzione eccellente: soltanto a quel punto possiamo capire quali sono davvero i progetti di ricerca validi su tutto il territorio nazionale, con uno sguardo all'Europa». Un ruolo decisivo sarà quello della commissione di concorso, che nella proposta bolognese-valdostana è formata da cinque persone. La prima è il titolare della materia, il professore che bandisce il corso. Poi c'è un collega della stessa disciplina, estratto a sorte a livello nazionale. E infine ci sono tre membri del dipartimento, con attività in altre materie. «Oggi è una commissione d'esame che segue soltanto le procedure formali della prova, e che una volta assunto il ricercatore non risponde più di nulla – spiega Cammarano - Bisogna trasformarla in una commissione di tutor, che per un periodo, mettiamo sei anni, seguirà il percorso del candidato selezionato, rispondendo di persona sulla sua condotta». Ognuno avrà da guadagnarci se quel ricercatore farà bene il suo mestiere, ad esempio con un certo tipo di pubblicazioni o tramite la partecipazione a gruppi di ricerca internazionali. In generale, significa passare da un sistema «in cui i costi del reclutamento vengono socializzati, cioè spalmati sull'erario pubblico, perché nessuno paga per l'assunzione di un ricercatore incapace» a un altro «in cui i costi di una scelta sbagliata verrebbero condivisi dai reclutatori». C'è poi il versante della didattica. E qui entrano in gioco anche gli studenti. Già oggi in molti corsi universitari i ragazzi hanno la possibilità di valutare i professori con un questionario anonimo distribuito nelle ultime lezioni. Sarà così anche per i ricercatori: soltanto i migliori potranno essere i docenti di domani. Un altro aspetto che si andrebbe a incentivare è quello della mobilità dei ricercatori stessi. «Quando oggi si libera una cattedra, subito viene occupata da un portaborse o da un pupillo del docente che se ne è andato. - spiega il professore bolognese - Domani sarà più vantaggioso andare a scovare il miglior studioso presente in tutto il Paese. Riuscire a cooptarlo significherebbe, per chi lo fa, arricchire il proprio curriculum scientifico e avere un vantaggio economico personale». Risultato sperato? «Nel giro di dieci anni le facoltà si popolano di persone qualitativamente migliori. - prevede Cammarano - Nessuno avrà più interesse ad assumere allievi mediocri perché ne pagherà le conseguenze in prima persona». Per egoismo o perché ci tengano all'Università, insomma, tutti potrebbero guadagnarci. Win-win situation, si chiama in inglese. Futuro accademico, potrebbe tradursi in italiano. da ilmessaggero.it








Postato il Sabato, 01 maggio 2010 ore 00:00:00 CEST di Filippo Laganà
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