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Costume e società: Insegnare a scuola:una vocazione

Redazione
La maggiornaza dei professori italiani sembra essere soddisfatta del proprio lavoro nonostante lo stipendio basso e i tanti problemi.
Eppure, dice una indagine, gli insegnanti italiani, sono felici. Poco più di ottocento mila insegnanti, nonostante i loro stipendi siano tra i più bassi della media europea, soffrano di burn-out, siano oggetto di contumelie, passino per fannulloni, sessantottini, terroni  alla resa dei conti sceglierebbero in maggioranza di rifare la stessa professione.

Pasquale Almirante
p.almirante@aetnanet.org


Eppure, dice una indagine, gli insegnanti italiani, sono felici. Poco più di ottocento mila insegnanti, nonostante i loro stipendi siano tra i più bassi della media europea, soffrano di burn-out, siano oggetto di contumelie, passino per fannulloni, sessantottini, terroni  alla resa dei conti sceglierebbero in maggioranza di rifare la stessa professione. Quasi il 90% sembra essere soddisfatto del proprio lavoro, benché la scuola non solo non sia migliorata per nulla rispetto ad alcuni decenni addietro, ma abbia addirittura scoperto di essere al centro di un tiro al bersaglio senza precedenti. Anche i dirigenti sono soddisfatti dei loro rapporti con gli alunni, lasciando in soffitta tutte le dicerie su bulli,  vandali, extra comunitari e così via. Problemi reali senza dubbio, ma tutti risolvibili con un po’ di buona volontà che poi è la stella polare di ogni bravo maestro. Più di 3 insegnanti su 4 hanno pure dichiarato di aver scelto il loro mestiere per vocazione e non per motivi pratici legati allo stipendio sicuro, come spesso si sente dire, sul tipo che la scuola non è un ammortizzatore sociale, o per una certa facilità di accesso, che è tutta da dimostrare. Sicuramente però è una professione tutta al femminile con 8 donne su 10 professori nelle superiori di primo e secondo grado, mentre alle elementari sono addirittura il 96% circa, tant’è che la vecchia figura, cara a De Amici, del maestro si è involata a favore della maestra tutta cuore e affetto. Ma i professori cercano pure di aggiornarsi da soli, vista la latitanza del ministero, benché ci sarebbe ancora uno zoccolo duro, piccolo, che non legge a sufficienza, né è disposto a comprare libri. La gran parte  ha la regolare connessione a internet e moltissimi hanno pure riscoperto di mantenere alto il loro ruolo sociale di professionisti della cultura. Tuttavia l’aspetto più importante della intera indagine sta nel fatto che quasi tutti vorrebbero essere giudicati per il lavoro che svolgono e premiati con incentivi, visto fra l’altro che ormai c’è la lodevole tendenza a superare abbondantemente l’orario scolastico imposto. I docenti  dunque rimangono a scuola coi ragazzi anche al di là delle loro diciotto ore alla settimana e benché non pagati indugiano nelle classi per aiutare, indirizzare, consigliare i loro alunni. Uno spaccato dunque che fa onore a questa classe vituperata soprattutto dalle alte gerarchie del ministero e spesso pure dalla ministra che quasi mai è tenera con essa, certamente per infliggere meglio i suoi colpi per tagliare fondi. Poco infatti ci si è occupati di ristrutturare gli edifici, mentre avere a disposizione del materiale didattico è una impresa titanica e la funzionalità complessiva della scuola è di assoluta carenza: genitori invitati a tassarsi per tinteggiare le mura, per pagare i corsi di recupero, per la cancelleria, per le pulizie ecc. ecc. Ma ciò di cui in effetti si incomincia a prendere sempre più coscienza è la mancata distinzione tra i docenti; il fatto cioè che non si cerchi di differenziare la mole di lavoro di ciascuno in rapporto alla materia insegnata. L’abbiamo detto altre volte, ma il lavoro, per esempio, che fanno le maestre in classe è così delicato, così impegnativo che appare poco opportuno lo scarto stipendiale coi loro colleghi delle superiori, anche in rapporto alla responsabilità. Inoltre poco ci si cura dei professori che insegnano due discipline contemporaneamente: italiano, latino e storia; latino e greco, diritto ed economia  il cui appannaggio è lo stesso del docente con una sola materia e per giunta solo orale. Preparare e correggere i compiti non è lavoro da poco. Inoltre anche in fase di giudizio finale la responsabilità è maggiore di chi con delle semplici interrogazioni riesce a far quadrare il cerchio. Un riconoscimento pensiamo sia doveroso e nonostante si dica che la funzione docente sia uguale, il compito scritto può diventare pure un documento pubblico su cui un eventuale ricorso al Tar può intrufolarsi. Riconoscere il merito anche sul titolo di laura non sarebbe peregrino, perché un insegnante di lingue straniere, se vuole essere all’altezza del suo compito, annualmente deve recarsi fuori, a parte il fatto che il titolo accademico è stato conquistato anche con permanenze all’estero di mesi o anche di anni. Ecco parte del merito che si può riconoscere. Diverso è il progetto di cui in questi giorni sta parlando la ministra Gelmini: un pool di esperti ministeriali che valuti la loro bravura ma che sarebbe riconosciuta però a solo circa 1/3 di quegli 800 mila. Non si è capito se è una riedizione del vecchio concorsone di Belinguer o qualche altra diavoleria. Sta di fatto che anche queste dichiarazioni mettono in costernazione i professori che in vero  stanno subendo tanti di colpi e tutti immeritati.  La speranza tuttavia è che si operi bene in loro favore, anche perché hanno perso buona parte di quello spirito di appartenenza che un tempo li teneva più uniti e determinati, e non solo nella comune condizione di commessi dalla cultura borghese, ma anche in quella più semplice della unità sindacale.
PASQUALE ALMIRANTE









Postato il Domenica, 09 maggio 2010 ore 10:35:29 CEST di Pasquale Almirante
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