ATTI LA RIFORMA DELLA SCUOLA SECONDARIA
RETE "ORIONE" PER L'ORIENTAMENTO CASTELFRANCO VENETO
RETE PROVINCIALE PER LA CERTIFICAZIONE DI QUALITA' TREVISO
ORGANIZZANO UNA TAVOLA ROTONDA SU LA RIFORMA DELLA SCUOLA SECONDARIA DI SECONDO
GRADO
Le condizioni della pari dignità tra il Sistema Licei ed il Sistema Istruzione e
Formazione Professionale
IL 21 GENNAIO 2005 ORE 10.00
presso l'Auditorium del Centro "E. Bordignon" (g.c.)
Quartiere Valsugana Castelfranco Veneto (Tv)
INTERVENTI
Dott. Rosario Drago ( Consigliere Ministeriale)
Dott. Bruno Brunello ( Coordinatore Gruppo Lavoro sulla Riforma )
Dott. Roberto Nardello ( Presidente Regionale Anp-Cida )
Dott. Gaetano Marangoni (Unindustria)
On.le VALENTINA APREA ( Sottosegretario MIUR)
DOCUMENTI DISPONIBILI
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LA RIFORMA DELLA SCUOLA SECONDARIA DI SECONDO GRADO
Le condizioni della pari dignità tra il Sistema dei Licei e il Sistema
dell’Istruzione e della Formazione Professionale
L’idea di dare pari dignità all’istruzione e alla formazione professionale è uno
dei tratti innovativi della Riforma cosiddetta “Moratti” e certamente
condivisibile da tutti.
La situazione attuale della scuola superiore prevede:
- una serie A ( licei)
- una serie B ( istituti tecnici)
- una serie C ( istituti dell’istruzione professionale)
- una serie D ( centri di formazione professionale)
- in play-out : l’apprendistato dove, chi lo frequenta, non viene nemmeno
considerato uno “studente”.
La soluzione individuata nella legge 53/2003 (le famose due gambe) non convince
totalmente, anzi ha creato molte ambiguità. E’ pur vero che la riforma della
scuola superiore è la bestia nera della scuola italiana. Se va in porto, questo
è il 33° tentativo di riforma dopo quella di Gentile. Sulla riforma della scuola
secondaria sono caduti gloriosi governi del passato.
Non vedo però prospettive tranquillizzanti per una soluzione accettabile e
largamente condivisa. Infatti il 24 novembre 2004 è stato approvato al Senato il
Decreto “milleproroghe” in cui è stata inserita, quasi inopinatamente, anche la
proroga per l’approvazione del decreto attuativo della riforma della scuola
secondaria di secondo grado. Vista l’aria che tira, è presumibile che il governo
approfitterà di tutti i sei mesi di proroga per dipanare la matassa. L’originale
piano di riforma della superiore è stato letteralmente cestinato, con un
conseguente secondo incarico agli ispettori e i direttori generali del Miur e
con una emarginazione di fatto del grande ispiratore ( Bertagna). Il dibattito
si è reso incandescente a causa anche delle prime divisioni all’interno della
maggioranza, in modo particolare fra Udc e Forza Italia, che sono su posizioni
molto diverse costringendo il ministro Moratti a prendere tempo. Anzi le notizie
sulla bozza di decreto, ufficiosamente diffuse e quotidianamente modificate,
hanno alimentato le più svariate ipotesi. Tale evoluzione dell’iter legislativo
potrebbe essere vista positivamente alla luce dell’esperienza dell’iter del
decreto attuativo della riforma del primo ciclo, approvato nel 2004, tutto
incentrato nella difesa ad oltranza delle tesi della maggioranza, ma sta
allungando pericolosamente i tempi e ricompare alla memoria la triste fine del
decreti attuativi della legge quadro 30/2000 (Berlinguer), miseramente evaporati
con lo scadere della legislatura. E qui ritorna la maledizione sul destino della
scuola superiore.
Inoltre dobbiamo rilevare la recentissima contrarietà dell’intera CDL alla bozza
presentata il 17 gennaio che sicuramente renderà oltremodo difficile l’iter
legislativo. Il Ministro Moratti è riuscito in questa prima fase ad avere tutti
contro: maggioranza parlamentare, opposizione, oo.ss. e associazioni
professionali. Vedremo come andrà a finire. La nostra associazione inizia ora
l’approccio al testo del decreto partendo dall’analisi della legge delega. Ci
riserviamo una posizione più articolata a breve.
La questione fondamentale è la difficoltà di riconvertire i tre attuali canali
più il canalino in due sistemi ( o gambe ) di pari dignità.
Cerchiamo di analizzare la bozza del decreto presentata in questi giorni, a
completamento di una prima informazione a mezzo schede schematiche con le
indicazioni di carattere generale sulle scelte operate dal Miur su tutta la
materia del secondo ciclo: aspetti comuni dei due sistemi, caratteristiche del
sistema liceale ( norme generali), caratteristiche della IFP (livelli
essenziali) e processo di attuazione.
Articolazione sistema dei licei ( istruzione)
Non è superfluo ricordare che la già citata riforma del Titolo V assegna allo
Stato la programmazione dei licei, oltre a quella dell’intero primo ciclo del
sistema “istruzione”, mentre prevede che siano le Regioni a gestire tutto il
personale.
Dagli 8 licei iniziali definiti nella legge delega 53 ( di cui il liceo
artistico, liceo economico e liceo tecnologico che si articolano in diversi
indirizzi interni) siamo arrivati a ben 21 tipologie di licei.
Stiamo assistendo purtroppo ad un pericoloso processo di liceizzazione,
decisamente in controtendenza rispetto alle scelte di molti Paesi europei, dove
si afferma invece sempre più l’idea della parità o pari dignità tra l’impianto
di istruzione e quello vocazionale, non solo riguardo alle quantità, ma
soprattutto riguardo all’approccio alla conoscenza.
Questa finalità, dichiarata nella Legge 53/2003, rischia di essere compromessa
proprio dalle scelte che emergono sia dal documento presentato il 13 gennaio che
dalla bozza di decreto successivamente diffusa il 17 gennaio 2005, in termini di
scarsa flessibilità dell’offerta formativa, di tetti orari ancora alti, di
parcellizzazione disciplinare e di durata degli studi diversificata tra i due
settori. L’Europa sta andando in senso opposto.
Nell’ultima versione del decreto infatti l’80% delle scuole superiori andrebbe a
formare il canale liceale (800.000 studenti dei licei più 900.000 dei tecnici)
lasciando al canale dell’istruzione e formazione professionale il rimanente 20%
(450.000 studenti dei professionali). Già questo mette in dubbio la effettiva
pari dignità, in quanto le due gambe così articolate non reggono. Ma gli aspetti
professionalizzanti degli istituti tecnici commerciali e industriali dove
andrebbero a collocarsi? In questo modo si continua a non considerare la tecnica
come valore culturale ma solamente strumentale.
Dai nuovi licei tecnologici e commerciali non usciranno tecnici ad alta
qualificazione come richiesto dalle imprese. Ne è buona testimone l’ultima
indagine dell’Unioncamere del Veneto (Progetto Excelsior), che fotografa
lucidamente la situazione della nostra regione ed elabora delle interessanti ed
utili previsioni occupazionali per il 2004. Non vedo come si possa pensare ad
una scuola che non risponda alle richieste culturali del territorio, alle
esigenze del mercato nazionale ed internazionale ed alle istanze della società
che si sta velocissimamente trasformandosi.
Articolazione sistema istruzione e formazione professionale
E’ a legislazione esclusiva regionale (vedi art. 117 della Costituzione
novellata). La legge 53/2003 non può entrare in merito: precisa solamente gli
ambiti entro cui lo Stato è chiamato a definire obbligatoriamente i LEP (
livelli essenziali di prestazione : art. 117, comma 2 Legge costituzionale n. 3
del 2001).
Spetta pertanto alle Regioni il potere legislativo di organizzare il Sistema di
istruzione e formazione professionale ( 14 - 18 anni) e quello superiore ( 19 –
21 anni).
Il percorso di diritto/ dovere all’istruzione e formazione professionale ha la
durata di 12 anni da poter effettuare in istituti di istruzione e formazione
professionale secondo dei livelli essenziali di prestazione.
Sulla base del combinato disposto della L. 3/2001 e L. 53/2003, dovrebbero
essere prodotte da soggetti legislatori diversi:
- Indicazioni nazionali ( per il sistema dei licei)
- Indicazioni regionali ( per il sistema di istruzione e formazione
professionale ).
Art. 117, comma 1
Le Regioni sono dunque obbligate ad emanare leggi per attivare strutture
organizzative del sistema dell’istruzione e formazione professionale.
Pertanto lo Stato non può obbligare a legiferare secondo un comune modello
nazionale. Esiste però l’obbligo della durata di 4 anni almeno per i titoli di
studio e per le qualifiche.
Noi siamo convinti che qualunque sia l’evoluzione della normativa secondaria che
si sta risvegliando dal “sonno legislativo”, non si può prescindere
dall’esigenza pressante di maggiore raccordo fra scuola e lavoro e di una più
organica ed incisiva attuazione dell’alternanza scuola-lavoro.
Vista la negativa esperienza dello scontro frontale fra maggioranza e
opposizione parlamentare, causato dal primo decreto attuativo con gli enti
locali, con le forze sociali e con le forze politiche, è necessaria una maggiore
cautela nell’elaborare le nuove proposte, che non vuol dire dilazionare
all’infinito le decisioni bensì ricercare una base di condivisione non solo fra
forze politiche, ma anche con quelle culturali e sociali.
Bisogna tener conto delle prese di posizione istituzionali (Regioni) e culturali
( pari dignità fra le due gambe) che affollano l’orizzonte sia degli addetti ai
lavori che delle forze vive della società.
Bisognerà pertanto definire bene, certamente in modo più chiaro e condiviso di
come è strutturata l’ultima bozza di decreto che presenta qualche novità
rispetto alla prima e alle schede sintetiche di lavoro , cos’è l’Istruzione (
intesa come offerta formativa con approccio generalista ) e cos’è invece
l’Istruzione e la Formazione professionale.
In questa incertezza di prospettive chiare, stiamo assistendo intanto ad una
fuga pericolosa in massa verso i licei ( pur nella versione attuale), con esiti
certamente non positivi. Verifichiamo infatti da qualche anno ad una emorragia
negli istituti professionali e ad una stagnazione in quelli tecnici. Scelte non
consapevoli e azzardate stanno provocando espulsioni dal percorso formativo, non
sempre recuperabili in altri percorsi integrativi. C’è il rischio reale di
aumentare ulteriormente il fenomeno della dispersione scolastica.
L’ultima ricognizione dell’ISFOL presenta una situazione infatti molto
preoccupante : ben 189.000 ragazzi sono fuori circuito formativo su 1.700.000
ragazzi dai 15-17 anni ( 11%).
I dati dell’indagine OCSE-PISA ci indicano inoltre una situazione di crisi del
sistema scolastico e formativo, a fronte di una richiesta generale del sociale e
del mercato del lavoro di maggiori competenze.
La riforma del secondo ciclo non può non farsi carico anche del grave problema
della dispersione scolastica che vede l’Italia ancora lontana dagli obiettivi
del Patto di Lisbona del 2000.
Tale stato di perdita di risorse umane è sostanzialmente ascrivibile ad un
impianto di preminente uniformità dell’offerta formativa, nella quale predomina
un approccio teorico della conoscenza. Questo pregiudica fortemente una risposta
efficace ad una domanda di percorsi corrispondenti ad altrettanti interessi e
vocazioni.
Nelle bozze delle Indicazioni nazionali elaborate dalle commissioni di lavoro
per la riforma dei licei ( ed ora ancora valide fino a nuovi probabili
ripensamenti o cestinamenti) , esiste comunque una proposta chiara del Miur (
proposta generalista con approfondimenti caratterizzanti gli indirizzi nella
quota opzionale).
Dove e come saranno inserite invece le competenze professionali?
Il sistema delineato sposta una parte consistente della sua realtà in strutture
liceali, ponendo chiaramente il problema del significato della formazione
liceale ed insieme quello della formazione di profili e di competenze che oggi
provengono dal settore tecnico e che domani potrebbero non avere più spazi di
attuazione.
Dal primo impatto, sembra che si stia andando verso una nuova omologazione
schiacciata su un’idea di licealità non vera, senza asse culturale forte ( 21
licei : nessun liceo).
C’ è il pericolo reale di distruggere la positiva esperienza del settore
tecnico/professionale che costituisce i 2/3 del ciclo superiore.
Attori e interlocutori
Vari sono i riferimenti ad intese fra lo Stato e le Regioni per affrontare al
meglio il problema dell’istruzione e formazione professionale :
- Protocollo d’intesa del 23 giugno 2003 fra Stato – Regioni Enti Locali per
attivare percorsi sperimentali di istruzione/formazione professionale di durata
almeno triennale con assolvimento del diritto/dovere per almeno 12anni.
- Intesa fra Stato e Regioni del 15 gennaio 2004 : per la determinazione degli
standard delle competenze culturali (linguistiche, scientifiche, tecnologiche e
storico-economico-sociali) che tutti i giovani devono possedere per conseguire
la certificazione. L’accordo contiene strumenti che consentono il passaggio fra
sistemi formativi con il riconoscimento delle competenze acquisite, con
riferimento ai parametri europei. Per rientrare nei percorsi di istruzione i
giovani e gli adulti potranno chiedere a specifiche commissioni l’accreditamento
delle competenze. Tale accordo è in sintonia anche con la riforma del mercato
del lavoro ( legge Biagi).
- Accordo del 28 ottobre 2004: intesa, all’unanimità, all’interno della
Conferenza Stato-Regioni che stabilisce che la certificazione dei percorsi di
istruzione/formazione professionale diventa spendibile su tutto il territorio
nazionale e non più solo a livello regionale di emissione.
- Insediamento di una task-force il 3 novembre 2004 ( Miur, Ministero Welfare,
Regioni, Enti Locali e Mondo del lavoro). Compito principale è quello di
raccogliere esperienze realizzate e quello in corso nelle varie realtà e
riuscire a metterle in rete come patrimonio di informazioni condivise. Obiettivo
primario è definire le linee di un sistema unitario lungo tutto l’arco della
vita, a partire dalla scuola primaria; progetto difficile di grande mediazione
per non far scattare diffidenze fra i diversi attori, perché tocca competenze
squisitamente “territoriali”.
- Accordo degli ultimi giorni di novembre 2004 : per una formazione
professionale su misura, che prevede l’istituzione dei poli formativi per gli
IFTS, riferiti a specifici settori produttivi, presso scuole secondarie
superiori o centri di formazione professionale accreditati dalle Regioni, che
potranno operare su base pluriennale ( 2004-2006). Rafforzamento dei legami
delle istituzioni scolastiche e formative con il mercato del lavoro, università
e strutture impegnate nell’innovazione e nella ricerca scientifica per favorire
il riposizionamento dei comparti più importanti del Made in Italy.
Interessante per gli ulteriori sviluppi dell’attuazione della riforma del
secondo ciclo potrebbe essere anche la bozza del PECUP ( profilo educativo,
culturale e professionale dello studente alla fine del secondo ciclo di
istruzione), valido ai fini della determinazione dei livelli essenziali di
prestazione e che sta girando in versione ufficiosa.
E’ fatto noto inoltre l’inserimento prepotente della Confindustria nel dibattito
sul destino degli istituti tecnici. Dopo aver cavalcato l’ipotesi dei poli
tecnologici nei mesi precedenti, ora ha cambiato posizione di 180 gradi
accorgendosi dell’eccessivo annacquamento della valenza tecnica e
professionalizzante presente nei futuri licei tecnologici ed economici.
Come ben si vede, la situazione è ancora molto fluida specialmente per quando
riguarda le caratteristiche del secondo canale, che anzi mi sembra in continua
evoluzione.
Manca infatti il fondamentale riferimento quadro della Conferenza Stato-Regioni.
Per di più, stiamo assistendo a prese di posizione molto problematizzanti della
Conferenza stessa in merito alla Legge delega 53/2003 ed ai Decreti attuativi
messi in cantiere, anzi più propriamente ancora a metà del guado.
Cerco di ricordarli : spaccatura a metà sul disegno di legge di riforma, sul
decreto attuativo del primo ciclo, sul decreto sul sistema di valutazione,
mancata intesa su alcuni punti del decreto sul diritto-dovere e mancata intesa
sul decreto sull’alternanza scuola-lavoro.
Parallelamente sono ancora in incubazione le Indicazioni regionali. A buon punto
sembrano essere la Lombardia, la Toscana, l’Emilia-Romagna che stanno elaborando
delle ipotesi abbastanza interessanti. Per le altre Regioni il riserbo è quasi
assoluto.
Noi non sappiamo ufficialmente a che punto sia la Regione Veneto, sia per quanto
riguarda le indicazioni regionali per la seconda gamba, che per la quota
regionale del curricolo della prima gamba. Anche se gli approcci della nostra
associazione al riguardo hanno colto nell’establishment regionale un certo
interesse per la questione. Ci è stato confermato che un gruppo di esperti
(chi?) si sta allenando “in palestra legislativa” per preparare il terreno al
grande evento federalista: l’attuazione del nuovo Titolo V della Costituzione e
la Riforma della scuola .
Resta ancora in sospeso infatti l’applicazione della sentenza 13 di gennaio 2004
della Corte Costituzionale in merito alla riforma del Titolo V della
Costituzione del 2001 ( gestione di tutto il personale della scuola previa
normazione regionale). Anche su questo tema abbiamo notizia che sono in
pole-position solo la Lombardia, la Toscana e l’Emilia-Romagna, le altre regioni
si trovano invece ancora nelle retrovie.
L’Anp è favorevole all’applicazione in tempi brevi della sentenza. Ne sono
testimonianza tutti i documenti nazionali e regionali diffusi nell’ultimo anno
dalla nostra associazione. Il problema vero è invece sapere se possono partire
in tempi diversi le varie Regioni. Alcuni costituzionalisti sono per la velocità
variabile, altri per la contemporaneità del passaggio di competenze ( il che
allungherebbe di molto il percorso).
Prospettive
Una prima azione potrebbe essere quella relativa al recupero delle aperture,
presenti nella legge 53: cercare cioè di attutire con la normazione secondaria i
danni di un peccato originale, frutto di poco onorevoli compromessi politici
della maggioranza, quale quello della durata diversa fra licei e percorsi
professionali. Un altro rimedio potrebbe essere quello di ridurre il pacchetto
annuale di curricolo del quinto anno dei licei in modo da rendere il sistema
liceale più omogeneo all’altro canale.
Un’altra azione potrebbe riguardare lo sviluppo di modelli di curricoli,
realizzando una grande e fondamentale distinzione fra percorsi senza terminalità
(licei) e percorsi con terminalità (tecnici e professionali)
L’Anp, come ulteriore ipotesi da inserire nel dibattito, inserisce anche la
possibilità di coesistenza, nell’offerta formativa di una stessa istituzione
scolastica ad indirizzo tecnico, di percorsi di formazione professionale anche
superiore. Il che faciliterebbe le “passerelle” tra i sistemi, l’immagine della
scuola come interprete dei bisogni del territorio, la costruzione di percorsi di
eccellenza e la pluralità dell’offerta formativa. Il grande assente nel sistema
istruzione e formazione professionale è proprio il segmento che riguarda i 18/21
anni: perché? La domanda è fintamente ingenua ma presuppone una risposta che
determinerebbe un’alternativa al percorso universitario ( altra questione!) e
che deve essere sviluppata con forza. E’ un punto chiave per quanto riguarda
l’arricchimento del sistema formativo nel nostro paese, salvo le pratiche già in
uso di IFTS e dei centri EDA.
E’ suggestiva inoltre, ma per questo non irrealizzabile, l’ipotesi di poter
articolare un’offerta ancora più integrata e comprendente anche il sistema
liceale, all’interno di un’unica istituzione. E’ quest’ultima una positiva
novità presente nell’ ultima bozza, al comma 3 dell’art. 25.
La riflessione si dovrebbe concentrare sui profili educativi e formativi e sulla
definizione chiara del concetto di istruzione e formazione professionale. Se
l’ottica della riforma è quella della costruzione di “piani di studio
personalizzati” , allora il compito del Miur è quello di definire le
caratteristiche generali dei piani nei termini di conoscenze e competenze. Gli
strumenti con i quali perseguire le finalità individuate sono costituiti dalle
istituzioni scolastiche e formative che, attraverso una piena autonomia,
costruiscono tali percorsi. Il problema dell’appartenenza è, da questo punto di
vista, un falso problema. Attiene infatti ai livelli di concertazione tra Stato
e Regioni.
Per quanto riguarda gli istituti che erogano il servizio, si tratta non tanto di
salvare questo o quel segmento dell’attuale di istruzione, ma di riposizionare
risorse, competenze e professionalità, in modo che l’offerta formativa (
qualunque sia la sua appartenenza), sia la più ricca possibile e di livello
qualitativo.
Mi preme infine sottolineare il rischio di deterioramento della già scarsa
autonomia curricolare affidata agli istituti, con riduzione della flessibilità
sia per la scuola che per gli studenti. Che fine fanno dunque i princìpi
dell’autonomia, della necessità dare riposta ai bisogni personali ed a quelli
dei territori di appartenenza?
Dal nostro punto di vista di dirigenti scolastici il vero nodo da affrontare è
l’autonomia scolastica, ancora molto debole anche se ha avuto un riconoscimento
costituzionale, all’art.117. La riforma può essere attuata solo con la piena
valorizzazione dell’autonomia che invece rischia di essere vittima di spinte e
controspinte dal centro alla periferia e viceversa. Sono necessari quindi gli
strumenti per la sua attuazione: di gestione, di valutazione e soprattutto di
valorizzazione delle figure professionali, dirigenti e docenti. Di ciò c’è
scarsa traccia nella legge e nei decreti attuativi, ma soprattutto c’è scarsa
traccia in tutti i provvedimenti legislativi che abbiamo visto negli ultimi tre
anni.
Come uscire da questo pericoloso impasse ( vista anche la recente proroga
richiesta proprio dal Ministro Moratti, consapevole delle difficoltà di
percorso) ?
Bisogna rifuggire innanzitutto da qualsiasi pregiudiziale di tipo ideologico,
sia in positivo che in negativo.
E’ necessario inoltre percepire l’urgenza della riforma, intesa in senso globale
e compresa anche la completa attuazione del decreto per il primo ciclo, che può
e deve essere modificato entro i 18 mesi dall’emanazione.
E’ ora di fare delle scelte. Una riforma, che intenda costruire per il futuro
guardando al passato quanto basta per recuperarne esperienze e dati
significativi, deve avere un progetto, dare delle priorità, scegliendo,
snellendo e individuando assi culturali riconoscibili.
Mai come ora è evidente lo scollamento tra scuola, committenza sociale ed utenza
di ogni singolo studente. La riforma della scuola è troppo importante per essere
attuata solo da alcuni settori della società, tramite i loro rappresentanti
politici al parlamento e al governo. Ne sono testimonianza le vicende legate
all’approvazione della legge 30/2000 (centrosinistra) e della legge 53/2003
(centrodestra).
Faccio mia, anche per la riforma del secondo ciclo, la posizione comune di
Maragliano e Bertagna che si può così sintetizzare: darsi da fare per cogliere
gli elementi di continuità e di condivisione, perché altrimenti il “pendolo
delle maggioranze” ci distruggerà.
21 gennaio 2005
Roberto Nardello
Presidente Regionale
Anp-Cida Veneto