La Sicilia, secondo i tecnici ministeriali, farà i conti con un calo di
oltre 8 mila e 700 alunni, 5 mila circa dei quali al superiore. Mentre
a livello nazionale la popolazione scolastica crescerà di 7 mila e 700
unità. In Sicilia nascono sempre meno bambini e gli alunni stranieri
sono pochissimi rispetto al Nord. Per queste ragioni, a settembre
salteranno circa 3 mila e 600 cattedre e 1.750 posti di personale Ata.
A conti fatti, 5 mila e 350 posti che superano abbondantemente i posti
lasciati liberi dai pensionati. Dal primo settembre, infatti,
passeranno la mano 2 mila e 500 docenti e 750 Ata. La differenza, pari
ad oltre 2 mila posti, sarà a carico dei supplenti isolani che vedranno
calare drasticamente le possibilità di continuare a lavorare.
La Repubblica, edizione di Palermo, a firma di S. Intravaia, porta
questi dati, oggettivamente allarmanti per i precari che da anni
attendono di entrare in pianta stabile nei ruoli della scuola. Loro
stanno minacciando il blocco degli scrutini e comunque azioni esemplari
per evitare i licenziamenti e denunciare all’opinione pubblica tanta
ecatombe di posti, mentre la politica isola pare non avvertire questo
grido accorato e pensa ad altri fatti. Vorremmo tuttavia ricordare che
quando fu approvata la finanziaria del 2008, questi licenziamenti erano
già presenti nella Legge che tutti i partiti della coalizione di centro
destra votarono, compresa dunque l’Mpa che oggi si sostiene all’Ars con
l’appoggio del Pd. Allora forse nessuno avvertì la gravità di
quella votazione per la quale Berlusconi chiese la fiducia proprio per
evitare sorprese. Alla distanza di due anni la rete gettata nel mare dei
cosiddetti sprechi sta portando a galla il plancton più indifeso,
rappresentato appunto dai precari della scuola con tutto il loro
brusio di disperazione e rabbia per la mancanza di lavoro. Non
crediamo che questo sciagurato pescato sarà rigettato in mare, troppa
sicurezza ostenta il Miur sulla razionalizzazione dei posti, mentre la
legge, voluta da Padoa Schioppa, impone di non sforare i fondi
assegnati dal Tesoro. Ma contro i precari c’è pure la divisone del
sindacato, le paure e le lontananze di chi già lavora, la mancanza di
solidarietà da parte dell’opinione pubblica, presa da altre questioni e
comunque per lo più quasi sempre assente. Il blocco degli scrutini
potrebbe essere un modo per lanciare la sfida, ma in un consiglio di
classe quanti possono essere i precari? Fra l’altro c’è pure una
disposizione secondo cui non si possono bloccare i servizi essenziali e
gli scrutini lo sono, per cui la dirigenza potrebbe pure nominare dei
sostituti, vanificando i loro sforzi. Ma non solo. Sta passando
una sorta di ideologia secondo cui l’emergenza educativa (altro slogan
ormai con sempre meno significato) parta dalla poca professionalità dei
professori (vedi l’ultimo caso a Salò) e di cui i troppi supplenti
sarebbero una della cause, per cui toglierli dalle scuole sarebbe opera
meritoria, altrimenti che significato avrebbe l’uscita della
ministra: la scuola non è un ammortizzatore sociale? Non c’è gioco,
verrebbe da dire, come lo dicono i disperati licenziati dalle industrie
e che popolano i tetti delle loro aziende. Non c’è gioco perché la
scuola pubblica interessa sempre meno, mentre il modello Lombardia fa
da capofila insieme coi dati, pubblicati in questi giorni, che
dimostrano come l’implementazione delle private farebbe risparmiare
qualche po’ di milioni allo Stato. Con questi scogli i precari
devono fare i conti, con questo sciabordio subdolo, lento ma costante,
che porta realtà diverse e in diversi approdi dove loro non sono
graditi.
PASQUALE ALMIRANTE