Semplicemente non c'è. Nei nuovi programmi di storia che si studieranno
dal prossimo anno nei licei non si parla di Resistenza. Così come
antifascismo e Liberazione non sono neanche citati. Il buco è al quinto
anno, dedicato allo studio dell'epoca contemporanea, dall'analisi delle
premesse della I guerra mondiale fino ai nostri giorni. La nuova
articolazione, spiegano dal dicastero di viale Trastevere, è stata
dettata dalla necessità di evitare che succedesse, come spesso è
successo, che non si arrivasse neanche a fare la II guerra mondiale.
Troppo poco, ecco perché la commissione per la storia, presieduta da
Sergio Belardinelli, ha deciso di assegnare un intero anno di studi al
Novecento. Nella formulazione dei temi fondamentali, le indicazioni
nazionali precisano che «non potranno essere tralasciati i seguenti
nuclei tematici»: l'inizio della società di massa...«il nazismo, la
shoah e gli altri genocidi del XX secolo, la seconda guerra mondiale,
la guerra fredda (il confronto ideologico tra democrazia e comunismo),
l'aspirazione alla costruzione di un sistema mondiale pacifico (l'Onu),
la formazione e le tappe dell'Italia repubblicana».
Si passa poi alla formazione dell'Unione europea e agli Usa, «potenza
egemone, tra keynesismo e neoliberismo», senza tralasciare «il rapporto
tra intellettuali e potere politico», da affrontare in modo
interdisciplinare. A differenza dei vecchi programmi, parole come
antifascismo, Resistenza, Liberazione sono sparite. «Nessuna operazione
di rimozione», dice a ItaliaOggi Max Bruschi, consigliere del ministro
dell'istruzione, Mariastella Gelmini, e presidente della cabina di
regia sulle indicazioni nazionali dei licei. «I programmi hanno
individuato alcuni nuclei fondamentali lasciando grande libertà alle
scuole, ai docenti. Quando parliamo di seconda guerra mondiale e della
costruzione dell'Italia repubblicana per noi è evidente che è inclusa
la Resistenza». Eppure sulla Shoah, per esempio, si precisa che lo
studio deve ricomprendere anche gli altri genocidi, una precisazione
che manifesta una sensibilità storica e politica sui cui non si è
disposti ad affidarsi all'autonomia e alla bravura dei docenti. «La
Shoah è un unicum, poi ci sono altri genocidi su cui non si può far
finta di niente. Ciò non toglie, sull'altro fronte, che la Resistenza è
un valore imprescindibile, mai pensato di declassarla». Il punto è che
un elenco di fatti significativi di un periodo può facilmente essere
accusato di parzialità se non li cita tutti. «Il nostro non è un elenco
esaustivo e prescrittivo, abbiamo solo indicato macrotemi», dice
Bruschi. Che nega che possa esserci il rischio che la Liberazione
finisca per essere liquidata in due righe e la lotta partigiana magari
in una nota. «Che esagerazione, non c'è nessun rischio di questo tipo.
Ma se il fatto che nei programmi non c'è la parola Resistenza è un
problema, allora... possiamo sempre reinserirla», ribatte.
I programmi infatti non sono ancora definitivi. Genitori, insegnanti e
associazioni possono dire la loro alla Gelmini sul forum dell'Indire.
C'è tempo fino al 22 di aprile.
“Protesteremo, protesteremo con il ministro Gelmini, innanzitutto. E
coinvolgeremo tutti a tutti i livelli, politici, sindacalisti, storici,
perché si rimedi a un grave errore, una vergogna». Al telefono dalla
sua casa romana, il 91enne Massimo Rendina, medaglia d'oro della Guerra
contro il nazifascismo, presidente dell'Anpi di Roma, l'associazione
nazionale partigiani d'Italia, ha l'indignazione appassionata di quando
era partigiano a Torino. Eppure dal ministero assicurano che non c'è
stata nessuna volontà politica di cancellare la Resistenza o la
Liberazione non citandole espressamente nei programmi di storia... «È
una dimenticanza pericolosa. C'è il tentativo, da un po' di tempo, di
rimuovere il nostro passato, la cui conoscenza è già così flebile. Si
vuole mettere tutto sullo stesso piano, tutti colpevoli e tutti
innocenti, i ragazzi partigiani e i repubblichini di Salò, senza così
far capire come è nata l'identità democratica dell'Italia». E ricorda
come, ministro della pubblica istruzione Rosa Russo Iervolino, «ci fu
il primo riferimento diretto nei programmi di storia al fascismo,
l'antifascismo e alla Resistenza. Il ministro Berlinguer poi lo chiarì
con una circolare. Tornare indietro è un errore dal punto di vista
culturale e politico, una lesione alla memoria storica del paese». C'è
chi rivendica la necessità di riscrivere la storia di quegli anni
dolorosi, di mettere in luce gli errori e i delitti commessi da una
parte e dall'altra. «Ma glissare sulla Resistenza, con la scusa che
tanto è compresa tra le tappe dell'Italia repubblicana, farla finire
magari in una nota a piè di pagina di un libro di testo, non è
revisionismo, è confusionismo», ribatte Rendina, «io vado in giro nelle
scuole, i ragazzi non sanno nulla... Non c'è bisogno di confondere le
acque, non gli facciamo un buon servizio». Di Alessandra Ricciardi (Italia Oggi)