Le richieste alle
famiglie devono essere condivise, trasparenti, finalizzate, coerenti
col Pof e mai coercitive. La recente dichiarazione del ministro
Gelmini, sul fatto che le scuole “con troppa leggerezza” chiedono
contributi alle famiglie, non dice niente di nuovo, ma va a toccare un
nervo scoperto, quello dei finanziamenti.
Negli ultimi due anni le scuole hanno intensificato la prassi in uso da
tempo di chiedere soldi alle famiglie a causa della riduzione delle
assegnazioni per il funzionamento didattico e amministrativo. Ma
chiedere è ammesso, esercitare coercizioni no.
Sul sito del Miur, alla voce “Contributo scolastico”, sta scritto né
più né meno quello che il ministro ha ripetuto e le scuole sanno o
devono sapere: in regime di obbligo di istruzione non è consentito
imporre tasse o richiedere contributi obbligatori alle famiglie di
qualsiasi genere o natura per l’espletamento delle attività curriculari
e di quelle connesse all’assolvimento dell’obbligo scolastico.
Eventuali contributi per l’arricchimento dell’offerta culturale e
formativa degli alunni possono essere versati dalle famiglie “soloed
esclusivamente su base volontaria”.
La legge n. 40/2007 (Fioroni) conferma che le “erogazioni liberali” a
favore degli istituti scolastici di ogni ordine e grado, statali e
paritari, si intendono finalizzate all’innovazione tecnologica,
all’edilizia scolastica e all’ampliamento dell’offerta formativa e sono
detraibili nella dichiarazione dei redditi.
Ultimamente molti genitori singoli o associati hanno cominciato a
reagire alle pretese crescenti di certe scuole, lamentando sia gli
aspetti coercitivi, sia l’ammontare delle somme richieste (c’è chi
arriva a chiedere 140 euro), sia il mancato rispetto del vincolo di
destinazione, sia la mancanza di una direttiva ministeriale, con il
conseguente verificarsi di una casistica disparata a volte poco
giustificabile o condivisibile.
Se da un lato chiedere contributi alle famiglie è per certi aspetti una
scelta obbligata, tuttavia le scuole, prima di assumere delibere,
dovrebbero aprire una fase di riflessione e di confronto interno,
valutando attentamente la situazione in relazione alla propria utenza
(famiglie benestanti, monoreddito, con più figli in età scolare) e
stabilendo delle priorità coerenti col servizio di istruzione e col
piano dell’offerta formativa, che in quanto strumento di pianificazione
presuppone delle scelte ponderate e coerenti con l’identità che si è
definita.
Ad esempio, se sono condivisibili le richieste finalizzate alla
didattica e ad offrire ulteriori o migliori prestazioni, appare poco
giustificabile chiedere soldi agli alunni in difficoltà per attività di
recupero o sostegno, specialmente nel biennio delle superiori, dove
vige il regime di gratuità relativo all’obbligo di istruzione e dove
più alto è il rischio dispersione. Trattandosi di parte “ordinaria e
permanente” del Pof, è evidente che bisogna far quadrare i conti con le
risorse disponibili, puntando ad ottimizzare gli aspetti organizzativi.
Le buone pratiche non mancano, basta darsi da fare.
Sono assolutamente da evitare forme sbrigative come mettere in mano al
genitore il bollettino con la cifra già scritta. I rapporti con le
famiglie vanno curati da personale esperto e formato nelle tecniche
della comunicazione istituzionale, che deve essere sempre chiara,
puntuale, efficace. Il sistema di relazioni va costruito facendo leva
sulla corresponsabilità educativa. I genitori devono sentirsi convinti
a partecipare e a contribuire nell’interesse dei figli.
Certamente non basta persuadere i pochi rappresentanti negli organi
collegiali, che spesso non hanno neppure preparazione adeguata, ad
approvare una delibera predisposta dal dirigente o messa a punto dal
direttore sga. Anche il personale di front office deve essere ben
preparato, disponibile, e fornire una corretta informazione.
La finalizzazione degli introiti e la rendicontazione delle spese e dei
risultati ottenuti sono i due elementi essenziali con i quali la scuola
si presenta trasparente nel proprio agire. Se ben gestita, l’operazione
serve a costruire una immagine di “accountability”, indispensabile per
legittimare con autorevolezza e affidabilità quelle richieste che
diversamente potrebbero essere percepite come fastidiosi balzelli. Se
la trasparenza è un obbligo, rendere conto è pure conveniente. Gli
strumenti non mancano: dalla relazione periodica del dirigente
scolastico al consiglio di istituto, che potrebbe essere pubblicata
anche sul sito web, al bilancio sociale o comunque a modalità
divulgative semplificate destinate ai portatori di interesse con la
descrizione delle scelte, obiettivi, mezzi impiegati, risultati
ottenuti.
Inoltre le scuole potrebbero attivarsi per trovare forme più innovative
di auto-finanziamento, dai contratti di sponsorizzazione, a soluzioni
più creative che già si stanno diffondendo, senza snaturare il servizio
di istruzione, ad esempio organizzando feste di “beneficenza” a tema al
posto di visionare il solito film durante le assemblee di istituto.
La
tecnica della scuola
di Anna Maria Bellesia