Approvati
il 4 febbraio scorso dal Consiglio dei Ministri, i Regolamenti Gelmini
concernenti Licei, Istituti tecnici e Istituti professionali allargano
lo spazio per l’autonomia “dal basso”, ma contemporaneamente azzerano le
sperimentazioni; dall’altra,
pongono vincoli finanziari molto severi per l’esercizio di tale nuova
autonomia.
(da www.ilsussidiario.net)
Redazione
redazione@aetnanet.org
L’autonomia scolastica, nata con la legge Bassanini n. 59 del 1997,
sviluppatasi con il DPR n. 275 del 1999 – ministro Luigi Berlinguer –
riconosciuta di valore costituzionale nel nuovo Titolo V del 2001,
arrivata al 20% del monte ore con Letizia Moratti, aumenta ora con i
Regolamenti Gelmini fino al 35% negli Istituti tecnici e al 40%
nell’ultimo anno degli Istituti professionali. Tuttavia, fino ad ora si
è trattato di un’espansione sulla carta, di decreto in decreto, di
legge in legge.
Nella realtà solo l’8% degli istituti scolastici – secondo una ricerca
della LUISS - ha tentato di utilizzare gli spazi aperti dall’autonomia.
Nei Licei, “la quota dei piani di studio rimessa alle singole
istituzioni scolastiche non può essere superiore al 20 per cento del
monte ore complessivo nel primo biennio, al 30 per cento nel secondo
biennio e al 20 per cento nel quinto anno.
Gli Istituti tecnici possono utilizzare la quota di autonomia del 20%
dei curricoli, “fermo restando che ciascuna disciplina non può essere
decurtata per più del 20% previsto dai quadri orario”. Qui compare la
flessibilità, intesa come possibilità di articolare in opzioni le aree
di indirizzo del settore economico (Amministrazione-Finanza-Marketing e
Turismo) e del settore Tecnologico per corrispondere alle esigenze del
territorio e ai fabbisogni formativi espressi dal mondo del lavoro e
delle professioni, con riferimento all’orario annuale delle lezioni:
perciò autonomia entro il 30% nel secondo biennio ed entro il 35%
nell’ultimo anno.
Quanto agli istituti professionali, possono utilizzare la quota di
autonomia del 20% dei curricoli nel biennio, che può estendersi fino al
35% dell’orario di lezioni nel secondo biennio e fino al 40%
nell’ultimo anno. Dunque, autonomia sì, ma dentro la rigidità
invalicabile dell’organico annualmente assegnato e con il vincolo di
evitare esuberi del personale.
Il vincolo di spesa funziona, in particolare, per la possibilità che
viene data di «costituire dipartimenti, quali articolazioni funzionali
del collegio dei docenti, per il sostegno alla progettazione formativa
e alla didattica»; di «dotarsi di un comitato scientifico composto di
docenti e di esperti del mondo del lavoro, delle professioni, della
ricerca scientifica e tecnologica, delle università... con funzioni
consultive e di proposta per l’organizzazione e l’utilizzazione degli
spazi di autonomia e flessibilità»; di «organizzare, attraverso il
piano dell’offerta formativa, attività ed insegnamenti facoltativi
coerenti con il profilo educativo, culturale e professionale dello
studente; di stipulare contratti d’opera con esperti, nei limiti delle
risorse iscritte nel programma annuale di ciascuna istituzione
scolastica; di disporre «di un contingente di organico... con il quale
possono essere potenziati gli insegnamenti obbligatori per tutti gli
studenti e/o attivati ulteriori insegnamenti, finalizzati al
raggiungimento degli obiettivi previsti dal piano dell’offerta
formativa mediante la diversificazione e personalizzazione dei piani di
studio».
Sorge immediata una domanda: lo scenario delineato dai Regolamenti è
realistico e realizzabile? La domanda non è peregrina, solo se si pensi
alla bassa percentuale di scuole che dopo più di dieci anni hanno
applicato l’autonomia. Quando ci hanno provato, hanno mirato
soprattutto a moltiplicare la propria offerta formativa attraverso nomi
attraenti e di fantasia, con tecniche da televendita.
La questione centrale resta quella della gestione dell’organico. Per
praticare la flessibilità occorre poter variare la costituzione del
proprio corpo insegnante in relazione alle materie che si decide di
impartire. Il che paradossalmente potrebbe anche portare ad una
diminuzione della spesa stessa.
E si dovrebbero usare le competenze degli insegnanti, potendo
attribuire loro insegnamenti non santificati dall’abilitazione, ma la
cui conoscenza sia comunque in diverso modo attestata. Finora la
flessibilità era possibile, perché gli insegnanti potevano avere ore a
disposizione (con cattedre 14+4, 15+3 ecc...) oppure perché si
utilizzavano i minuti lasciati dalle ore ufficiali (che erano di 50
minuti) oppure perché venivano pagati con fondi di diverso tipo o
provenienza...
Cambiare ogni anno l’organico di diritto (e non aggiustarsi
sull’organico di fatto) è lo strumento reale per consentire la
flessibilità, soprattutto ora che la norma prevede la possibilità di
percentuali così ampie da non essere gestibili con aggiustamenti.
Ma ci sono ulteriori condizioni per l’esercizio della flessibilità: che
la gestione tecnica di queste operazioni non venga centralizzata e che
le decisioni di variare consistentemente l’organico non dipendano dal
Collegio docenti, ma dall’organo di governance dell’Istituto. Un modo
per diminuire gli attriti e le frizioni che la messa in atto di questo
meccanismo necessariamente comporta è quello di ampliare i criteri di
attribuzione degli insegnamenti al di là dei limiti tradizionali delle
abilitazioni.
In questo caso i docenti presenti nella scuola ed eventualmente
“perdenti posto” potrebbero essere utilizzati per un arco più ampio di
insegnamenti, per i quali siano dotati di altre abilitazioni (anche se
non la titolarità di cattedra) o addirittura semplicemente di titoli di
studio e di certificazioni valide.
Come si vede, per rendere praticabile lo schema
dell’autonomia/flessibilità ordinamentale, soprattutto nelle ampie
dimensioni che si è voluto attribuirgli, è necessario mettere mano al
sistema di gestione del personale.
Un modo ci sarebbe per uscire dalla contraddizione: quella di
realizzare un’autonomia completa sia dal punto di vista della gestione
del personale sia dal punto di vista del reperimento delle risorse sul
territorio. Il che potrebbe avvenire, se fosse approvato il PdL n. 953
di Valentina Aprea. Questo PdL diviene la condizione di concreta
fattibilità dei Regolamenti Gelmini. (Giovanni Cominelli)