La riforma funziona: record di
insufficienze. È la
cura per una generazione che non conosce la parola "bocciato".
La perdita del buonsenso trionfa quando si promuove un seminario dal
titolo: «Perché mi bocci?»,
appena svoltosi a Bologna con tanto di autorevoli partecipanti. «Ti boccio perché non studi, perché non
hai senso del dovere malgrado quel che si sta facendo per te, perché
sei un nullafacente» - risponderebbe il buonsenso.
Voglio farlo io un elogio di
don Giussani a cinque anni dalla morte. Lo voglio fare proprio in
quanto ebreo, perché don Giussani era un cattolico che voleva bene agli
ebrei, capiva l'ebraismo. So di ebrei con cui ha saputo parlare
stimolandoli ad approfondire la propria identità, non per convertirli.
E soprattutto voglio fare il suo elogio per quel che ha dato sul tema
dell'educazione, dicendo cose coraggiose e giuste - giuste perché vere
- e che forse troppi, anche tra i suoi discepoli, stanno dimenticando o
travisando. Difatti, don Giussani ha visto in tempo il rischio che si
profilava e che ora è realtà: la distruzione del principio d'autorità.
Certo, egli respingeva l'idea di guardare indietro, ma per lui il
motore dell'educazione era l'esistenza di un maestro - e quindi il
richiamo a un principio di autorità, autorità affettiva e autorevole,
beninteso - e la trasmissione della conoscenza, dell'esperienza, della
tradizione.
Prescriverei la lettura nelle scuole dei brani sulla «conoscenza per
testimonianza». La prescriverei come medicina quotidiana per coloro che
ripetono sventatamente i futili protocolli dell'«autoapprendimento» e
dell'«autoformazione». «Tutta la cultura umana si basa sul fatto che
uno incomincia da quello che ha scoperto l'altro e va avanti». Banale?
Ovvio? Non direi proprio, a stare a sentire chi predica che l'alunno
deve ricostruirsi tutta la conoscenza da solo, che nessuno deve
insegnare l'algoritmo della divisione o la fonetica, perché sarebbe
violenza sui minori, educazione «trasmissiva», lezione «ex cathedra».
Non è né banale, né ovvio: è semplicemente vero perché dettato dal
buonsenso. Diceva Cartesio che il buonsenso è equamente ripartito ma
non tutti sanno usarlo. Qui c'è chi, lungi dal saperlo usare, lo
disprezza.
Per convincersi che l'acqua può essere scissa in ossigeno e idrogeno
sarà forse necessario rifare l'esperienza di Lavoisier? Si riporrà
piuttosto fiducia nella testimonianza di chi l'ha fatta. Certo, occorre
che la testimonianza sia affidabile. Ed è giusto essere capaci di
verificare questa affidabilità e di riappropriarsi attivamente del
sapere trasmesso. Ma chi potrà creare questa capacità se non un
autentico maestro? Quando un alunno avrà acquisito questa capacità
autonoma sarà in grado di rendersi conto che gli articoli
dell'Enciclopedia Treccani sono affidabili mentre quelli di Wikipedia
non lo sono. Se nessuno gli avrà insegnato - trasmesso - la capacità di
muoversi sul terreno bibliografico andrà allo sbando. Solo chi abbia
acquisito a fondo queste capacità - derivanti da conoscenze consolidate
nel tempo - sarà in grado di rendersi conto che il Dizionario
biografico degli italiani fin ad ora pubblicato è affidabile, mentre il
seguito, se verrà fatto con i metodi di Wikipedia, non lo sarà.
Ma ora la parola d'ordine dell'autoapprendimento è persino superata.
L'ultimo grido è l'«apprendimento personalizzato», tagliato su misura
per ogni studente e che garantisca il «successo educativo». La perdita
del buonsenso trionfa quando si promuove un seminario dal titolo:
«Perché mi bocci?», appena svoltosi a Bologna con tanto di autorevoli
partecipanti. «Ti boccio perché non studi, perché non hai senso del
dovere malgrado quel che si sta facendo per te, perché sei un
nullafacente» - risponderebbe il buonsenso. Nient'affatto. Agli
«studenti che si sentono alieni in classe, insofferenti ai ritmi delle
lezioni, alle prescrizioni degli insegnanti, che non sopportano i riti
e le regole di questa istituzione che ancora chiamiamo scuola» bisogna
offrire «soluzioni educative accattivanti» - recita il dépliant. Ma
quando si parla di «soluzioni accattivanti» si promuove quella
pseudocultura che, per dirla con Zygmunt Bauman, «non ha gente da
educare, ma piuttosto clienti da sedurre». Né passa per la mente il
dubbio che, se la scuola non funziona, è perché è governata dalla
soluzioni imposte da qualche decennio dalla dittatura del pedagogismo
dell'autoapprendimento.
No, si vuol raddoppiare la dose di questa cattiva medicina. Secondo
l'«esperto» inglese Charles Leadbeater, personalizzare significa
«partecipazione e co-creazione». A suo dire, gli studenti sono già
co-creatori. Non sono «solo diventati i co-produttori di un nuovo
servizio e di nuovi impieghi per il telefono mobile, ma i creatori di
una nuova ortografia coniata sulle conversazioni digitali, rapida,
snella, abbreviata, fonetica, che dai cellulari sta via via invadendo
più generali forme di scrittura».
Insomma, signori dell'Accademia della Crusca e dell'Invalsi, siete
inutili cariatidi. Mentre vi lamentate perché gli studenti non sanno
più scrivere e usare la logica nel comporre testi, il mondo vi scorre
sotto i piedi e i «co-creatori» edificano un nuovo mondo dotato di una
nuova lingua. Anzi, toglietevi di mezzo. Lo ammonisce Leadbeater,
assieme ai suoi allievi italiani: «Dare voce in capitolo a coloro che
apprendono».
Si tolgano di mezzo anche quei genitori che pretendono dai figli un
rendimento di qualità, rigore, disciplina, concentrazione. Il potere
andrà agli alieni in classe e a quei genitori che fanno i sindacalisti
della nullafacenza contro l'istituzione «che ancora chiamiamo scuola».
E si tolgano di mezzo gli insegnanti che pretendono di insegnare. Una
valutazione severa è riservata soltanto a loro, per gli altri c'è
soltanto il successo garantito.
Occorrerebbe rileggere e mandare a memoria il celebre brano della
Repubblica di Platone in cui si spiega come dall'eccesso di libertà si
passi alla tirannide:
«Forse adunque l'insaziabilità di quel bene che la democrazia si
prefigge, la manda in rovina? - Ma quale bene? - La libertà - E in che
modo? - Quando uno Stato retto a democrazia, assetato di libertà, si
trovi ad avere per capi cattivi coppieri, e oltre il dovuto si inebrii
di libertà non annacquata, allora esso punisce i suoi governanti se non
sono molto miti e non concedono molta libertà, e li accusa di essere
tristi e oligarchici. Ed è inevitabile che il disordine penetri anche
nelle case private e finisca per ingenerarsi l'anarchia anche fra gli
animali. - In che modo? - Così: che il padre si avvezzi a divenire
simile al figlio e a temere i figli; ed il figlio si faccia simile al
padre e non rispetti e non tema i genitori… in tale ambiente il maestro
teme e adula gli scolari, e gli scolari fanno poco conto dei maestri e
dei pedagoghi; e in tutto i giovani si mettono alla pari con gli
anziani e con essi gareggiano a parole e in atti; e i vecchi, cedendo
ai giovani, si mostrano pieni di arrendevolezza e di gentilezza, ed
imitano i giovani per non sembrare sgraditi né autoritari. … tutto
questo ammollisce l'anima dei cittadini… infine non si danno pensiero
delle leggi né scritte né non scritte per non avere nessun padrone.
Questo veramente è il bello e baldanzoso principio da cui si genera la
tirannide».
Giorgio Israel (da Il Giornale
)