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Dirigenti Scolastici: LE RETRIBUZIONI DEI DIRIGENTI, DAL CONFRONTO I PRESIDI ESCONO PEZZENTI

Opinioni

Sicché ora il velo dell’ipocrisia, sotto cui è stata ammantata l’autocontemplativa «specificità» della dirigenza scolastica – una sorta di indecifrato tertium genus – si è squarciato.
E difatti, se i colleghi «specifici» si periteranno di cliccare sul sito Trasparenza del MIUR si renderanno avvertiti che esistono, ex lege, solo due fasce o livelli di dirigenza pubblica, e per tutte le pubbliche amministrazioni, non solo il MIUR: i capi-dipartimento e i direttori generali (rectius: preposti alla conduzione di uffici dirigenziali generali), di prima fascia, ovvero i dirigenti non generali, di seconda fascia, comprensivi dei dirigenti amministrativi, dei dirigenti tecnici e dei dirigenti scolastici.
Che ciò sia vero (e almeno plausibile, in termini di ragionamento «sensato», supportato dalla norma) lo evidenziano, in prima battuta, dei semplici numeri (espunti, per comodità, i decimali).
1 – Sia i capi-dipartimento che i dirigenti di uffici dirigenziali generali percepiscono l’identica retribuzione tabellare, in forza del mero possesso della qualifica (€ 51.329) e l’identica retribuzione di posizione-parte fissa, in forza dell’incardinamento nel ruolo dirigenziale (€33.633). Si differenzia, ovviamente, la retribuzione di posizione-parte variabile, che è rapportata alla complessità della struttura cui si è preposti: € 107.400 per i (tre) capi-dipartimento, € 46.104 per i direttori generali (qui, «curiosamente», tutti gli uffici dirigenziali generali – da quelli centrali a quelli regionali, da quelli del minuscolo Molise a quelli di regioni di ben più consistenti dimensioni, tipo Lombardia e Campania – sono stati dichiarati ex contractu di complessità equivalente).
2 – Per tutti i dirigenti di seconda fascia (dirigenti amministrativi, dirigenti tecnici e dirigenti scolastici) il trattamento tabellare è unico, pari a € 40.129 (remunerazione della qualifica in quanto tale). Ma – attenzione! – mentre per le prime due categorie, e per tutti i dirigenti di seconda fascia di tutte le pubbliche amministrazioni statali, la retribuzione di posizione-parte fissa è di € 11.262 (corrisposta per il sol fatto di appartenere ai ruoli organici, a prescindere dal conferimento di un incarico dirigenziale, quindi anche se si è a disposizione) per la sola dirigenza scolastica – figlia di un dio minore – è di € 2.530.
E’ invece (contrariamente che per la dirigenza generale) differenziata la retribuzione di posizione-parte variabile, perché rapportata alla diversa complessità dell’incarico effettivamente svolto: per la dirigenza amministrativa e tecnica si va da un minimo di € 4.896 a un massimo di € 20.220, in media € 13.400 circa (c’è solo una casella vuota, presumibilmente perché il dirigente risultava privo d’incarico – ma non abbiamo approfondito la questione); mentre per la dirigenza scolastica (ci riferiamo, in particolare, alla regione Puglia) si va da un minimo di € 4.500 circa a un massimo di € 9.026, in media € 6.700 (un dirigente amministrativo vale due dirigenti scolastici, ovvero prendi due e paghi uno!).
3 – Com’è possibile una consimile, diciamo, anomalia? Occorre fare un passo indietro. Quando sul tronco della rivisitata dirigenza pubblica ad opera del d. lgs. 29/93 fu innestata la neonata dirigenza scolastica, l’art. 21 della legge 59/97 la vincolò (tra l’altro) al contestuale acquisto della personalità giuridica e dell’autonomia di ogni istituzione scolastica, alla cui conduzione, di regola, essa andava preposta, perciò richiedente la provenienza dalla funzione docente. Giustamente il legislatore si preoccupò di predisporre un’intelaiatura essenziale, idonea a disciplinare una dirigenza più complessa, sia di quella tecnica che di quella amministrativa, essa partecipando di entrambi i profili, rinviandone l’integrazione a un decreto legislativo (d. lgs. 59/98) che avrebbe dovuto, con più puntuale dettaglio, individuarne «i contenuti e le specificità».
Per converso, inconferentemente, impose la disposizione ultronea che «il rapporto di lavoro dei dirigenti scolastici sarà disciplinato in sede di contrattazione collettiva del comparto scuola, articolato in autonome aree»: in chiara distonia con il nuovo assetto privatistico del pubblico impiego, nel mentre per tutte le autonome (in senso stretto) aree dirigenziali pubbliche ogni regolazione – afferente al rapporto di lavoro – era rimessa ai tavoli negoziali, in sede di contrattazione intercompartimentale. E’ evidente che questa scelta precostituiva del legislatore è stata squisitamente «politica» (nel senso di non essere richiesta da una logica di sistema, anzi!), di cedimento ai sindacati scolastici generalisti, che mal sopportavano l’uscita dal comparto scuola dei già presidi e direttori didattici, dirigenti in pectore, dopo aver perso gli ispettori tecnici, felicemente transitati nella dirigenza ministeriale dell’area 1 alla fine degli anni ottanta, per acquisire un anno dopo la piena equiparazione retributiva con la medesima.
La formula usata dal legislatore compendia esattamente quanto è scritto nel contratto collettivo nazionale della scuola stipulato il 4-8-95 in un assetto ordinamentale preautonomistico: di mantenere una «distinta area della specifica dirigenza scolastica nell’ambito del comparto scuola [e non in un unico e naturale comparto dirigenziale, sia pure distinto in aree], non assimilabile alla dirigenza [la generale dirigenza pubblica] regolata dal d. lgs. n. 29 del 1993».
Nonostante ciò era (è) comunque contrario alla logica e alla ragionevolezza (principi-cardine dell’ordinamento giuridico, secondo la corte costituzionale) farne derivare un trattamento economico deteriore, stante i vincoli deducibili dall’analisi sistematica degli artt. 25, 17 e 24 del d. lgs. 165/01, il cui ordine non è casuale,  qui tralasciandosi l’art. 29, prima della sua riscrittura da parte del d.p.r. 140/08, che per il reclutamento della dirigenza scolastica prescrive(va) una procedura molto più severa rispetto a quella della generale dirigenza pubblica.
E’ facile constatare che, attraverso una comparazione degli articoli 25 e 17, emerge un profilo di dirigenza – quella scolastica – molto più complesso di quello della dirigenza amministrativa.
E difatti il dirigente scolastico risulta titolare di organo-ufficio con rappresentanza esterna, gestisce un bilancio autonomo e ne risponde, ha una composita struttura da governare con conseguente sovraesposizione sociale, è datore di lavoro e titolare delle relazioni sindacali (con relativi gravami in ordine al contenzioso e per la violazione delle norme sulla sicurezza e sulla privacy, che mettono capo ad una personale e diretta responsabilità, anche di natura penale).
Nulla di tutto ciò connota la dirigenza amministrativa, di pari seconda fascia (e ancor meno l’eterea dirigenza tecnica, addirittura priva di una pur minima struttura fisica da governare), in definitiva chiamata alla gestione diretta di non più di una decina di persone per il perseguimento di obiettivi assegnati piuttosto semplici, opportunamente declinabili, facilmente quantificabili e misurabili: quindi altrettanto facilmente remunerabili e – si veda in prosieguo – non simbolicamente!
Eppure, se si legge l’art. 24 del d. lgs. 165/01 vi si trova scritto che la retribuzione del personale con qualifica di dirigente deve prevedere che il trattamento economico accessorio [dandosi per scontato che le voci fisse debbano essere uguali per tutti, per il sol fatto della comune qualifica e per l’appartenenza al ruolo: supra] sia correlato alle funzioni attribuite, alle connesse responsabilità e ai risultati conseguiti.
Che di ciò fosse consapevole l’amministrazione-datrice di lavoro (all’epoca il MPI, ora MIUR) lo testimonia il suo atto d’indirizzo consegnato all’ARAN per l’apertura del contratto d’ingresso nella dirigenza scolastica, ammettendo che al momento non vi erano le risorse per la piena equiparazione con la dirigenza pubblica, rinviata alla successiva tornata contrattuale. Si sa poi com’è andata a finire.
4 – Dicevamo di salario accessorio. Ebbene, qui la cennata anomalia si è trasformata in autentica aberrazione.
Ritornando ai numeri, si nota che i dirigenti di pari seconda fascia del MIUR hanno una retribuzione di risultato che formalmente oscilla dai 3.600 ai 31.900 euro, ma con una media di poco inferiore ai 25.000 euro, per il semplice fatto che – grazie a un generoso, alquanto «domestico» sistema di valutazione (rectius: autovalutazione), che si esaurisce in una sola scheda SOR (scheda degli obiettivi e dei risultati), integrata da un’eventuale scheda compensativa denominata EDE (elementi delle difficoltà evidenziate), è piuttosto facile raggranellare i punti necessari per vedersi attribuita nella misura massima la retribuzione di risultato. E, si badi bene, trattasi solo della quota-base, come da CCNI 18-12-09, in attesa di certificazione!
Mentre per la dirigenza scolastica, solennemente assisa sull’aureo trono della sua ineffabile «specificità», e a distanza di dieci anni, la retribuzione di risultato è assicurata a tutti, in  egual misura e nella fantascientifica cifra di 983,45 (dicesi novecentottantatrevirgola quarantacinque) euro annui lordi su tredici mensilità: qui un dirigente amministrativo vale venticinque volte un dirigente scolastico, ovvero ne prendi (ne recluti) venticinque e ne paghi uno! Ma può valerne anche di più se il confronto è fatto con un brillante cinquantenne vincitore del concorso ordinario, perché, unico tra tutti i dirigenti pubblici, soggiacendo alla disgrazia di provenire dalla docenza, non si trascina nessuna retribuzione individuale di anzianità – RIA, alla pari di un giovanotto neanche trentenne che, privo di un ruolo di provenienza, abbia superato il corso-concorso indetto dalla scuola superiore della pubblica amministrazione.
Come si spiega tutto ciò? Sempre e solo con questa benedetta specificità, che poi consiste semplicemente, e alla lettera, nella banale puntualizzazione che per la valutazione dei risultati le verifiche sono effettuate da un (imprecisato) nucleo di valutazione istituito presso l’amministrazione scolastica regionale, presieduto da un (generico) dirigente e composto da esperti (quali?) anche non appartenenti all’amministrazione stessa.
Sicchè, in luogo di adattare, con alcune marginali e non impossibili modifiche, il sopramenzionato modello «domestico» (sobrio, lineare, maneggevole), che è utilizzato anche per valutare i direttori generali e i capi-dipartimento (ma non ritenuto adatto a cogliere la «peculiarità» di una dirigenza «specifica»), si sono escogitati iperconcettuosi dispositivi, naturalmente sperimentali, SIVADIS 1, SIVADIS 2, SIVADIS 3, tutti puntualmente falliti; così come è nato morto l’ultimo lunare, mostruoso (e confuso) apparato documentale messo a punto dalla fervida fantasia dell’INVALSI, presieduto da un economista che – non potendo fare affidamento su un’inesistente struttura professionale interna perché composta da una trentina di comandati e per lo più precari – si è avvalso di anonimi esperti , compreso qualche dirigente scolastico di complemento che, evidentemente, ha smarrito il suo legame con il luogo di esercizio della sua funzione istituzionale. Un marchingegno dal costo annuo stimato di 3.000 euro per ogni valutato, che se risultato eccellente si vedrebbe (si sarebbe visto) attribuire poco più di 1.500 euro lordi: ma al termine del processo triennale di valutazione (che tale, tecnicamente, non è, essendo piuttosto un percorso di assistenza-consulenza continuo), e dopo la messa a regime del sistema, cioè non prima del 2015! Nel frattempo, una mancia uguale per tutti. Con grande giubilo del datore di lavoro e con sostanziale apprezzamento della «controparte» (sic!) sindacale rappresentativa, si dice, della categoria, se si esclude il minuscolo, evanescente, SNADIS, che una volta al mese informa dei funerali di un collega o mette sul sito qualche informazione  (l’ultima è risalente al 29 dicembre 2009 e riguarda il decreto Brunetta che amplia, a sette ore, la fascia di reperibilità dei lavoratori finti malati); e che, per essere ospitato ai tavoli negoziali, si appoggia alla CGIL, cioè al più conservatore dei sindacati generalisti.
5 – Ora, se ci si dispone frigido pacatoque animo ragionandosi con norme alla mano, e trattandosi di un rapporto di lavoro privatizzato e dunque sottoposto alla disciplina civilistica, un datore che riconosce di corrispondere una retribuzione inferiore a quella dovuta ma procrastina all’infinito l’obbligata perequazione, non esegue esattamente la controprestazione, quindi è inadempiente e perciò tenuto a «restituire» quanto indebitamente percepito (una prestazione dirigenziale) perché privo di causa (per la rottura del sinallagma a suo favore), oltreché a risarcire il danno.
Lo stesso, e ancor più, è a dirsi per la mancata e tempestiva attuazione di un meccanismo di valutazione preordinato all’attribuzione della retribuzione di risultato, pur in presenza della formale assegnazione degli obiettivi (figuranti nei provvedimenti d’incarico e conseguenti contratti individuali per quanto afferente alla parte economica). Qui c’è un chiaro comportamento elusivo dei propri obblighi perché contrario alla buona fede, che del pari si sostanzia, più che in un inesatto, in un totale mancato adempimento.
6 – Se finalmente si aprono gli occhi e si sarà riusciti a guadagnare un minimo di orgoglio o di amor proprio, non essendo più disposti a lasciarsi ammannire con slogan e parole d’ordine, si comprenderà chiaramente che la via contrattuale è un vicolo cieco.
Sperare che i sindacati generalisti – che campano sulle tessere e sui numeri – siano disposti ad immolarsi sull’altare dell’equiparazione retributiva è una pia illusione: come giustificare ai «lavoratori» la «sproporzione» retributiva rispetto alla loro «controparte»? Sperare che lo facciano sindacati professionali (ex) monorappresentativi (pure relativamente maggioritari, ma non maggioranza assoluta nell’attuale – perché destinata a breve a defungere – quinta area della dirigenza scolastica) non è meno illusorio, se si guarda alla politica degli ultimi anni e all’incredibile inerzia (salvo innocui diversivi) dimostrata sulle vicende in atto del rinnovo di un contratto scaduto da più di quattro anni (dopo una ventina di incontri si sta ancora facendo il punto della situazione!). Che, ogni giorno di più, si stanno mangiando gli indubbi meriti storici di essersi pervicacemente battuti per la dirigenza scolastica, osteggiata dai tradizionali sindacati, poi subita con malcelata insofferenza e, nel contempo, con incessante lavorio ai fianchi, depotenziata sino al punto di essere ridotta a un vacuo nomen iuris.
A dirla in chiaro è una politica da «sindacato giallo», per essersi progressivamente orientata alla cattura di tessere nell’ambito di autodefinitesi alte professionalità (funzioni strumentali, collaboratori vicari, direttori dei servizi generali e amministrativi, sino ai giovanotti – non più tanto giovanotti – sissini in attesa di diventare docenti), con il pretesto di provare ad essere rappresentativi nel comparto scuola sfruttando il meccanismo delle elezioni delle RSU (tentativo già due volte clamorosamente naufragato). Alte professionalità (sic!) per intanto legittimate ad allegare le distinte proprie ragioni ai comuni tavoli congressuali, senza che sia dato, persuasivamente, di comprendere che ci azzecchino con la dirigenza.
Allora non resta che una strada: quella giudiziaria.
A meno che, ancora una volta, non ci si lasci abbindolare dalle sciocchezze – e dalle insolenze (anche qui slogan e parole d’ordine!) – di chi teorizza la stravaganza che un contratto , o più contratti con atti d’indirizzo inclusi, non si possano impugnare, ovviamente uti singuli siccome lesivi del diritto soggettivo alla giusta retribuzione, qui a ben poco valendo il vincolo delle risorse pubbliche che – con stucchevole litania – vengono sistematicamente dichiarate a destinazione prioritaria delle tante, ricorrenti, emergenze.
Perché se non ci sono (e non si vogliono trovare), allora il datore di lavoro non assume (non è obbligato ad assumere) dirigenti per poi remunerarli meno di un quadro. Se li assume (come effettivamente li ha assunti, utilizzandone appieno le prestazioni) allora deve valere, nel caso di specie, il brocardo fiscus semper locuples.
E per trovare un giudice forse non ci sarà bisogno di valicare i confini nazionali per andare a Berlino. Ma se sarà necessario si potrà proseguire ben oltre, virando a sud-ovest in direzione Strasburgo verso la Corte europea dei diritti dell’uomo.
Una trentina di dirigenti scolastici salentini ha già imboccato questa via. Se qualcun altro ci sta batta un colpo e si faccia avanti.









Postato il Venerdì, 12 febbraio 2010 ore 18:25:56 CET di Salvatore Indelicato
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