Onorevole Berlinguer, la riforma Gelmini è stata finalmente approvata.
Qual è il suo giudizio in merito?
In primo luogo saluto con grande piacere la chiusura di una stagione,
ossia quell’eterno periodo delle sperimentazioni. Se c’è un aspetto che
ho apprezzato in questa riforma, ed è comunque uno dei pochi, è la fine
degli innumerevoli indirizzi presenti nelle secondarie. Come però ho
spesso affermato il problema non finisce qui. Questo è solo un primo,
doveroso, passo verso un cambiamento radicale del sistema scolastico
italiano. Ma la mentalità con la quale si è affrontata questa riforma
rimane inesorabilmente la solita, tradizionalista.
In che senso?
Cominciamo da un altro elemento positivo: la riduzione del numero di
ore. Sicuramente è un provvedimento giusto. Io però non pongo come
primario un problema di “numero di ore” di lezione. Personalmente,
quando ero ministro, ho proposto e anche realizzato una riduzione del
tempo-scuola formale. In seguito il ministro Moratti disfece tutto e
reintrodusse tutte quelle ore che sappiamo. Ma il vero problema verte
su quello che in un mio articolo ho chiamato «il terreno dei contenuti
di metodo e culturali, disciplinari, curriculari, di organizzazione
didattica». È su questo terreno che si costruisce una scuola nuova,
adeguata ai tempi. Da questo punto di vista ho davvero notato ben poco
di nuovo in questa riforma.
Questa è un’accusa frequente da parte dell’opposizione, insieme al
fatto che proprio l’eccessiva attenzione agli aspetti finanziari legati
alla riforma abbia impedito una maggiore riflessione didattico
pedagogica. Che cosa ne pensa?
Sono in parte d’accordo, anche se credo che il contraccolpo sia stato
più dannoso da un punto di vista psicologico. Mi spiego. L’approccio
finanziario ha nuociuto perché sostanzialmente lungo il corso della
passata stagione, dello scorso anno, il clima di riforma incentrato sul
risparmio ha fatto apparire chiaro un messaggio rivolto sia agli
studenti sia, soprattutto, agli operatori. Il messaggio è: “voi non
siete una risorsa, ma uno spreco”. In poche parole è stata pesantemente
messa in dubbio l’intera attività condotta all’interno delle mura
scolastiche. Tale atteggiamento non ha certo favorito un clima benevolo
nei confronti del ministro e della riforma. A mio avviso è stato un
danno peggiore delle misure decise in parlamento.
Torniamo allora ai punti di novità della riforma. Che cosa non la
convince
Fondamentalmente non gradisco la conservazione della rigidità della
distinzione disciplinare. C’è una prima ora, una seconda ora, una
disciplina, un’altra disciplina e via dicendo. Tutto come avveniva
nell’ottocento. Conservare ancora prevalentemente l’impianto
cattedra-banco oggi non consente di cambiare la scuola e la nostra
istruzione andrà ogni anno più indietro.
Qual è l’alternativa a tale metodo didattico?
Faccio qualche esempio: se un professore deve spiegare una reazione
chimica o un meccanismo fisico oggi ricorre al manuale, al gesso e alla
lavagna. L’idea del laboratorio è ancora lontana anni luce oppure viene
vista come l’eccezione, la lezione straordinaria. Invece dovrebbe
divenire la regola quotidiana. Assistenti di laboratorio che spieghino
a gruppi di cinque o sei alunni, e non di 30, come funzionano le leggi
chimiche e fisiche. Con esperimenti empirici. Oppure la questione
legata all’insegnamento della lingua straniera: come si può pretendere
di insegnare l’inglese in una classe composta da una trentina di
adolescenti? Il risultato è un’inevitabile babele. Insomma non si può
concepire l’aula come la sede in cui l’insegnamento della storia e
quello della chimica possano avvenire attraverso le medesime modalità e
gli stessi strumenti.
Queste osservazioni sembrano coinvolgere precipuamente l’aspetto
tecnico della didattica, qual è la sua opinione dal punto di vista
della crescita umana ed educativa degli studenti?
Le due cose vanno di pari passo. L’osservazione infatti solleva una
questione di assoluta importanza, ossia il porre al centro lo studente
che oggi è in prevalenza un destinatario di informazioni. Invece credo
che lo studente debba svolgere un ruolo attivo nella propria
formazione. E ciò è possibile modificando i curricula attraverso corsi
differenziati, secondo cioè la vocazione particolare di ciascuno
studente.
Ovvero lei dice: bene che vengano ridotti gli indirizzi, ma i curricula
vanno aumentati
Precisamente. Occorre certamente una base comune. Ma questa non deve
impedire che nella scuola si realizzi appieno la figura per esempio
dell’assistente di laboratorio, del vero insegnante di musica, di veri
gruppi di teatro. In sostanza occorre inserire una forma di offerta
formativa molto più articolata. La nostra struttura scolastica attuale
non esiste più nei paesi più evoluti. Non esiste l’ora scolastica
schematica, la distribuzione delle materie fissa e rigida. Tutto questo
in realtà non fa che assecondare un mio “pallino”: se non si introduce
nella scuola la curiosità scientifica e la creatività artistica non si
può realizzare l’istruzione di tutti, bambini e ragazzi. La scuola solo
gnoseologica è rivolta a una sparuta minoranza. Chi non rientra nei
parametri schematici educativi viene estromesso. Invece si devono
sollecitare le passioni, le emozioni, la curiosità. Il tempo scuola
deve diventare anche la visita al museo, alla città, alla
rappresentazione teatrale o all’esperimento scientifico.
Da dove suggerisce di partire per realizzare una simile trasformazione?
Sia ben chiaro. Io non voglio mettermi a strillare e a fare il profeta.
La riforma è stata fatta, abbiamo i decreti. Partiamo da qui. Io avrei
agito in altro modo, certo, ma non sono qui a recriminare. Vorrei
piuttosto che si lavorasse seriamente sull’autonomia delle scuole.
L’autonomia, anche curriculare, è la strada da perseguire. Le indagini
statistiche ci dicono che in Italia è realizzata più o meno al 5-6 per
cento delle potenzialità. C’è bisogno di una modifica radicale
dell’autonomia scolastica. Ed è un argomento che riforma dopo riforma,
ministro dopo ministro, è stato sempre rinviato.
Molti da parte della maggioranza hanno lamentato il comportamento
dell’opposizione che ha votato in Parlamento unanimemente contraria
alla riforma. Questo sebbene la maggioranza sia venuta incontro a molte
richieste durante la fase di elaborazione. Che cosa ne pensa?
Io penso che l’opposizione debba fare l’opposizione e che il governo
debba tentare in tutti i modi di coinvolgerla. Se ciò è stato fatto
nessuno ha nulla da rimproverarsi. Detto questo non voglio coinvolgermi
in questioni di sottobanco politico. Quanto accaduto in Parlamento lo
posso giustificare con quanto ho detto prima: l’approccio prettamente
finanziario ha nuociuto moltissimo alla percezione della riforma. In
tal senso posso comprendere che sinistra e opposizione abbiano risposto
risolutamente. Per il resto non provo particolare interesse a difendere
lo stato presente, ma tanto meno quello passato. Mi auguro che si trovi
una convergenza reale sulle questioni che ho sollevato.