Un dato, questo, che il Cad da tempo chiede all’Ufficio scolastico, il quale però non l’ha mai fornito. Per questo a novembre il coordinamento delle associazioni di disabili si era attivato per trovare con le proprie forze quei numeri fondamentali perché nelle scuole sia ancora possibile fare integrazione dopo i tagli disastrosi del ministro Gelmini.
Così, i volontari delle associazioni, carta e penna in mano, hanno scritto a tutti gli istituti della provincia chiedendo questi dati. A qualche mese di distanza il coordinamento ne sta venendo a capo, come spiega la responsabile Fiammetta Colapaoli. Ma ancora mancano i dati di alcuni istituti. Poi si potrà fare un’analisi attenta e puntuale della situazione bolognese, che, tuttavia, pare essere comunque migliore di altre zone.
DANNI SI SOMMANO A DANNI
Questi tagli nuocciono moltissimo agli studenti disabili. Perché, alla forte diminuzione di insegnanti di sostegno, si somma oggi, anche alle scuole superiori, un’ingente riduzione del tempo scuola, appunto. «Gli istituti più gravemente attaccati dalla riforma delle superiori sono i tecnici e i professionali, che a Bologna sono le scuole frequentate al 60% dai ragazzi disabili», riferisce Colapaoli. Vada sé che una significativa riduzione del tempo scuola «non può che influire negativamente sui ragazzi disabili».
I loro tempi di apprendimento, infatti, sono «diversi », perché diverso è «il loro approccio alle cose, che parte dal concreto per arrivare all’astratto», spiega Colapaoli. Concreto che «significa laboratori», per esempio: quelli che la riforma taglierà, riducendo le ore delle materie cosiddette professionalizzanti o d’indirizzo. «In una scuola dove resta solo spazio per la memorizzazione di nozioni e dati i disabili non trovano spazio. Se poi i numeri di alunni disabili per classe sono superiori al dovuto ad un insegnante non rimangono più strumenti per l’integrazione», sottolinea la responsabile del coordinamento.
Che di una cosa è certa: «Mi pare che si stia realizzando il progetto organico del centrodestra di creare una scuola d’élite, i licei, per il resto si intende formare operai, poco qualificati, da inserire nelle fabbriche per contrastare l'immigrazione i lavoratori stranieri».
In quest’ottica si inserisce per Colapaoli anche il contratto di apprendistato: «Consentire di assolvere all'obbligo scolastico con l’apprendistato significa sfruttare i minori e bloccarne l’istruzione».
Se da un lato è evidente che i disabili «non troveranno nessuna azienda che faccia loro un contratto di apprendistato», è altrettanto evidente che «sarà sempre più difficile per una famiglia di operai mandare un figlio all’università».
Togliendo infatti un anno al corso completo di studi, il passaggio al quinto diventa una sorta di «scalata destinata pochi vincenti».
Un impedimento che invece la formula del 3+2 negli istituti professionali aveva superato «garantendo il libero accesso all’università a tutti».
Chiara Affronte