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News: CENSIS: L'80 % DEI GIOVANI SI CHIEDE CHE SENSO ABBIA LA SCUOLA

Comunicati

Censis: 80% dei giovani si chiede
che senso abbia stare a scuola

ASCA, 4.12.2009

(ASCA) - Roma, 4 dic - Circa l'80% dei giovani tra 15 e 18 anni si chiede che senso abbia stare a scuola o frequentare corsi di formazione professionale. Dominano il disincanto e lo scetticismo: il 92,6% dei giovani in uscita dalla scuola secondaria di II grado ritiene che anche per chi ha un titolo di studio elevato il lavoro sia oggi sottopagato, il 91,6% pensa che sia agevolato chi può avvalersi delle conoscenze.

E' quanto si legge nella presentazione del 43° rapporto annuale del Censis sulla sitauzione sociale del Paese 2009.

Anche il 63,9% degli occupati giudica inutili le cose studiate a scuola per il proprio lavoro. La visione pessimistica travalica i confini dell'universo educativo: il 75% dei laureati e l'85% dei non laureati di 16-35 anni pensano che in Italia vi siano scarse possibilità di trovare lavoro grazie alla propria preparazione. Effettivamente i laureati italiani in economia e in ingegneria hanno attese di remunerazione minori rispetto ai loro colleghi europei: nel 2009 il primo stipendio annuo atteso e' inferiore rispettivamente del 20,2% e del 21,4% di quello medio europeo.

E ancora il 19,3% dei giovani italiani di 18-24 anni non e' in possesso di un diploma e non e' più in formazione, contro il 12,7% di Francia e Germania, il 13% del Regno Unito, il 14,8% medio europeo.

 

 

 

 

 

43° Rapporto
sulla situazione sociale del Paese/2009

Processi formativi

dal CENSIS, 4.12.2009

Roma, 4 dicembre 2009 – L’alternanza scuola-lavoro. I dirigenti scolastici delle scuole secondarie di II grado guardano con favore all’alternanza scuola-lavoro. Il 71,2% ritiene che il ricorso all’alternanza scuola-lavoro permetta agli studenti di avere una migliore conoscenza del mondo del lavoro, il 55,9% pensa che consenta alla scuola di offrire un curriculum di studio più adeguato alle esigenze lavorative, il 53,2% ritiene che aumenti le opportunità occupazionali dei diplomati in quanto hanno l’occasione di farsi conoscere dalle aziende. Positiva è anche la ricaduta dell’alternanza scuola-lavoro sull’ambiente e sul vissuto scolastico: il 52,9% dei dirigenti ritiene che l’introduzione dell’alternanza influenzi i livelli motivazionali, contrastando i fenomeni di dispersione, e il 51% che funga da stimolo per una innovazione continua della didattica. Sul versante delle criticità, la più segnalata (55,1%) riguarda le risorse finanziarie, cui si correla la difficoltà ad offrire percorsi di alternanza a tutti gli studenti interessati (53,6%). Il 46,1% dei dirigenti scolastici sottolinea la problematicità di coinvolgere le aziende e gli altri soggetti economici. Non sussistono invece preoccupazioni in merito alla comprensione e applicazione della normativa (solo il 7,4% dei dirigenti), anche in virtù delle esperienze pregresse, che portano ad escludere uno scarso interesse delle famiglie (11,1%). In effetti si evidenzia una crescita negli ultimi tre anni dei soggetti coinvolti in queste attività. Nel 2008-2009 i corsi di professionalizzazione sono stati 8.023 per 140.409 studenti (+10% rispetto al 2006-2007). La crescita più significativa è quella delle imprese coinvolte, che passano da 27.720 a 48.081 (+41,5%). Nel 2008-2009 più di 1.000 istituti hanno attivato percorsi di alternanza scuola-lavoro, coinvolgendo 69.375 studenti (+51,2% rispetto al 2006-2007).

L’Italia e la learning mobility. Il processo di costruzione di uno spazio europeo dell’apprendimento trova nella learning mobility uno dei suoi pilastri. Dal 2001 al 2007 162.759 persone hanno usufruito di borse di studio, formazione e tirocinio all’estero nell’ambito dei programmi europei Socrates e Leonardo da Vinci (integrati dal 2007 nel Programma per l’apprendimento permanente). Nel segmento della formazione iniziale, gioca un ruolo preponderante la mobilità del programma Erasmus per gli studenti universitari, che ha promosso l’outgoing di oltre 15.000 persone all’anno (oscillando tra le 13.236 del 2001 e le 18.364 del 2007), seguito da Leonardo da Vinci, che ha promosso l’uscita dal Paese per tirocini formativi di oltre 4.000 giovani all’anno, raggiungendo la quota massima nel 2006 con 6.090 borsisti.

Gli scenari della competitività dei saperi. Oggi coesistono in Italia università molto competitive nel contesto internazionale e altre che stentano a consolidarsi. La capacità di attrazione degli studenti stranieri migliora: 51.279 iscritti nel 2007-2008 (escluse le università per stranieri di Siena e Perugia) rispetto ai 41.167 del 2005-2006 (+24,6%). Gli atenei con maggiori capacità attrattive sono quelli di Lazio (9.715 studenti), Lombardia (8.898) ed Emilia Romagna (7.064), che assorbono più della metà di tutti gli stranieri iscritti. Più dinamici gli atenei piemontesi (+101,4% tra il 2005-2006 e il 2007-2008), abruzzesi (+109,8%) e calabresi (+88,1%). In controtendenza gli atenei campani (-16,6%), siciliani     (-14,6%) e pugliesi (-6,6%). Si consolida il flusso di studenti provenienti dall’Albania, seguono greci e rumeni. Al quarto posto si posizionano i cinesi, con un aumento rispetto al 2006-2007 del 231,5%. Le facoltà più richieste sono quelle afferenti all’area economica, all’area medica e all’ingegneria, che nel complesso sono frequentate da quasi il 44% degli stranieri.

L’alta formazione come bene rifugio. I giovani italiani, in crescente difficoltà nel mercato del lavoro, sembrano sempre più orientati verso l’unico bene rifugio oggi a loro disposizione: ottenere una formazione qualificata. Si assiste infatti a un aumento delle preiscrizioni negli atenei più qualificati e verso le facoltà considerate più «difficili» come ingegneria e medicina. Rispetto al 2007 si registrano incrementi delle preiscrizioni per l’accesso ai test di ammissione ai due politecnici più prestigiosi d’Italia (Milano e Torino) rispettivamente del 19% e del 27%. In entrambi i casi, la maggioranza delle richieste riguarda il corso di ingegneria, che ha sempre offerto in Italia le migliori chance occupazionali. Il rendimento degli investimenti nell’educazione universitaria (comparando i costi dell’istruzione e l’assenza di guadagno durante il corso di studi con le prospettive salariali) è quantificabile, per un italiano maschio, in 322 mila dollari lordi in più durante il percorso lavorativo. Un incremento secondo solamente a quello registrato negli Stati Uniti, con la differenza che nel nostro Paese la laurea, in termini di resa salariale, è un affare riservato agli uomini. I vantaggi per le donne sono più limitati: il beneficio si ferma a 136 mila dollari, facendo registrare la maggiore disparità di genere tra i Paesi industrializzati. La disparità di rendimento è ancora più evidente se si considera la stima al netto di tasse, contributi sociali ed effetti della disoccupazione: se un laureato può sperare di arrivare a guadagnare nell’arco della vita lavorativa 173.889 dollari in più di un diplomato, per una donna laureata il ritorno economico si ferma a 25.806 dollari, con una differenza quindi di oltre 148 mila dollari.

Verso una società basata sulla conoscenza: il caso Toscana. Il 2010 è ormai prossimo, ma non i risultati relativi agli obiettivi fissati a Lisbona per far diventare quella europea l’economia della conoscenza più competitiva e dinamica del mondo. Fra gli adulti occupati si osserva una maggiore propensione delle donne a partecipare a iniziative formative (il 7,9% contro il 5,5% degli uomini). In relazione all’apprendimento permanente da parte degli adulti, se l’obiettivo di Lisbona per il 2010 è fissato al 12,5%, l’Italia è ancora ferma al 6,3%. E nel caso dell’abbandono prematuro degli studi, la componente maschile sfiora il 23% dei giovani con età compresa fra 18 e 24 anni. Fra le regioni italiane la Toscana ha voluto intensificare, nel ciclo di programmazione del Fondo sociale europeo appena concluso e in quello avviato, i propri sforzi sulle componenti femminili e giovanili, ottenendo dati sulla partecipazione all’apprendimento permanente (6,8%) e sull’abbandono prematuro degli studi (16,6%) migliori rispetto al resto d’Italia e anche rispetto al Centro-Nord. La qualità dell’offerta universitaria e la forte attrattività degli atenei toscani confermano l'efficacia degli impegni sull'alta formazione, con il raddoppio (dall’8,8 al 16,4 per mille) delle persone laureate nelle discipline scientifiche. La quota di donne laureate in queste facoltà è pari in Toscana a 13,2 per mille, contro il 9,1 per mille a livello nazionale e il 12,6 per mille riferito alle regioni del Centro-Nord nel complesso.









Postato il Lunedì, 14 dicembre 2009 ore 00:00:00 CET di Silvana La Porta
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