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Voce alla Scuola: PROF PRECARI: LA SOLUZIONE FINALE

Opinioni
Prof precari: la soluzione finale

ORE 7. La sveglia del cellulare annuncia implacabile che il C DAY è arrivato. Si tratta della più temuta delle calamità sociali, capace di spegnere un¹estate, di spappolare il cervello, di farti uscire fuori dalla grazia divina. Si tratta del giorno delle convocazioni.
Non a caso la suoneria prescelta è The End. Non a caso la sveglia trova il precario con gli occhi spalancati e la mente avvolta nel mantello di piombo dei pensieri. Nulla è casuale. E¹ il frutto di una strategia abile e accorta: la soluzione finale del problema dei prof precari.
Si comincia a dissodare il campo con un¹imponente campagna di disinformazione di massa, poi si semina odio e disprezzo, quindi si annaffia il tutto con pregiudizi e cifre totalmente infondate e risibili. Il miglior fertilizzante è costituito da un martellamento costante a reti e ad edicole unificate, in ossequio al principio ³ripetizione = dimostrazione².
A questo punto, si possono raccogliere i frutti. Se il prof precario è sfaticato, ignorante, meridionale, imboscato e accidioso, allora è cosa buona e giusta tagliare le cattedre, tagliare le ore, tagliare i fondi per mettere in sicurezza le scuole.
ORE 7,30. Effettuate con precisione e rapidità degne di una campagna napoleonica le operazioni di abluzione, colazione e vestizione, ultimo sguardo allo specchio.
Occhiaie più profonde del Grand Canyon, i pochi capelli superstiti in ordine e abbarbicati con umile tenacia ai loro posti, ogni ruga del suo volto è una battaglia, una vittoria o una sconfitta. Prima laurea, seconda laurea, corsi abilitanti, concorsi a cattedra, scuole di specializzazione, master, precariato, pendolarismo, cattedre suddivise in tre scuole, pellegrinaggi in altre province e in altre regioni: non c¹è vitaccia che lo stanchi, non c¹è fatica che lo spiazzi. Il suo carburante è la motivazione.
ORE 7,35. Si sale in macchina, vecchia e fedele compagna capace, insospettabilmente, di affrontare neve, ghiaccio, nebbia, fango, autovelox taroccati, buche e crepacci, con l¹orgoglio e l¹energia di un¹adolescente. Certo, i 215 mila km in 10 anni suggeriscono qualcosa, ma non è ancora giunta l¹ora. Anzi, non è ancora giunta lira.
L¹istituto chiamato ad ospitare questo rito pubblico di degradazione collettiva si trova in uno dei quartieri più ameni della città. Attraversando strade deserte e scassate che solcano paesaggi da film dell¹orrore, si moltiplicano gli avvistamenti di auto di altri precari, facilmente individuabili dall¹abbondanza di libri, occhiali da secchione e dalle facce di chi da tempo ha smesso di amarsi. Confortato dalla segnaletica, il precario si accoda alla processione e parcheggia.
ORE 8,15. La calca è impressionante. L¹età media è di 40/45 anni (per la serie ³2001 Odissea nell¹ospizio²), di cui 12/15 di insegnamento (altro che tirocinio). Tutti incontrano tutti, mollando e subendo baci, abbracci e battute letali. Non mancano bambini, passeggini, biberon e nascituri, né mariti, mogli, nonne e nonni precettati, né, tantomeno, opere di alta ingegneria tricologica e sobri abiti arancione ANAS pastello.
ORE 8,30. Un solenne triplice fischio arbitrale richiama l¹attenzione di tutti. Un gruppetto di sindacalisti e precari preistorici distribuisce volantini e scandisce quel che tutti sanno ma non vogliono accettare. Quest¹anno ci saranno migliaia di incarichi annuali in meno. Addio giocattolini, in fondo un computer contemporaneo non è poi così urgente, rimandati ancora una volta fiori d¹arancio e voli di cicogne.
Il precario non ha mai sfiorato il nobel, però ha il vago sospetto che tutto questo non sia esattamente in linea con il Family Day, non contribuisca a generare fiducia e ottimismo, né a sostenere i consumi.
Approfittando dell¹attimo di silente sgomento, il Preside informa i prigionieri delle graduatorie che i lavori inizieranno con un¹ora e mezza di ritardo. Naturalmente è per il nostro bene, in quanto si sta lavorando alacremente per stanare nuove cattedre. L¹esercito dei precari accetta tutto con collaudato e disinvolto stoicismo, pronto a credere a qualsiasi voce rassicurante e soprattutto a non cedere alla disperata verità.
ORE 8,45. Dato che il tutto si svolge in una torrida mattina di fine agosto, i precari vengono ammassati in locali non climatizzati e di dimensioni ridicole. In compenso, chi si rifugia in cortile può godere della calorosa compagnia del penetrante sole catanese.
Le strategie di sopravvivenza appaiono molteplici. C¹è chi si allontana per meditare in pace sulle risposte che mancano all¹appello, c¹è la cornologa che ha sempre una parola buona per tutti, c¹è chi si accascia sui gradini consumati dai passi degli alunni, c¹è chi, soggiogato dalla magia dei ricordi, pensa al gruppo creato dagli alunni su Facebook affinché il precario l¹anno successivo rimanga nella stessa scuola o al video, grondante felicità, della gita scolastica di fine anno.
ORE 10,30. Altro che un¹ora e trenta: ne sono passate due, ma tutto tace. Gli unici a farsi sentire sono fragorosi gorgoglii gastrici, capaci di mettere a dura prova le scorte del bar. Divorati da un¹ansia montante, i precari si raggruppano per aree disciplinari, attendendo le sentenze che da lì a poco decideranno del loro futuro.
ORE 11,30. Arrivano i funzionari dell¹Ufficio Scolastico Provinciale. Il clima è elettrico: sembra lo sbarco in Normandia. Volano botta e risposta come schiaffoni. Solo l¹arrivo dei carabinieri rende possibile l¹inizio di questa gara per cuori forti.
ORE 12. Pare di stare dentro la metropolitana di Tokio nell¹ora di punta (a parte la puntualità). Un omino senza microfono sussurra dei numeri (scegliere qualcuno più svettante no?). Chi appartiene alle classi di concorso chiamate può entrare. Così, i precari, esaurendo il bonus di bestemmie per tutto l¹anno, si aprono la strada a colpi di machete.
ORE 14. Passano le ore, scorrono le chiamate e gli incubi più raccapriccianti si avverano inesorabilmente. Per alcune discipline non vi è nemmeno una cattedra, per altre una soltanto, per tutte numeri lillipuziani.
E¹ come se, fino a questo momento, le cose fossero rimaste dietro ad un vetro appannato e ora qualcuno avesse pulito per bene. E¹ come se, improvvisamente, la FIAT chiudesse tutti i suoi stabilimenti. E¹ il più grande licenziamento di massa nella storia della Repubblica italiana.
ORE 15. Ci siamo: tocca a noi. Il precario si sistema accanto agli amici con i quali ha condiviso anni ed anni di stress, umiliazioni, viaggi, spese, sogni e speranze. Li guardo: molti hanno gli occhi fissi nel vuoto, pensando a come tirare avanti da domani in poi, altri pregano, la maggior parte sfoggia l¹aspetto di Napoleone la mattina dopo Waterloo.
Mentre nel corridoio un¹esigua schiera di masturbatori telefonici mostra di non tenere troppo alla privacy, l¹unica cattedra viene attribuita e cala il sipario.
Il precario ha perso il lavoro, l¹indipendenza economica, la propria identità, ma non la confidenza con l¹insolito passatempo umano che è l¹abitudine di pensare e di proporre.
I contratti di disponibilità sono un depistaggio, perchè non c'è un centesimo in più rispetto alla disoccupazione ordinaria e perchè riguardano appena il 10% delle tante storie scomode e rimosse di precariato.
Attiviamo un ammortizzatore sociale a costo zero. Riconosciamo a chi ha insegnato per 360 giorni nella scuola pubblica (o ha avuto almeno un incarico dall¹USP negli ultimi 2 o 3 anni) la legittimità del punteggio, per non essere scavalcati in graduatoria.


Guglielmo La Cognata






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Postato il Lunedì, 07 settembre 2009 ore 00:00:00 CEST di Silvana La Porta
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