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Umanistiche: LA CHIESA DEL NO-INDAGINE SUGLI ITALIANI E LA LIBERTA' DI COSCIENZA

Rassegna stampa

Marco Politi

LA CHIESA DEL NO. Indagine sugli Italiani e la libertà di coscienza

(Mondadori, Milano 2009)

 

Estratto: Le tre corone di Ratzinger

 

Come si gioca il pessimismo profondo del cardinale Ratzinger, diventato Benedetto XVI, nel rapporto con la situazione italiana? Non c’erano differenze di linea con Wojtyla su aborto, matrimonio, biogenetica, omosessualità. Ma con il nuovo pontificato si è rafforzata ulteriormente la posizione dottrinaria del papato, tracimando nell’impulso a imporre ai politici cattolici una disciplina di voto nel nome dell’ubbidienza al magistero ecclesiastico. Questa rigidità dogmatica – anche se i dogmi non c’entrano – rovescia due secoli di storia durante i quali i cattolici impegnati in politica si sono conquistati lentamente il riconoscimento della loro autonomia. L’orientamento di Ratzinger svuota di sostanza la libertà di coscienza, di mediazione e di negoziato dei parlamentari cattolici.

Già nel gennaio 2003, da prefetto della congregazione per la Dottrina della fede, Ratzinger aveva pubblicato un documento per indicare ai politici cattolici come comportarsi “quando l’azione politica viene a confrontarsi con principi morali, che non ammettono deroghe, eccezioni o compromesso alcuno”. I temi sono quelli di sempre.

Aborto, eutanasia, embrione, famiglia monogamica, scuola cattolica. Demoni da esorcizzare sono “indifferentismo, relativismo religioso, libertinismo, individualismo”. Il comandamento è inequivocabile. Guai a quei cattolici che pensano di basarsi sulla loro autonomia nell’agire politico.

“Sarebbe un errore” scrive Ratzinger “confondere la giusta autonomia, che i cattolici in politica debbono assumere, con la rivendicazione di un principio che prescinde dall’insegnamento morale e sociale della Chiesa”.

L’obiettivo di ogni credente, sottolinea il cardinale, deve essere quello di prospettare e cercare di raggiungere la verità. Perciò sul piano legislativo ci sono questioni che non tollerano compromessi, quando (a giudizio insindacabile dell’autorità ecclesiastica) sono in gioco “esigenze etiche fondamentali e irrinunciabili”.

È il preannuncio della strategia che durante il pontificato ratzingeriano verrà battezzata la dottrina dei “principi non negoziabili”. In pratica, intransigenza su tutta la linea. Niente leggi su aborto o divorzio. Leggi sull’eutanasia. Tutela legislativa dell’embrione umano. Salvaguardia della famiglia “fondata sul matrimonio monogamico tra persone di sesso diverso”.

E quindi no al riconoscimento legale delle coppie di fatto e meno che mai delle convivenze gay. All’elenco si aggiunge la richiesta della “libertà di educazione” dei genitori, che in parole semplici significa finanziamenti per le scuole cattoliche. La lista degli imperativi è accompagnata da un omaggio alla libertà d’opinione dei cattolici, subito condizionata da un monito preciso. “Nessun fedele può appellarsi al principio del pluralismo e dell’autonomia dei laici in politica, favorendo soluzioni che compromettano o che attenuino la salvaguardia delle esigenze etiche fondamentali”.

Così impostata, l’attuazione del documento implica che sui temi cosiddetti etici i parlamentari cattolici diventino cinghia di trasmissione del magistero ecclesiastico.

Ma c’è qualcosa di più. Da pontefice Ratzinger ribadisce di non rivolgersi soltanto ai fedeli della sua Chiesa, ma si pone come interprete della legge naturale comune a tutti gli uomini e contemporaneamente diffida lo Stato dall’invadere il terreno della legge di natura, di cui il papato si erge a protettore.

Ricevendo nel marzo del 2006 i parlamentari aderenti al Partito popolare europeo, papa Ratzinger li richiama alla difesa attiva di “principi che non sono negoziabili” – l’elenco è il solito – e questi principi, incalza, “sono iscritti nella natura umana stessa e quindi sono comuni a tutta l’umanità”. In ultima analisi la produzione legislativa dei parlamenti è subordinata alla legge naturale. “Nessuna legge fatta dagli uomini può sovvertire la norma scritta dal Creatore” afferma Benedetto XVI.

Ogni ordinamento giuridico, sia a livello interno che internazionale, “trae ultimamente la sua legittimità dal radicamento nella legge naturale”. Anzi, la legge naturale è in definitiva il solo valido baluardo contro l’arbitrio del potere o gli inganni della manipolazione ideologica. Sul piano teorico papa Ratzinger ripete spesso che la Chiesa “non è e non intende essere un agente politico” e che anzi l’agire in ambito politico spetta ai “fedeli laici, che operano come cittadini sotto propria responsabilità”.

Però cosa rimane di questa autonomia quando l’autorità ecclesiastica determina essa stessa i principi supremi di quella legge naturale che dovrebbero valere per tutta l’umanità, compresi credenti e non credenti, seguaci delle diverse religioni e correnti filosofiche del mondo intero?

Anche la ragione finisce per essere sottomessa al potere spirituale. “La fede cristiana” esclama Ratzinger “purifica la ragione e l’aiuta a essere meglio se stessa”.

Persino la laicità viene misurata con il metro della volontà papale. Laicità “sana” è riconoscere il ruolo pubblico della religione, laicità “positiva”, scandisce il pontefice, è quella di uno Stato che riconosce spazio nella sua legislazione a una fondamentale dimensione dell’essere umano: l’apertura alla Trascendenza.

Emerge da questi interventi un papato che assume ogni corona, ogni scettro. Lo scettro della fede, lo scettro della ragione, lo scettro della natura.

Sul piano pratico della politica – benché Benedetto XVI da pensatore lo negherebbe – lo sbocco finale è un approccio teocratico, in cui l’autorità religiosa vaglia la legittimità dell’operato parlamentare e ne autorizza o meno il procedere.

Il culmine di questa visione si ha in un messaggio papale indirizzato nel 2005 all’allora presidente del Senato Marcello Pera, il cui movimento Magna carta ha promosso a Norcia un convegno su libertà e laicità. Benedetto XVI dichiara categoricamente: “I diritti fondamentali non vengono creati dal legislatore, ma sono inscritti nella natura stessa della persona umana, e sono pertanto rinviabili ultimamente al Creatore”.

È un ritorno alla visione del Sinai – Dio concede le Tavole della legge – in dissonanza stridente con il ruolo sovrano dei parlamenti nella cultura democratica europea e occidentale.

Sui cosiddetti temi etici le gerarchie ecclesiastiche oppongono una resistenza accanita, temendo che l’Italia si dia nuove regole secondo i moduli invalsi nei paesi dell’Europa occidentale, incuranti del fatto che nella società attuale, invece, uomini e donne vogliono organizzare la propria esistenza in modo diverso. È questo il nodo del contendere.

L’accusa, che retrospettivamente il direttore di “Avvenire” Dino Boffo rivolgerà a Prodi e all’ultimo governo dell’Ulivo, è di avere tenuto per un biennio la Chiesa “con il fiato sospeso”, lavorando per nuovi “format sociali”.

La colpa, in altre parole, è di aver provato a ripetere la stagione che portò negli anni settanta e ottanta all’approvazione delle leggi sul divorzio e l’aborto.

Si spiega soltanto così il sollievo di Benedetto XVI all’avvento del quarto governo Berlusconi, quando il pontefice – benché la compagine governativa fosse appena formata – sostenne pubblicamente di individuare “con particolare gioia segnali di un clima nuovo, più fiducioso e più costruttivo”.

Ad uno sguardo pacato l’interventismo della gerarchia ecclesiastica nelle vicende parlamentari italiane finisce per immiserire la portata della grande questione che Benedetto XVI da teologo e pensatore pone alla comunità cristiana, e non solo a essa, alle soglie del terzo millennio.

Qual è il posto di Dio nella società occidentale contemporanea? Perché nonostante il revival religioso degli ultimi due decenni il processo di secolarizzazione è irreversibile. L’eclissi del sacro non è annullabile.

Gli uomini e le donne – anche i credenti – dell’Occidente contemporaneo non hanno più l’idea di sacro dei loro antenati e soprattutto non scandiscono più le loro giornate e l’intera loro esistenza secondo i moduli di un calendario divino. Dio, dunque, non è morto, ma – per chi crede – va riportato in ogni generazione attraverso nuove forme di testimonianza e in modi che non possono essere ripresi automaticamente dal passato.

Persone che ben conoscono l’animo di Benedetto XVI sostengono che il suo pontificato ruoti fondamentalmente intorno a un concetto: “Tutelare l’integrità della fede e mostrare che il cristianesimo è gioia”.

Portare avanti questa missione è un compito di gran respiro. Ma non ammette scorciatoie. Ha detto il cardinale Ratzinger nel suo dialogo con il filosofo tedesco Jürgen Habermas, tenutosi a Monaco di Baviera nel 2004, che la società moderna dovrebbe rovesciare il detto del filosofo olandese seicentesco Grozio, secondo cui bisognava agire etsi Deus non daretur. Come se Dio non ci fosse.

Questo poteva valere, sostiene Ratzinger, per i tempi in cui gli europei vivevano, al di là delle loro convinzioni in materia di fede, secondo un patrimonio di idee alimentato comunque dalla cultura cristiana. Nell’odierna disgregazione dei valori, afferma Benedetto XVI, il traguardo dovrebbe essere di vivere veluti Deus daretur. Agire come se Dio ci fosse.

La massima ha il fascino di un’acuta provocazione filosofica e tuttavia, se applicata alla società pluralista europea, rischia di condurre fatalmente in un vicolo cieco.

Quale sarebbe la divinità a cui fare riferimento? Il Dio cristiano nell’accezione protestante o cattolica, ortodossa o neoevangelica? ebraico? dell’islam? Il non-dio del buddhismo? E lo stoico o l’agnostico liberale, in che modo potrebbero essere costretti a misurare i valori fondamentali sul metro di un Trascendente in cui non riescono a credere? Non c’è altro destino in Occidente per il cristianesimo che considerarsi “parte” della società. Attiva, dinamica, appassionata – se si vuole – ma definitivamente parte.

È sorprendente vedere quanto la linea di Benedetto XVI, il primo papa tedesco dopo dieci secoli, attinga alle riflessioni del grande poeta romantico suo connazionale Novalis. Dopo i rivolgimenti della Rivoluzione francese e delle guerre napoleoniche Novalis riteneva fondamentale ritornare al cristianesimo e afferrarsi alla sponda sicura della Chiesa cattolica.

Nell’epoca post-rivoluzionaria il poeta vedeva il diffondersi di un “odio antireligioso”. I suoi contemporanei gli apparivano instancabilmente occupati a “cancellare ogni traccia di sacro”, a rimpiazzare la fede e l’amore con il sapere e l’avere, a invischiarsi nell’egoismo togliendo spazio al “raccoglimento interiore”.

“Dove non ci sono dei, imperano gli spettri” esclamava Novalis. Così Ratzinger, dopo il terremoto della secolarizzazione e il trauma dei totalitarismi del secolo XX, vede come unica via d’uscita per l’Europa e l’Occidente un ritorno alle sorgenti cristiane.

Al fondo, ma il pontefice non può dirlo, la sua proposta suona, “vivere come se ci fosse il Dio cattolico”, ascoltando la legge spiegata dalla Chiesa di Roma, sicura interprete di Dio, della Ragione e della Natura. Esattamente questo da due secoli in Europa non è più possibile.

Il regime di “cristianità” è definitivamente tramontato. il tentativo di resuscitare la dottrina cattolica come spina dorsale del corpo sociale non può che portare a continue frizioni con la laicità dello Stato come sta avvenendo in Italia con crescente intensità da oltre dieci anni a questa parte.

Però non è soltanto con le istituzioni che la Chiesa entra in collisione. È con la società che si apre un fossato. Rispetto all’invadenza politica ecclesiastica i cattolici del quotidiano, nella loro soggettività, si collocano altrove e ribadiscono testardamente – quando interrogati – di voler decidere con il proprio cuore e la propria mente.

Tra il 1999 e il 2000 in vari paesi europei, fra cui l’Italia, venne svolta un’indagine sul pluralismo religioso e culturale. Dai dati italiani risulta un’indicazione precisa. Domanda chiave: “Nella stesura di leggi su questioni morali come aborto ed eutanasia bisognerebbe consultare i rappresentanti delle principali religioni?”. Per niente d’accordo risponde il 46 per cento degli interrogati, molto d’accordo è solo il 10.

Una maggioranza schiacciante del 62 per cento ritiene che “la religione non deve avere alcuna influenza sulla politica”, mentre solo il 4,5 afferma che “deve avere una grande influenza sulla politica”.

Attraverso gli anni, con varie espressioni, questo trend di fondo che fa leva sull’autonomia individuale rimane immutato. Un’indagine Ipsos del 2007 fra i cattolici praticanti, pur segnalando uno slittamento consistente delle intenzioni di voto dal centrosinistra al centrodestra, rendeva evidente che i temi eticamente sensibili non c’entravano. Infatti, soltanto una minoranza di praticanti dichiarava di considerare sempre vincolanti le indicazioni della Chiesa: il 25 per cento. Invece il 74 per cento sosteneva che le posizioni della Chiesa vanno ascoltate, ma poi “prevale la propria coscienza”.

Dopo le elezioni del 2008 il quadro si ripropone negli stessi termini. Un’inchiesta dell’istituto Swg rileva che lo spostamento a destra dei cattolici praticanti (di ben ventun punti) è dovuto a questioni specificamente socio-politiche. Lo testimoniano le risposte a domande cruciali. Due specialmente. “Solo l’avvento di un leader forte può risollevare il paese”: risponde di sì il 71 per cento dei cattolici praticanti.

Altro quesito. “Magari a prezzo di una perdita di democrazia sarebbe meglio avere un sistema che consenta decisioni più rapide”: risponde affermativamente il 61 per cento dei cattolici praticanti. Altissimo è il tasso di fiducia nelle forze dell’ordine: 79 per cento.

L’omologazione dei cattolici praticanti alle richieste, alle ansie, alle paure di gran parte del paese è fotografata dai trend che riguardano l’atteggiamento nei confronti degli immigrati, considerati una risorsa o un problema di ordine pubblico.

Tra il 1997 e il 2004 l’atteggiamento positivo è crescente, con punte del 57 per cento nel 2003 e del 61 nell’anno 2004. Invece nel 2007 la fiducia dei cattolici praticanti nell’immigrazione cade al 43 per cento.

Ma sul punto di fondo – la libertà dei legislatori – la posizione resta incrollabile. L’80 per cento dei praticanti definisce tuttora valido l’insegnamento della Chiesa e contemporaneamente rivendica la non interferenza ecclesiastica nella produ­zione delle leggi.

L’Swg ha posto la questione: “La Chiesa non dovrebbe in alcun modo cercare di condizionare le leggi dello Stato”. Risponde con l’assenso il 68 per cento dei cattolici praticanti e l’82 per cento di coloro che frequentano saltuariamente la messa.

La voce di popolo è questa.

 

Marco Politi. Firma di “Repubblica”, lavora come corrispondente vaticano e editorialista. Autore di numerose inchieste, dal 1987 al 1993 è stato corrispondente a Mosca. Collabora con la Cnn, la Bbc e altre importanti emittenti televisive internazionali.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 









Postato il Venerdì, 28 agosto 2009 ore 00:00:00 CEST di Salvina Torrisi
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