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Umanistiche: COSA SIGNIFICA COMUNICARE?

Rassegna stampa

Cosa significa comunicare? Dalla Scuola di Palo Alto all'antipsichiatria

A partire dagli anni Cinquanta del '900 Bateson individua la genesi della schizofrenia in un disturbo della comunicazione tra l'individuo e l'ambiente relazionale che lo circonda. Questo approccio allo studio ecologico della mente lascerà una traccia indelebile nei successivi sviluppi della psicopatologia, della psicoterapia, della pedagogia.

All'interno della Scuola californiana di Palo Alto (il Mental Research Institute di cui Bateson è stato l'ispiratore) gli studi condotti da Watzlawick evidenzieranno i principi fondamentali dell'azione comunicativa e, quindi, della quotidiana vita di relazione. Contemporaneamente in Europa si afferma una critica radicale alla psichiatria tradizionale (Laing e Cooper in Inghilterra, Basaglia in Italia), che mette in risalto non solo il rapporto conflittuale tra individuo e ambiente, ma investe anche la natura stessa delle istituzioni, inserendosi in quel processo di 'smascheramento' già avviato da Marx, Nietzsche, Freud, e che culminerà nella lettura 'biopolitica' di Foucault.

 

Mente e natura: quali indicazioni per la didattica si possono trarre da Bateson?

di Rosalba Conserva*

 

Bateson si rammaricava del fatto che tanti leggevano le sue opere per frammenti ricavandone strategie ‘applicative’. L’idea che una teoria potesse essere ‘applicata’ a organismi viventi era per lui aberrante: le teorie, diceva, servono per pensare. La domanda “Quali indicazioni utili per la didattica posso trarre da Bateson?” andrebbe perciò riformulata così: “Quale vantaggio posso trarre da Bateson per ripensare il mio lavoro in chiave sistemica?”. La predisposizione che meglio ripagherà un insegnante della fatica di leggere i suoi scritti (i libri di Bateson richiedono molto studio) sarà, infatti, quella di lasciarsi guidare dal suo stile di pensiero e di scrittura: occasione quanto mai preziosa per riconsiderare l’insegnamento in una prospettiva più vasta: “la struttura che connette” gli organismi viventi.

Scartando moltissime cose e confidando sul fatto che quel poco che ho salvato susciti interesse per la lettura diretta dei suoi libri, mi limiterò a trarre da Bateson, e a rielaborarli in chiave pedagogica, alcuni spunti di riflessione, che avranno come filo conduttore la relazione.

 

I processi viventi non sono lineari

Immersi quotidianamente nel mondo dell’interazione, dell’apprendimento e del cambiamento, insegnanti e allievi sono parti di un’unica ‘storia’: una storia fondata sulla coerenza tra le parti e che evolve nel tempo secondo una logica di causa-effetto non diretta né lineare. La causalità diretta e lineare (a un evento A segue l’evento B, e A diventa causa di B) potrà funzionare bene nel mondo atemporale studiato dalla fisica classica, non per il mondo delle ‘storie’, dove le catene causali sono circolari, ricorsive.

Frazionando i ‘saperi’ in discipline distinte, la nostra tradizione scientifica ci ha permesso di elaborare e affinare un linguaggio in grado di descrivere, spiegare, dimostrare teoremi, classificare, quantificare… Quel linguaggio, specializzatosi nel parlare di ‘cose’ e non di relazioni, ci ha fornito un modello esplicativo che, al di là della nostra consapevolezza, utilizziamo come fosse universale. E pur avendo acquisito, almeno concettualmente, che i fenomeni naturali sono connessi tra loro, siamo vincolati a una lingua (alfabetica, lineare) che non ci aiuta a discutere di relazioni. Separando il soggetto dal predicato (L'insegnante/ istruisce/ l'allievo, Il cane/ insegue/ la lepre) ed entrambi dall'oggetto, la nostra lingua sottolinea i termini della relazione (non la relazione), e crea legami solo da una parte, non tra le tante parti di una relazione. Nel dire che il soggetto fa l'azione e che l'azione fatta dal soggetto transita sull'oggetto rendiamo - e potremmo pensarlo come - transitivo un processo che è invece ricorsivo: l'allievo in qualche modo istruisce anch'egli l'insegnante, la lepre con la sua corsa determina in un certo senso quella del cane.

Consideriamo questo caso: un boscaiolo taglia un albero con l'accetta. Egli produce una prima tacca sul legno; a sua volta il tronco gli rimanda un messaggio che influirà sulla vista, sulla tensione del braccio, sulla direzione del colpo successivo... Il sistema albero-occhi-cervello-muscoli-ascia-albero è un 'sistema mentale' nel quale non c'è un soggetto che compie un'azione (cfr.G. Bateson, Verso un’ecologia della mente, Adelphi, 1976, pp. 349-350. D'ora in poi: VEM).

Alla teoria dei processi mentali Bateson dedica lunghi capitoli di Mente e natura. Qui mi limito a suggerire che il criterio euristico di mente (“una ‘danza’ di parti interagenti”) ci permette di superare almeno concettualmente la dicotomia soggetto/oggetto e di evitare, di conseguenza, le spiegazioni semplificate: quelle che collocano una proprietà che è della relazione in uno dei termini della relazione.

“Perché l'oppio fa dormire?”, chiedono i dottori che esaminano il neo dottore, nel Malato immaginario di Molière, “e quello risponde trionfante: Perché, sapienti dottori, esso contiene un principio dormitivo.” (G. Bateson, Mente e natura, Adelphi, 1984, p. 118. D'ora in poi: MEN).

Perché l'oppio (una qualsiasi sostanza) faccia dormire (produca un qualche effetto) deve esistere una predisposizione in chi lo assume: l'oppio non contiene alcun 'principio dormitivo', e analogamente la ‘demotivazione’ non è ‘dentro’ lo studente: è piuttosto il nome del 'processo mentale' (del contesto) che comprende insegnante e allievo.

 

Descrizione e spiegazione

A scuola, quando un argomento risulta ‘oscuro’, l’insegnante si adopera a spiegarlo, a stabilire cioè legami logici (sintattici) tra parti o frammenti di descrizioni (una qualsiasi descrizione, da sola, non spiega nulla). Alla spiegazione tradizionale Bateson preferisce il procedere per incrementi di informazione mettendo una accanto all’altra differenti descrizioni.

Nel saggio “Versioni molteplici del mondo” (MEN, pp. 95-122), con il ricorso a una varietà di esempi, Bateson vuole dimostrare che “due descrizioni sono meglio di una”: la doppia, molteplice descrizione consente la 'visione profonda'. Bateson risale al fondamento biologico della doppia descrizione: noi percepiamo visivamente la realtà attraverso due occhi, e così costruiamo la profondità. Vedere in profondità, in virtù di quel primo apprendimento sepolto nella 'filosofia inconsapevole', ha comportato, per estensione, l'abilità degli esseri umani a osservare e a descrivere qualsiasi campo dell'esperienza da una doppia angolazione. Nel descrivere in due modi - per esempio: gli aspetti quantitativi di un fenomeno e quelli relativi alla qualità; la dimostrazione algebrica e geometrica di uno stesso teorema; la valutazione sommativa e quella formativa - noi estendiamo ai vari campi della conoscenza un modo di descrivere proprio della natura e della natura della nostra percezione.

 

L’apprendimento meccanico e la cura del contesto

Osserva Bateson che i pedagogisti “hanno opinioni molto decise sul valore (positivo o negativo) dell'esercizio nell'apprendimento meccanico. Quelli ‘progressisti’ insistono piuttosto sull'esercizio della ‘comprensione’, mentre i più conservatori insistono sull'esercizio meccanico della memoria” (VEM, p. 322).

L'affrontare un problema per tentativi ed errori richiede flessibilità: richiamare alla memoria, cercare, selezionare conoscenze e competenze già acquisite, correggere il percorso passo dopo passo... Però, nel tempo, è conveniente (è più economico) convertire la flessibilità in rigidità; è conveniente che certe nozioni ‘di base’ passino nella memoria stabile e inconsapevole. Se, per esempio, uno studente avrà acquisito l’uso automatico (inconsapevole) delle regole per calcolare il volume di un poligono, dell’ortografia, della struttura sintattica della frase formale e così via, egli potrà utilizzare la flessibilità per altri apprendimenti.

L’apprendimento accomuna gli umani, in quanto specie, e allo stesso tempo li rende unici come individui. Questo apparente paradosso – tutti uguali, tutti diversi – è a fondamento della scuola: noi insegniamo a tutti le stesse cose e sappiamo però che ciascun allievo impara a modo suo. Quasi tutti, inoltre, fanno resistenza ad accettare l’idea che imparare vuol dire studiare: l’insegnante glielo ricorda di continuo, qualche volta con successo, qualche volta no. Certe volte l’insegnante vorrebbe agire direttamente sul ‘carattere’ del suo allievo: che cambi del tutto, che sia diverso da come è!

È un terreno, questo, dove è conveniente muoversi con cautela. Come suggerisce Bateson, è preferibile allentare il controllo sull’altro e predisporre il contesto che favorisca il cambiamento: “Sembra che i grandi insegnanti e terapeuti evitino ogni tentativo diretto di influire sulle azioni degli altri e cerchino invece di instaurare le situazioni e i contesti in cui certi cambiamenti - di solito specificati in modo imperfetto - possano avvenire” (G. Bateson, Una sacra unità, Adelphi, 1998, p. 386).

Senza mai rinunciare al proprio ruolo e alle responsabilità che ne derivano, un insegnante dovrà agire tenendo conto che in ogni processo mentale, interattivo (e gerarchico) vincoli e libertà, stabilità e cambiamento, ‘rigore’ e ‘immaginazione’ sono non in alternativa ma componenti complementari. E la cura del contesto, oltre ad agevolare il cambiamento, potrà liberare il pensiero ‘creativo’, che, essendo imprevedibile e casuale (cfr. “I grandi processi stocastici”, in MEN) non può essere ‘programmato’. In un programma rientrano i contenuti di studio veri e propri, ma creatività e immaginazione devono restare non specificati o specificati “in modo imperfetto”.

 

*Ha insegnato Lettere nelle scuole superiori di Roma. Il suo interesse per Bateson risale al 1990, anno in cui insieme ad altri ha fondato il Circolo Bateson. Autrice di La stupidità non è necessaria. Gregory Bateson, la natura e l’educazione (Firenze, 1996) e, con G. Bagni, Insegnare a chi non vuole imparare. Lettere dalla scuola, sulla scuola e su Bateson (Torino, 2005).

 

 

 

 









Postato il Giovedì, 30 luglio 2009 ore 00:05:00 CEST di Salvina Torrisi
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