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Diversamente abili: BREVE STORIA DELL'INTEGRAZIONE SCOLASTICA DEI DISABILI

Redazione
                                                         PUBBLICATO: HR- HANDICAP RISPOSTE
                              Mensile di attualità, cultura e informazione sulle tematiche dell’ handicap
                                                 Anno XXI  n° 198 Maggio- Giugno 2006






L’INTEGRAZIONE… IL LUNGO CAMMINO

( dal De Sanctis alla Legge Quadro)




Oggi l’integrazione scolastica dei disabili, con le non facili problematiche che essa pone, ci appare una conquista certa e assodata. Essa, però, è frutto di un faticoso, duro e lungo lavoro.
In questo dossier si vogliono evidenziare le varie tappe legislative, dagli inizi del Novecento sino ai nostri giorni.



Letizia Colonna
colonnaletizia@infinito.it
Verso la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento il problema dei “diversi” comincia a essere affrontato dal punto di vista scolastico formativo.
Il primo a sostenere il concetto dell’interazione medico-pedagogica in favore dei minorati psichici fu il neuropsichiatra infantile De Sanctis che intorno al 1900 istituì a Roma un ospizio-scuola, dove i fanciulli furono raccolti da mattina a sera ogni giorno, per  tutto l’anno, onde ricevervi il necessario nutrimento, le cure mediche, l’educazione fisica e morale, l’istruzione, il tutto adatto ai bisogni di ogni singolo alunno.
Con il De Sanctis collaborò Maria Montessori che,  successivamente, elaborò un proprio sistema educativo, più conosciuto nella versione per le scuole materne(attualmente,scuola dell’infanzia). Si pensò anche alla preparazione degli insegnanti e sorse, sempre a Roma, la prima scuola ortofrenica diretta dalla Montessori.
Così le Amministrazioni comunali e provinciali da una parte  e gli enti religiosi e privati dall’altra , istituirono le prime scuole speciali,   così altamente specializzate e così fortemente caratterizzate da un alto spirito di assistenza e beneficenza che all’estero si parlò di una “via italiana” per l’assistenza educativa ai bambini anormali. Il nostro Ministero non seguì, in questa nobile iniziativa i Comuni, gli enti,  le associazioni private e le istituzioni religiose, in quanto l’ideologia fascista nel ventennio, pur non toccando gli eccessi del nazismo, adottò criteri emarginanti nei confronti dei deboli e ancor più dei disabili.
I governanti del tempo, così com’era già  avvenuto nell’era romana, trascurarono nel modo più assoluto la scolarizzazione degli anormali fisio-psichici, mentre si occuparono solamente  dei ciechi e dei sordomuti.
Nel R.D. del 31 dicembre1923 n. 3126, infatti, l’obbligo scolastico fu esteso ai ciechi e ai sordomuti che non presentavano altre anormalità. Tale obbligo doveva essere adempiuto in apposite  “classi differenziali” per i sordomuti; per quanto riguarda i ciechi in appositi istituti prescelti dal Ministero.
I problemi dei soggetti disabili ebbero una risonanza internazionale con la “dichiarazione dei diritti del fanciullo”, promulgata il 20 dicembre 1959 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il cui quinto principio così recita: “il fanciullo che si trova in una situazione di minorazione fisica, mentale e sociale ha diritto a ricevere il trattamento, l’educazione e le cure speciali di cui esso ha bisogno per il suo stato o la sua condizione”.
Sotto la spinta di tale documento, nel 1962, il nostro Ministro della Pubblica Istruzione, impartì disposizioni più estensive e dettagliate sulla formazione delle classi di scuola speciale e sulle classi differenziali, nonché sul loro funzionamento. Negli anni 1962/63, il predetto Ministero emanò due circolari: la n.4525 del 1962  e la n. 93 del 1963, in base alle quali i bambini della scuola elementare che presentavano minorazioni fisiche e psichiche dovevano essere avviati alle scuole speciali o alle  classi differenziali.
Riguardo al numero degli alunni, si stabiliva che ogni classe di scuola speciale ne dovesse avere da 6 a 10, mentre ogni classe differenziale da 8 a 15.
S’incrementarono, così, in tutto il territorio nazionale le scuole speciali, ubicate in edifici scolastici e separati da quelli comuni che accoglievano tutti i fanciulli in età dell’obbligo scolastico, cosiddetti “handicappati”, cioè aventi disturbi o difetti fisici o psichici.
Con la legge n. 1859 del 31 dicembre 1962, istitutiva della scuola media unica obbligatoria, era prevista la possibilità di costituire classi differenziali per gli alunni disadattati scolastici su parere conforme dell’equipe medico-psico-pedagogica. Tali classi non potevano accogliere più di 15 scolari.
Per la scuola materna statale bisogna aspettare la legge istitutiva del 18 marzo1968 n. 444  che prevedeva per i bambini dai 3 ai 6 anni, affetti da disturbi dell’intelligenza o del comportamento o da menomazioni fisiche o mentali, la formazione di sezioni speciali presso le scuole materne normali e, per i casi più gravi, scuole materne speciali.
E’ opportuno evidenziare, anche, che il nostro legislatore nel 1968 concepiva ancora la sede scolastica del disabile diversa da quella del fanciullo normale e confondeva i vari tipi di handicap ponendo il bambino psicotico accanto al disabile fisico, il debole mentale accanto al caratteriale, accomunandoli tutti in un trattamento educativo che ignorava completamente la particolarità delle diversità di ciascuno.          
“Il 1968 è l’anno che si ascrive tra quelli delle rivoluzioni.
In quella infuocata estate, con punte anche tragiche ed esasperate apparve agli occhi di tutti la nuova realtà  che si era andata trasformando da decenni nel mondo della scuola” (Iesu, 1982).
Il movimento degli studenti, che si assunse il compito chiaramente descritto da G. Ancone (1982) “di una radicale contestazione della scuola, come scuola classista e funzionale al capitale e ai lavori delle classi medie, e della sua valorizzazione come terreno di lotta e comunque come una di quelle gramsciane  fortezze da conquistare alle nuove egemonie delle classi subalterne e delle forze politiche ideologiche che dovrebbero rappresentarle”.
La volontà di trasformazione e la disponibilità al cambiamento, tipiche dei “sessantottini” portarono “a nuove barbarie”, come il dispregio della tradizione, la consistente riduzione del ruolo della famiglia,  il permissivismo sfrenato, il terrorismo politico, la droga e una violenza diffusa.
Il 1968 però non ebbe soltanto “valore negativo”. Esso portò anche alla scoperta e all’affermazione di una “nuova umanizzazione”, come “l’anti-autoritarismo”, la diversa collocazione della donna nella società e soprattutto la sensibilizzazione delle categorie dei cittadini più deboli ed emarginati, quali i disabili.
I teorici del ’68, infatti, servendosi dello sviluppo delle scienze umane, dimostrarono che, principalmente nelle società più industrializzate, l’emarginazione di una miriade di soggetti è il risultato della stratificazione di classe e della solidificazione dei meccanismi di potere all’interno della stessa collettività. Si crea così all’interno della comunità, ad esempio, la categoria della “normalità” e chiunque non è normale  viene escluso e ghettizzato.
Il  1968 ha ridato ai “non” la possibilità di ribaltare la negazione, ed è questo “diverso” che deve diventare una potente forza contro la muraglia dei “non” per penetrare nella norma, modificarla e trasformarla, rendendola elastica, capace di allargarsi per comprendere in essa tutti, nessuno escluso.
E così nel 1971 il nostro Parlamento  emanò la legge 30 marzo 1971 n. 118  che propose un nuovo modello di scolarizzazione degli alunni disabili.
La legge stabiliva, infatti che “l’istruzione dell’obbligo dei minori invalidi civili deve avvenire nelle classi normali della scuola pubblica, salvi i casi in cui i  soggetti siano affetti da gravi deficienze intellettuali o menomazioni fisiche tali da impedire l’inserimento” (art. 28).
Poiché tale legge non precisa né le modalità dell’integrazione, né le norme per l’adeguamento degli edifici scolastici, per alcuni anni le scuole speciali continueranno ancora a funzionare. Solo in qualche scuola, in forma sperimentale, avviene la predetta integrazione.
Con la legge n. 820 del 20 settembre 1971, istitutiva della scuola a tempo pieno, si favorivano le condizioni affinché questa fosse in grado di accogliere gli alunni disabili.
Intanto, la questione della scolarizzazione dei portatori di handicap, era diventato il problema principe del momento a tutti i livelli.
In campo internazionale l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite promulgava, il 21 dicembre 1971, la “dichiarazione dei diritti degli handicappati mentali” in cui venivano riconosciuti a tali soggetti, qualunque fosse l’origine, la natura ed il grado di handicap, il diritto ad avere:
∑ gli stessi diritti fondamentali degli altri cittadini;
∑ misure adatte a conseguire la più ampia autonomia possibile;
∑ istruzione;
∑ formazione professionale;
∑ riadattamento medico e sociale;
∑ una vita insieme alla famiglia naturale o acquisita, con adeguata assistenza;
∑ possibilità di partecipazione ad ogni attività creativa o ricreativa.
Sotto la spinta di questa nuova coscienza umana, che si andava formando in Italia e nel mondo intero, il nostro Ministero della Pubblica Istruzione nominò, nel 1974, una commissione di studio, presieduta dalla senatrice Franca Falcucci, con il compito di fare il punto sulla situazione dei soggetti disabili nel nostro paese e di predisporre gli opportuni suggerimenti in merito al loro recupero scolastico e sociale.
Il documento conclusivo della predetta commissione, venne alla luce nell’anno seguente e fissò i principi generali, a cui doveva uniformarsi “un nuovo modo di essere della scuola, condizione della piena integrazione scolastica”.
In base a tali principi la scuola italiana doveva:
∑ accogliere ed istruire tutti i bambini, non solo quelli normali ma anche quelli che presentavano difficoltà di sviluppo, di apprendimento e di adattamento;
∑ favorire lo sviluppo delle potenzialità di ciascuno, attraverso un apprendimento molto articolato in modo da valorizzare tutte le forme espressive degli alunni handicappati;
∑ diventare la struttura più idonea per il superamento della condizione di emarginazione in cui si sono sempre trovati gli handicappati;
∑ avere una funzione di recupero di prevenzione e di recupero precoce delle difficoltà che potessero ostacolare lo sviluppo psico-fisico;
∑ attuare il tempo pieno, inteso come successione organica e unitaria dei diversi momenti educativi.
Il documento Falcucci, oltre a rappresentare un’autentica rivoluzione nel campo sociale, culturale e pedagogico, segnò la presa di coscienza ufficiale, verso i problemi educativi dei soggetti disabili da parte del Ministero che, con tempestività, emanò l’8 agosto1975 la circolare n. 227 che, prevedeva l’inserimento, nelle sezioni della scuola materna e nelle classi comuni della scuola elementare (attualmente primaria) e media (adesso secondaria di I° grado), degli alunni che presentavano particolari difficoltà di apprendimento e/o di adattamento, in quanto affetti da disturbi o difetti fisici e/o psichici.
I risultati di così fattivo impegno non si fecero attendere. Nello stesso anno scolastico 1975/76 i disabili incominciarono ad abbandonare le scuole speciali e le classi differenziali e si iscrissero nelle classi normali, site nell’ambito territoriale, soprattutto laddove trovarono insegnanti, particolarmente sensibili al loro problema, disposti ad accoglierli.
Nello stesso anno in cui veniva avviato concretamente il percorso di integrazione, si pensò anche alla formazione degli insegnanti che avrebbero dovuto portare avanti tale processo.
Fu così emanato il D.P.R. del 31 ottobre 1975 n. 970,  con il quale vennero aboliti i corsi di fisiopatologia e di scuola ortofrenica, stabilendo che, il personale direttivo e docente preposto alle istituzioni scolastiche, dovesse essere fornito di apposito titolo di specializzazione da conseguire al termine di un corso teorico pratico, di durata biennale, presso scuole o istituti autorizzati dal Ministero. Quest’ultimo nell’anno scolastico 1976/77 emanò una seconda circolare n. 228  del 29 settembre 1976 con la quale stabiliva la prosecuzione dell’iniziativa concernente l’inserimento, precisando che le classi in cui venivano inseriti gli alunni disabili non dovevano superare complessivamente le 20 unità.
Quasi contemporaneamente il nostro Parlamento approva la legge 4 agosto 1977 n. 517  che al secondo comma degli art. 2 e 7,  rispettivamente  per la scuola elementare e per la scuola media, prevedeva l’attuazione di forme di integrazione e di sostegno a favore degli alunni portatori di handicap. Per la scuola elementare veniva prevista l’utilizzazione aggiuntiva di insegnanti di sostegno specializzati, mentre per ogni classe di scuola media erano previste 6 ore di sostegno settimanali da assegnare a personale di ruolo o incaricato in possesso di particolari titoli di specializzazione in servizio nella scuola.
Le suddette attività scolastiche di integrazione (scuola elementare) e di sostegno (scuola media) comprendevano tutte  quelle iniziative che il collegio dei docenti programmava al fine di colmare i divari fra gli alunni normali e quelli disabili.
Il principio sancito dagli articoli sopra citati circa l’obbligatorietà del titolo di specializzazione, trovava larghe eccezioni, soprattutto nella scuola media, poiché tali insegnanti erano in numero assolutamente insufficiente. Lo stesso Ministero , infatti, con successive circolari consentiva che potevano essere adibiti alle attività di sostegno, in assenza di personale qualificato, coloro i quali avessero almeno frequentato i corsi di aggiornamento per l’insegnamento ai portatori di  handicap.
A parte la dimenticanza della scuola materna, finalmente l’inserimento degli alunni disabili nelle classi normali veniva sancito in modo concreto da una legge dello Stato che si impegnava a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impedivano il pieno sviluppo dell’individuo, già   previsto dall’art. 3 della nostra Costituzione.
Essa poneva le basi per realizzare una scuola aperta a tutti, demandando ai collegi dei docenti il dovere di programmare gli interventi educativi e i mezzi più rispondenti ai bisogni degli alunni della propria scuola, compresi quelli dei disabili .
La legge n. 517 è senza dubbio tra le più avanzate in campo europeo e mondiale, costituisce un profondo salto di qualità per l’ordinamento scolastico vigente: dalla scuola tradizionale, fatta dal singolo insegnante, si passa alla scuola come impresa collegiale di tutti gli insegnanti; dalla scuola tradizionale, fatta solamente per gli alunni normodotati, si passa alla scuola per tutti.
Altro principio profondamente innovativo è l’apertura della classe, per aumentare gli spazi e i rapporti educativi. Difatti la programmazione poteva comprendere attività integrative per gruppi della stessa classe o di classi diverse, anche a carattere interdisciplinare nella scuola media. Nell’ambito delle sopraddette attività trovano posto le forme di integrazione a favore degli alunni portatori di handicap per la prestazione di insegnanti specializzati.
Alla legge n. 517 del ‘77 si ispirano e si collegano le disposizioni successive concernenti l’integrazione.
Le più significative sono:
∑ la C.M. 10 luglio 1978 n. 167, sul servizio psico-pedagogico nella scuola materna e dell’obbligo;
∑ la C.M. 21 luglio 1978 n. 169, per l’attuazione dell’art.2 della legge n. 517;
∑ la C.M. 31 luglio 1978 n.178, per l’attuazione dell’art.7 della legge n. 517;
∑ il D.P.R. 6 febbraio 1979 n. 50 e il D.M. 9 febbraio 1979, concernente nuovi programmi per la scuola media rivolti anche ai portatori di handicap;
∑ la C.M. 28 giugno 1979 n. 159, relativa alla collaborazione tra scuola e servizi specialistici sul territorio;
∑ la C.M. 28 luglio 1979 n. 199 che, interpretando gli art. 2 e 7 della citata legge n. 517, auspica che non si proceda ad inserire, sia nella scuola elementare che nella scuola media, più di un allievo disabile per classe e di assegnare un insegnante di sostegno per quattro (anziché sei) alunni portatori di handicap inseriti nelle diverse classi.
Successivamente il nostro Parlamento, dopo un lungo e travagliato iter, approvava la legge sul precariato n. 270  del 20 maggio1982 che apporta significative innovazioni anche al processo di inserimento degli alunni disabili. La suddetta norma,  innanzitutto, ha colmato una grossa lacuna della legge 517 che si era “dimenticata” della materna. Tale omissione, se non aveva messo minimamente in discussione l’inserimento del bambino disabile in questo tipo di scuola, essendo già in atto, in virtù delle circolari ministeriali in precedenza menzionate, aveva pregiudicato la possibilità di nominare delle insegnanti di sostegno. Per anni, solo nelle sezioni dove si praticava l’orario prolungato, la disponibilità di due educatrici, compresenti per due ore al giorno, aveva consentito lo svolgimento, da parte di una delle docenti, degli interventi specifici, necessari per il soggetto portatore di disabilità.
L’art. 12 della legge sul precariato ha istituito quindi i posti di sostegno anche nella scuola materna, in ragione di un posto ogni quattro bambini portatori di handicap; altresì stabiliva che i posti di sostegno entravano a far parte delle dotazioni organiche dei ruoli provinciali della scuola materna, elementare e media, in modo da assicurare di regola il rapporto medio di un insegnante ogni 4 bambini. Con tale disposizione si pone fine alla precarietà dei posti di sostegno ed alle annuali assegnazione dei docenti.
Il Ministero, con apposita ordinanza del 10 novembre 1983, ha dettato precise disposizioni applicative della norma in questione, individuando sia le forme di intervento (attività di sostegno per gli alunni portatori di handicap, attività di integrazione intesa come arricchimento dell’azione educativa svolta dalla scuola, sia come intervento diretto al proficuo inserimento nel comune lavoro scolastico, riferita agli alunni che presentino difficoltà di apprendimento e bisognosi di interventi specifici), sia i criteri da seguire per l’individuazione e l’attuazione delle attività medesime.
Lo scopo della normativa è chiaramente quello di individuare con precisione i compiti da assegnare a ciascun docente utilizzato, nonchè di far sì che le attività di sostegno si integrino con quelle predisposte per gli altri alunni.
A proposito dei titoli richiesti agli insegnanti, la predetta ordinanza rappresenta l’esigenza che le attività di sostegno per gli alunni disabili siano affidate esclusivamente a personale in possesso del diploma di specializzazione.
Con la legge 16 luglio 1984 n. 326, meglio conosciuta come “270/bis”, all’art.13 viene riconosciuta la validità, per gli insegnamenti nelle scuole secondarie normali di  I° e  II° grado, delle abilitazioni “speciali” (minorati della vista e dell’udito), conseguite prima dell’entrata in vigore del D.P.R. n. 970/75.
La norma citata, tra l’abilitazione posseduta e gli insegnamenti tradizionali, compresi nelle vigenti classi di concorso, è stata formalizzata con il D.M. del 28 febbraio1985.
L’art. 14 della suddetta legge, inoltre, pone fine all’ultima discriminazione scolastica per i bambini disabili disponendo che “nei diplomi di licenza della scuola media non è fatta menzione delle prove differenziate sostenute dagli alunni portatori di handicap”.
Un doveroso riferimento normativo, infine, va ai  programmi della scuola elementare elaborati dalla Commissione Fassino ed approvati con D.P.R. n. 104 del 12 febbraio1985, i quali, oltre a soffermarsi ampiamente sugli aspetti metodologici e didattici dei soggetti svantaggiati o disabili, rappresentavano il punto di arrivo di quel processo integrativo iniziato con la legge n. 118/71, in quanto affermano: “l’esercizio del diritto all’educazione e all’istruzione non può essere impedito dalla presenza di difficoltà nell’apprendimento scolastico, sia esso legato a situazioni di handicap o di svantaggio che peraltro, non vanno tra loro confuse”.            
Dopo un iter parlamentare lunghissimo è stata varata il 17 febbraio 1992 la legge-Quadro n. 104 “l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate”.
E’ una legge che si presenta piuttosto complessa e articolata in ben 44 articoli che possono essere distinti tra loro per i vari argomenti che trattano.
I primi articoli definiscono i principi e le finalità della legge stessa e fra questi è di grande importanza l’articolo che definisce la persona handicappata.
Gli art. 5-11 si riferiscono alla prevenzione, alla cura e alla riabilitazione.
Gli art. 12-16 trattano della scuola e dell’integrazione scolastica.
Gli art. 17-23 riguardano soprattutto la formazione professionale e l’inserimento lavorativo.
Gli art. 24-29 considerano l’eliminazione delle barriere architettoniche ed il problema della mobilità e dei trasporti in genere. 
Gli art. 31-37 evidenziano le varie agevolazioni che la persona handicappata e la sua famiglia possono avere.
Gli art. 38-44 sottolineano l’importanza dei rapporti interistituzionali.
Avviciniamoci adesso agli articoli che riguardano più direttamente la scuola e l’integrazione scolastica.
Gli art. 1 e 2 precisano le finalità e i principi della legge, che sono quelli di garantire il diritto della persona disabile  e della sua famiglia, di prevenire e rimuovere le condizioni invalidanti, di perseguire il recupero funzionale assicurando i servizi sia per la prevenzione che per la cura e la riabilitazione delle minorazioni.
L’art. 3 è particolarmente importante perché definisce la “persona handicappata” in  colui che presenta una minorazione “fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva,  che è causa di difficoltà di apprendimento,                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                          di relazione o di integrazione lavorativa”.                                                                                                                                                    Con gli art. 12-16 si definisce tutto ciò che riguarda l’integrazione scolastica e sono questi, pertanto, gli articoli che più ci interessano da vicino.
In realtà c’è da dire che la scuola è stata fino ad ora la principale istituzione che si è fatta carico degli alunni disabili, basti ricordare la legge 517/77 e le varie  circolari ministeriali che si sono susseguite.
La legge Quadro delinea strategie operative per l’integrazione scolastica, basata su un sistema documentale che fornisce elementi conoscitivi e progettuali. Si tratta di Diagnosi Funzionale (D.F.), del Piano Educativo Individualizzato (P.E.I.), del Profilo Dinamico Funzionale  (P.D.F.).
Tali documenti risultano essere di competenza delle A.S.L., degli operatori scolastici e della famiglia.
Un altro punto molto importante è che gli insegnanti specializzati assumono la contitolarità delle sezioni o delle classi in cui operano e partecipano conseguentemente a tutte le attività di programmazione e verifica di competenza del consiglio di classe.
Nell’art. 14 vengono riportate le modalità di attuazione dell’integrazione che può trovare la sua concretizzazione attraverso un’organizzazione dell’attività educativo-didattica  flessibile e rispondente ad una programmazione scolastica individualizzata.
Altro punto importante di questo articolo è quello che consente al portatore di handicap la frequenza della scuola dell’obbligo fino al compimento del 18° anno di età e l’altro quello che consente la ripetenza di singole classi fino alla terza volta.
E’ una legge che aspettavamo da molto tempo e che rappresenta un punto fermo per una maggiore garanzia e tutela dei diritti della persona disabile.
Tale legge se da un lato rappresenta una risposta efficace alle esigenze emergenti nella società, dall’altro rappresenta una logica razionalizzazione di tutte le disposizioni e le circolari ministeriali emanate negli anni 80 e la naturale conclusione di tutto il processo relativo all’integrazione dei portatori di handicap avviato all’inizio degli anni 70.
La legge 104 ha il merito di avere messo in relazione tutti i soggetti istituzionali che si occupano dei portatori di handicap  attribuendo loro competenze specifiche. In questo senso particolare rilevanza assume l’istituzione del Gruppo di Lavoro Interistituzionale Provinciale (G.L.I.P.) ai sensi dell’art. 15 della legge 104.
In questa logica la pluralità degli interventi rappresenta la linea d’indirizzo su cui la scuola deve puntare per garantire l’integrazione dei disabili.
Ogni bambino è portatore di una sua irriducibile “diversità”  e il diritto all’eguaglianza può essere garantito proprio dalla possibilità di assicurare a ciascuno le condizioni per essere se stesso, per vedere rispettata la propria differenza e, nello stesso tempo, la possibilità di vedere assicurate tutte le condizioni della propria auto affermazione, comprensive di quelle “risorse” in più, necessarie, a compensare le carenze che talora ne ostacolano la realizzazione.
Esplicitato il quadro della legislazione sull’integrazione, si ritiene interessante,  riportare la conclusione dell’ “Indagine conoscitiva sull’integrazione scolastica degli alunni portatori di handicap”, realizzata dalla VII Commissione Cultura, Scienze e Istruzione della camera dei deputati sulla base di strumenti di verifica dalla suddetta predisposti. I lavori si sono conclusi il 28 gennaio 1998.
Ai questionari hanno risposto 94 provveditorati: 44 del nord Italia, 28 del centro e 22 del sud.
Le risultanze sono state attentamente analizzate e costituiscono la base per il seguente documento conclusivo, riportato in parte (-documento integrale- Ianes  Tortello, 1997).
Rispetto ai diritti dei portatori di handicap si può affermare che ancora la costituzione non è applicata che per il 50 per cento.
Le leggi, non sono deficitarie nell’impianto giuridico-culturale, ma nella parte applicativa. Questo è il dato politico e culturale che emerge dalla intera indagine conoscitiva.
“Interrogarsi sul concetto di integrazione diventa oggi indispensabile proprio per l’ambiguità del termine che rischia di continuo di essere svuotato del significato innovativo che la cultura corrente gli ha attribuito. A seconda dei contesti in cui  viene utilizzato, esso può riferirsi sia a processi di normalizzazione omologante, sia a processi di cambiamento e innovazione.
La natura della diversità e il non voler rischiare se stessi di fronte ad essa, ha costituito per lungo tempo un forte ostacolo all’integrazione. Nella stessa scuola, l’impreparazione e la paura ancor oggi portano ad un falso concetto dell’integrazione, che per alcuni significa assimilazione passiva, rinuncia alla propria identità per vivere ai margini della società cosiddetta normale. I pericoli dell’assistenzialismo e dei processi di normalizzazione omologante sono sempre dietro l’angolo, per cui è indispensabile lavorare sotto il profilo giuridico, ma soprattutto attraverso la formazione, l’istruzione e l’educazione, per costruire insieme una vera cultura dell’integrazione che faccia realmente interagire i diversi mondi che ruotano intorno ai portatori di handicap ai vari livelli: individuali, scolastici, familiari, organizzativi, cooperativi, istituzionali.
I portatori di handicap rappresentano e ricordano il mondo della diversità con cui inevitabilmente si scontra la nostra società, che insegue il mito della forma, della efficienza e della produttività. Troppo spesso lo stesso legislatore concede a parole, ma lascia poi che si neghino nei fatti i diritti inalienabili dei portatori di handicap, che si alzino steccati e che si scivoli nell’assistenzialismo”.
“Anche se ormai, dagli anni ’70, nel Paese il problema è oggetto di studi e interventi a diversi livelli, sussistono ancora ostacoli nella costruzione e nella diffusione di un’autentica ed efficace cultura per l’handicap e l’emarginazione. In tutti i settori le forme di discriminazione nei confronti dei portatori di handicap sono ancora macroscopiche e forse possiamo sostenere che solo la scuola ha prodotto un serio tentativo, ancorché poco coordinato, per la costruzione dell’ “integrazione”.
Indubbiamente, oggi, il problema dell’inserimento è quasi totalmente delegato alla scuola, la quale, con tutti i suoi limiti, ha tentato di realizzare un grande salto di qualità nella coscienza culturale, morale e sociale del Paese, attraverso l’assunzione dei valori dell’accoglienza, della solidarietà, della diversità, che sono e costituiscono la base dell’educazione.
Ciascun uomo ha la sua ragion d’essere proprio nella sua diversità che non necessariamente è cattiva o negativa, come per lungo tempo ha insegnato una certa cultura occidentale. Si ritiene che solo dalla comprensione e dal rispetto per la diversità, può nascere un progetto sociale che, puntando alla realizzazione di pari opportunità, produca realmente l’integrazione.
Si può dire che nelle leggi non c’è né populismo, ne demagogia. Forse c’è un eccesso di ottimismo. Altro però sono le leggi, e altra è la loro applicazione.
A fronte di una legislazione così ricca e così aperta, si da troppo poco ancora ai portatori di handicap, per una serie di problemi: economici, professionali, progettuali, per cui a volte si da loro un’ educazione annacquata ed impoverita, spesso rivolta alla semplice padronanza di alcuni automatismi strumentali.
In difetti di professionalità e di specializzazione, di figure di sistema, nonché di figure di raccordo interistituzionale si registrano ancora tentativi più che di educare, di normalizzare gli alunni handicappati, con il risultato di isolarli culturalmente e socialmente”.     
La scuola deve poter offrire a ciascuno il massimo di istruzione di cui è capace.
L’indagine ha rilevato come sia difficile ancora oggi spazzare via la convinzione che per tanti anni ha dominato: che fosse sufficiente l’assistenza e che un vero inserimento non fosse possibile, soprattutto per alcuni handicap. Il fronte degli handicappati è cresciuto in modo impressionante nella scuola di base ed il “sostegno” non basta più in un momento denso di grandi cambiamenti istituzionali, culturali e organizzativi dell’intero sistema scolastico. “Appare opportuno che lo stato in prima persona svolga con più efficacia, nei confronti della scuola i compiti che gli sono stati assegnati dalla costituzione”.
La commissione è convinta che occorra restituire alla scuola forza culturale, realizzando le riforme presenti nei numerosi provvedimenti legislativi, comprese le recentissime leggi sull’Autonomia: “sono tutti utilizzabili dall’area dell’Handicap, attraverso la rivalutazione di modelli modulari, della flessibilità, di attività didattiche più sintonizzate sul saper fare, che sul saper sapere”.
“La scuola impone al ragazzo una serie di richieste in base alle quali egli deve modificare se stesso e a cui deve rispondere mediante processi di adattamento più o meno adeguati. Per questo essa deve avere al suo interno capacità di fornire idonee capacità educative, soprattutto per coloro che sembrano non essere in grado di rispondere adeguatamente al suo programma di istruzione”. Di qui la necessità rilevata dalla Commissione di rivedere il reclutamento e la formazione dei docenti di sostegno, che non debbono più “essere recuperati” da aree disciplinari, in quanto sono in esubero e riciclati sul sostegno mediante corsi intensivi che mortificano la qualità dell’intervento professionale e lo stesso diritto del ragazzo handicappato. Si ritiene che vadano rivisti i corsi intensivi, come pure la formazione universitaria dei docenti, che deve essere integrata con la conoscenza dei problemi legati all’apprendimento, alla crescita, allo svantaggio e all’handicap.
“Gli insegnanti di sostegno rappresentano oggi una risorsa qualificata, che garantisce il necessario supporto tecnico-specialistico all’intervento individualizzato sull’alunno e offre opportunità ai bisogni dell’intera classe. Occorre evitare che su questo docente si scarichi la delega totale della comunità scolastica e fare in modo di integrarlo pienamente nel team docente, rendendolo effettivamente contitolare e corresponsabile della programmazione di classe, deputato a coordinare tutte le risorse a disposizione”.
Se la presenza del disabile è un’occasione di crescita per tutta la comunità educativa, è necessaria la collaborazione di tutti per favorire la sua integrazione. “Pertanto sono necessari più sostegni. Questo comporta la necessità di individuare figure di sistema che aiutino il docente di sostegno e quelli curriculari nel processo di integrazione, con un impiego diversificato di competenze, che vanno utilizzate per l’intera comunità”.
La commissione non ritiene facile raggiungere tali obiettivi, poiché in Italia non dovunque esistono pari opportunità, soprattutto sul piano delle competenze e delle risorse necessarie per soddisfare le esigenze. “Resta fermo che tra le nuove figure di sistema, la specializzazione conseguita dai docenti di sostegno conferisce loro un posto strategico, spendibile in modo più proficuo e produttivo, con maggiore gratificazione anche per gli stessi professionisti. Ciò rende assolutamente indilazionabile definire il loro status professionale ancora assai precario e marginale rispetto ai colleghi curriculari”.
Questa relazione finale della VII Commissione della Camera dei deputati, che rappresenta il documento valutativo ufficiale più recente e articolato, frutto di mesi di audizioni e visite a scuole ed Enti, ha fatto discutere molto ed ha suscitato autorevoli commenti
 ( Ianes Tortello, 1997).

Approfondimenti
∑ Circolare 9 luglio 1962, Prot.n.4525.
∑ Legge 18 Marzo 1968, n.444.
∑ Iesu F., Handicap e integrazione, Tecnodid, Napoli, 1982.
∑ Ancone G., Trasformazione, cambiamento, crisi e processi educativi, in quale scuola ,n. 3 settembre 1982.
∑ Legge 30 marzo 1971, n.118.
∑ Documento della Commissione ministeriale di Studio presieduta dalla Sen. Falcucci.
∑ Circolare 8 agosto 1975, n.227, Prot. n. 1475.
∑ D.P.R. 31 ottobre 1975, n.970 (G.U. n.104 del 21/4/1976).
∑ Circolare 29 settembre 1976, n.228, Prot. n. 3419.
∑ Legge 4 agosto 1977 n.517.
∑ Circolare 28 luglio 1979, n.199, Prot. n. 3860.
∑ Legge sul precariato, n.270 del 20/5/1982.
∑ Gazzetta ufficiale della Repubblica Italiana, n.39 del 17/2/1992 – Serie Generale.
∑ Pavone M. e Tortello M., Le leggi dell’integrazione scolastica, Erickson, Trento, 1996.
∑ Documento integrale:Ianes D. e Tortello M., La qualità dell’integrazione scolastica, Erickson, Trento, 1997, (pp. 89-107).












Postato il Domenica, 12 luglio 2009 ore 09:37:11 CEST di Silvana La Porta
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